Questo testo è tratto in parte dal capitolo 17
del Nuovo libro della pubblicità
con varie modifiche e aggiornamenti giugno 1998
Linfanzia di un mondo nuovo
Quando mi occupavo tutti i giorni di pubblicità, mi chiedevo perché su quellargomento si dicesse e si pubblicasse costantemente un così straordinario ammasso di superficialità e di sciocchezze (il fenomeno continua; anzi, tende a peggiorare). Mi rispondevo che era una specie di contrappasso: la pubblicità è così diffusa, onnipresente, visibile, ingombrante, che anche chi non ne ha la minima conoscenza si sente in dovere di dissertare in materia. Quando mi trovo a occuparmi di comunicazione elettronica interattiva, è ancora peggio. Quasi nessuno la conosce davvero (un italiano su mille, forse due, ne ha unesperienza non superficiale) ma da due anni in qua è largomento di moda: tutti ne parlano. O meglio, parlano di qualcosa che, per quanto ne so, non esiste, e che ha assai poco a che fare con la realtà della rete. Il motivo è quella strana perplessità, quel misto schizofrenico di attrazione e repulsione, che suscitano le cose nuove. Pare che quando, centanni fa, cominciavano a circolare le prime automobili, il mondo fosse percorso da un fremito di paura e da infinite leggende. Illustri professori spiegavano che un organismo umano non era in grado di sopravvivere alla velocità di 25 chilometri allora. Ho sentito non meno illustri professori, al giorno doggi, dire cose non meno assurde sulla rete. Un esempio più vicino al nostro argomento (il telefono) fu quello che proposi nel giugno 1996 nel primo articolo della rubrica mensile I garbugli della rete. La disinformazione sulla rete si può dividere, grosso modo, in due categorie. Lesagerazione teatrale o fantascientifica; e unirrazionale, tecnofobica paura. Le due cose, naturalmente, si mescolano; e sono ugualmente nocive. Mi domando che idea possa farsi della rete una persona che non ne abbia esperienza personale e che guardi, un po assonnata, una delle tante trasmissioni televisive che ci vogliono abbacinare con le presunte meraviglie del ciberspazio; o veda luso miracolistico della rete che ci viene mostrato in tanti film o raccontato sui giornali. Paesaggi virtuali, spazi dadaisti, immagini surrealiste, un mondo onirico-ossessivo popolato non di esseri umani ma di androidi e robot che si muovono in uno spazio irreale. Certo: in rete si trovano anche quelle cose, come si trovano in qualsiasi libreria e in uninfinità di storie a fumetti, di letteratura di tutti i tempi e di pitture anche più antiche di quelle di Hieronymus Bosch. Certo, cè una cultura ciberpunk che ha avuto e ha ancora un suo spazio nella rete, con infinite variazioni dal più ingenuo fumettismo alle geniali fantasie di William Gibson. Queste cose, insieme a migliaia di altre, sono nella rete. Ma non sono larete, né sanno come descriverne il futuro. Con tutto il rispetto per quel genio che fu Jules Verne, nella storia della navigazione moderna cè tutto fuorché il Nautilus del Capitano Nemo; e i viaggi sulla Luna sono molto diversi dalla sua descrizione, come da quelle di cento scrittori che lhanno preceduto o seguito. In generale, credo che i ragionamenti sulla rete migliorerebbero se fossero definitivamente eliminate dal lessico tutte le parole che cominciano con ciber (o peggio con cyber, che in italiano è un errore di ortografia). Non per un banale o pedante formalismo ma perché quella terminologia tende a dare la falsa impressione che la rete sia un mondo separato e irreale. Perfino Nicholas Negroponte, spesso citato (non sempre a proposito) come il profeta di tutte le esagerazioni tecno-fantastiche, nel 1994 alla fine di di Being Digital scriveva: «vi prego di notare che in tutto il libro ho usato una sola volta la parola ciberspazio». Ecco un piccolo, e parziale, elenco dei sogni e delle false