Offline Riflessioni a modem spento


Le bizzarrie
dei domain

ottobre 2002

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  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Due anni fa in questa rubrica parlavo di “batracomiomachia dei domain”. Quelle buffe vicende continuano, ma se ne sono aggiunte altre, ancora più complicate – e spesso farsesche. I trafficanti di domain internet sembrano in preda alla disperazione. Nella crescente inondazione di spam si moltiplicano le offerte di domain a 14 o 11 dollari.

Sembrava che fossero chissà quale fantastica soluzione i nuovi top level domain. Finora hanno avuto scarsissimo successo. Dalla domain survey mondiale (di cui c’è un recente aggiornamento) risulta che ci sono 8.000 host internet attivi su .biz e 5.600 su .info (rispetto a un totale di 162 milioni di host – di cui, per esempio, quelli su .com sono 43.800.000, .net 56.600.000, .edu 7.400.000, .it quasi tre milioni). Per gli altri “nuovi” TLD i numeri sono infinitesimali: poco più di 100 per .name e .coop (meno di 10 nel caso di .aero, .museum e .pro).

Insomma sono poche le registrazioni di domain nelle “nuove categorie” – e ancora meno le imprese (o altre organizzazioni) che li usano.

Non è facile calcolare quanto denaro sia stato sprecato nella sarabanda dei “nuovi tld” (ne erano stati proposti circa duecento, realizzati sette) ma si tratta di parecchi milioni di dollari. A proposito di sprechi e di soluzioni sbagliate, vedi
Il paradosso della tecnologia.

Quisquilie? Si, ma non per gli avvocati e per gli uffici legali delle imprese. Su questi insignificanti territori si sono combattute furibonde battaglie. Con conseguenze molto bizzarre, compresi i “conflitti di competenze” per cui un tribunale decide una cosa mentre un ente incaricato di dirimere le dispute ne stabilisce un’altra.

Ci sono storie pittoresche. Per fare un solo esempio – la Pippo Inc registra il domain pippo.biz. Ma è contestata dalla Wanna Inc che ha un prodotto chiamato Pippo. La Wanna accusa la Pippo di voler sfruttare la notorietà del “suo” Pippo per vender aggeggi (cosa che la Pippo Inc, per la natura della sua attività, non ha motivo di fare – ma potrebbe, se volesse, con qualcuno dei domain “pippo” già a suo nome e mai contestati). Dopo infinite complicazioni va a finire che pippo.biz non viene assegnato ad alcuno dei due contendenti, ma rimane “provvisoriamente” in mano a un trafficante, che (ispirato dalle paure maniacali della Wanna) improvvisa (con scarsissimo successo) un negozietto online di aggeggi “pippo”. Si potrebbero raccontare parecchie altre storie non meno stupide.

Poiché accade, o può accadere, di tutto – è doveroso chiarire che, mentre il caso è reale, i nomi sono di fantasia. “Pippo” e “Wanna” qui sono nomi totalmente immaginari e nulla hanno a che fare con qualsiasi cosa al mondo che abbia davvero un nome di quel genere.

Ci sono casi, d’altra parte, in cui qualcuno non è stato abbastanza attento. Come una seria organizzazione (tutt’altro che inesperta nell’uso della rete) che distrattamente ha lasciato scadere uno dei suoi domain e se l’è visto “scippare” da un mercante di immagini esplicitamente sessuali.

Nella disperata ricerca di qualcosa da vendere, alcuni spacciatori si sono fatti venire l’idea di offrire ai cinesi i domain con il suffisso .us (poco usati dagli americani). Visto che i cinesi non abboccano, si sono messi a offrirli a mezzo mondo. Risultato? Nulla. Ci sono quasi 1.900.000 host su domain .us – ma il numero non è aumentato dopo i tentativi di venderli fuori dagli Stati Uniti.

È scarso anche l’uso di TLD in base a un significato attribuito alla sigla. Per esempio ci sono 7.800 host su .tv – tanti per Tuvalu, un minuscolo arcipelago in Polinesia, pochi per le emittenti televisive di tutto il mondo. Sono 5.300 quelli su .ws (Samoa) che forse qualcuno usa nel senso di website. Più numerosi (ma sempre pochi per un uso “globale”) i 20.000 .to (Tonga). Altri improbabili tentativi di vendere TLD geografici come se fossero “tematici” sono miseramente falliti. Nel caso di .fm (che è della Micronesia ma potrebbe interessare a un’emittente radiofonica) ci sono 670 host. Sono 129 quelli su .cd (Congo) che qualcuno voleva proporre nel senso di compact disc e 59 su .sr (Suriname) che si diceva potesse significare senior. Eccetera...

In alcuni casi, probabilmente, qualcuno ci ha guadagnato. Vendere qualche migliaio di domain Tuvalu a emittenti o servizi televisivi può aver prodotto entrate per pił di centomila dollari (incassati non dagli isolani, ma da un broker negli Stati Uniti). Ma casi isolati come questo non cambiano il quadro generale.

Insomma ci si è affannati e ci si affanna sul problema dei “nomi a dominio” ma i fatti e i dati confermano che (al di là di una ragionevole “protezione” contro profittatori abusivi nel caso di nomi molto noti) la faccenda è assai poco rilevante.

Fra un sito (o un’altra attività online) che ha un nome di domain “tematico”, e uno che non ce l’ha ma offre contenuti più validi, il successo appartiene al secondo. Può bastare un esempio classico: Amazon non è un nome che suona come “libreria” (e non esiste, anche se qualcuno l’aveva proposto, il TLD .books).

C’è un’insistente tendenza (non solo nell’internet) a dare esagerata importanza a ogni sorta di apparenze e di sciocchezze – invece di badare più seriamente alle cose che contano: qualità, relazioni e servizio.


 

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