promesse: Non ho mai capito bene che cosa voglia dire virtuale. La parola è molto di moda, ma sembra che nessuno ne abbia una definizione chiara. Fin dalle origini della nostra specie viviamo in mondi virtuali. Tutte le notti, in sogno; anche da svegli, nelle nostre fantasie. Tutta la letteratura, la musica, la pittura della storia umana ci hanno sempre trasportato in luoghi e situazioni diverse dalla nostra vita fisica di tutti i giorni. Il confine fra sogno e realtà è sempre stato molto meno nitido di quello che sembra. Che cosè una rappresentazione teatrale, con scene, costumi e effetti, se non un mondo virtuale? E, nello stesso modo ma con tecniche diverse, il cinema e la fotografia? O una carta geografica? Oggi ci sono nuove tecniche, consentite dallinformatica, per fare queste cose. Ma la sostanza non cambia; non più di quanto sia cambiata con linvenzione, appunto, della fotografia o del cinema. Va detto anche che queste cose hanno assai poco a che fare con la rete, perché spesso le troviamo non nellinternet, ma su un cd-rom (e quando, fra non molto, avremo dischi ottici con capacità dieci o venti volte superiori a quelli attuali...). Soprattutto, occorre capire che la parte più significativa della rete non sta in queste, sia pure interessanti, esplorazioni artistiche, ma nella possibilità che ci dà di raggiungere esperienze molto reali: fatti, opinioni, informazioni e persone. Che al primo incontro non possiamo vedere, né toccare; ma non per questo sono virtuali. Sono persone come noi, in carne e ossa. Di questo parlavo alcuni mesi fa in un breve articolo, che ha avuto più successo e diffusione in rete di qualsiasi altra cosa che io abbia mai scritto: Lanima e il corpo. È vero: esistono macchine che consentono una simulazione. Possono essere usate per gioco, o per motivi molto seri, come laddestramento di un pilota daeroplano. Ma sono un piccolissimo dettaglio rispetto alle infinite applicazioni dellinformatica, e poco o nulla hanno a che fare con la rete. È vero: esistono simulazioni tridimensionali che hanno applicazioni utili e serie, per esempio in architettura. Ma sono, appunto, funzionali, e non inutili barocchismi decorativi. È vero: con le nuove tecniche possono nascere nuove espressioni artistiche e la grafica del computer non è solo un modo più veloce per fare le stesse cose che si facevano prima. Già ne abbiamo visto, abbondantemente, le applicazioni nel cinema. Ma siamo, credo, ancora nella fase infantile, in cui ci si lascia trasportare dalla tecnica e si va alla ricerca del surrealista e del bizzarro; come accadde, per esempio, nel cinema ai tempi di Georges Méliès. Cè molto da ragionare, del resto, su quali miracoli di fantasia si fecero allora nel cinema (pensiamo per esempio a Metropolis di Fritz Lang) con risorse tecniche che oggi sembrano paleolitiche. Un argomento, senza dubbio, affascinante; ma che poco o nulla ha a che fare con la rete, che di queste opere darte (se e quando lo siano davvero, non sempre è facile giudicare) può essere al massimo il mezzo di trasporto. È vero: esistono le chat, i luoghi di conversazione in cui si chiacchiera e si scambiano opinioni in tempo reale. Ci sono anche chat internazionali (come IRC, Internet Relay Chat, con migliaia di channel o room, stanze, in tante lingue diverse (compèreso litaliano) in cui è diffusa lusanza di usare pseudonimi (alias o nickname) e quindi incarnare personalità che possiamo inventare come meglio ci piace. In questi salotti si possono anche fare conversazioni serie, ma più spesso si scherza. Esistono anche centinaia di MUD (Multi-User Domain; o Multi-User Dungeon, dai tempi in cui era di moda un vecchio gioco, Dungeons and Dragons), e cose analoghe chiamate MUSE (Multi-User Simulated Environment), MOO (Mud, Object Oriented) o addirittura MUSH (Multi-User Shared Hallucination). Sono ambienti di gioco e immaginazione in cui persone diverse si incontrano in spazi immaginari, spesso fantastici o fantascientifici, e con identità che costruiscono come meglio credono. Per alcuni questo non è solo un gioco, ma una seconda realtà, un mondo in cui possono muoversi con identità diverse. Ci sono anche i primi esperimenti di siti come Worlds Chat, in cui il gioco non è più solo verbale, ma i luoghi sono rappresentati anche in modo visivo e il travestimento si realizza anche in unimmagine (avatar). Ma tutto questo è solo unevoluzione di usanze antiche, come le maschere di carnevale e i giochi di ruolo; anche questa è solo una piccolissima parte di ciò che accade in rete; e comunque, per quanto spinto possa essere luso dellimmaginazione, ciò che incontriamo non è quasi mai un robot; è quasi sempre una persona reale, che sta divertendosi a incarnare una sua fantasia, mentre noi facciamo la stessa cosa. Questa è poco più che una parolina per venderci macchine più complesse di quelle che ci servono. Da che mondo è mondo ci si esprime usando parole, musica e immagini. Non cè nulla di nuovo, se non che (se siamo bravi) possiamo divertirci a mettere insieme musica, immagini e parole usando il computer invece che il teatrino delle marionette. La verità è semplice: parecchi programmi, specialmente giochi, contengono immagini e musica. Per poterli usare abbiamo bisogno di una buona scheda video e probabilmente un cd-rom (luna e laltro ormai sono accessori standard) più una scheda musicale, che si trova facilmente a meno di duecentomila lire. I giochi più recenti sono talmente stracarichi di orpelli, spesso solo decorativi, da richiedere processori veloci e con abbondante memoria (RAM). Il che costringe molti a sostituire un computer perfettamente efficiente con una macchina di prestazioni più elevate solo per far giocare un bambino; cosa abbastanza assurda, perché esistono molti ottimi giochi che non hanno bisogno di macchine particolarmente potenti. Insomma è solo una speculazione commerciale. In tuttaltro significato, la parola multimediale viene intesa come la tendenza alla concentrazione di grandi imprese che con fusioni, acquisizioni e alleanze tendono a invadere tutti i territori, unendo sotto un unico tetto le cosiddette quattro C: Computing, Communication, Content e Consumer. Sarebbe lungo approfondire i pro e i contro di questa strategia; ma è molto probabile che queste mostruose concentrazioni tendano a riprodurre nella rete il vecchio modello della comunicazione a senso unico (uno parla, molti ascoltano) e quindi ad andare contro il valore più importante della rete: la reale interattività di cui parlo nella conclusione di questi ragionamenti. Tante immagini straordinarie sul tuo schermo Con la nascita (recente) della world wide web, lattenzione si è concentrata sulle immagini. Ma una delle cose più deludenti, per chi si affaccia in rete pensando alle immagini (erotiche o non), è scoprire con quale esasperante lentezza, specialmente con le non eccellenti connessioni che abbiamo in Italia, quelle immagini si formano sul monitor del nostro computer. (Anche in America, del resto, la chiamano world wide wait). Un giorno, forse, quando ci saranno davvero le autostrade e non i sentieri di cui oggi disponiamo, quando saranno normali collegamenti ISDN, schede digitali con una velocità più che doppia rispetto ai modem di oggi (o le tecnologie che li sostituiranno), eccetera, la rete sarà anche un terreno di scambio di immagini. Oggi, e per il prevedibile futuro, lo strumento rimane quello che è da sempre la base delle relazioni umane: la parola. Chi non trova nulla da leggere, o da scrivere, non rimane a lungo in rete. Non è del tutto vero. O meglio, le difficoltà sono diverse da quelle che ci aspettiamo. Fatta la prima installazione (per i non esperti è meglio farsi aiutare da un tecnico) usare i programmi e collegarsi è facile davvero. Non più difficile che imparare a usare un videoregistratore o un forno a microonde; molto più facile (e meno rischioso) che guidare unautomobile. Certamente più facile di quanto pensi che non ha familiarità con il computer, o di come si possa pensare se si ascoltano o si leggono le astruse dissertazioni dei tecnici o le fantastiche divagazioni di certi intellettuali. Ma la vera difficoltà non sta nelle tecniche di collegamento. Una volta affacciati in rete, si tratta di capire dove andare... solo una buona dose di pazienza e di curiosità può far superare questo primo scoglio e guadagnare quella confidenza che non si può acquistare se non con lesperienza pratica. Potrai incontrare in rete milioni di persone. Non è vero. Basta pensarci un attimo per capire che nessuno di noi riesce a dialogare in modo comprensibile con più di qualche decina di persone. Chi ha un minimo di esperienza impara presto che navigare vuol dire scegliere: trovare i siti e le persone che ci interessano. Il che, allinizio, non è facile. Si impara solo con lesperienza. La novità cè, ed è davvero importante: possiamo dialogare tranquillamente con qualcuno che sta in Australia; e possiamo conoscere una persona interessante che magari abita a trecento metri da casa nostra ma che altrimenti non avremmo mai conosciuto. E qui entriamo davvero nella parte viva della rete... Quanto alle dimensioni... sono abbondantemente sovrastimate. Si parla di centinaia di milioni di persone, di un miliardo alla fine di questo decennio. Non è vero o non ancora. I numeri, per ora, sono molto più piccoli, anche se stanno gradualmente crescendo. (Per analisi continuamente aggiornate sulla crescita delle connessioni vedi la sezione dati). Si parla continuamente di crescita esponenziale, spesso senza badare al senso delle parole. Ma è diffusa anche labitudine di diffondere cifre irreali e proiezioni assurde senza mai controllare la loro attendibilità. (Vedi per esempio Verifica di alcune proiezioni). Tutto questo si potrebbe accantonare nellaffollato museo delle sciocchezze diffuse, delle statistiche immaginarie e delle previsioni sbagliate se non avesse due conseguenze preoccupanti. Uno è la proliferazione di iniziative e imprese condannate al fallimento perchè basate su proiezioni insensate e su false promesse di facili guadagni. Laltro è una percezione di fretta, di falsa urgenza, che induce a uninfiità di errori. La lista sarebbe interminabile... ma ecco alcuni esempi delle leggende negative che circondano la rete, come hanno sempre circondato tutte le nuove tecnologie e, in generale, qualsiasi modo nuovo di pensare o di comportarsi. Per fortuna sono passati i tempi dei diavoli di Laudun, se no qualche volta, ascoltando i commenti dei miei amici che non hanno pratica della rete, avrei limpressione di rischiare il rogo... Chi non ha mai usato un computer (o anche chi lo usa, ma solo per una specifica applicazione, come scrivere o fare i conti) ne ha una specie di mistico terrore. Conosco persone colte, intelligenti, aperte allinnovazione, che mi guardano con diffidenza quando scoprono che uso la posta elettronica. Cè una specie di luddismo culturale, rinforzato da quella vasta letteratura che va alla ricerca del pittoresco o del pauroso. Cè il timore che un cervello meccanico finisca con limpadronirsi della nostra povera mente biologica; che la nostra identità si perda nel mondo virtuale, che unidentità estranea, un avatar, si impadronisca della nostra anima... Se solo sapessero quanto sono stupidi, in realtà, i computer e i software con cui siamo costretti a convivere... Si leggono articoli su una tale psicologa americana (o di qualche suo imitatore nostrano) che ha scoperto una sindrome da computer (non più grave, o più frequente, di un attaccamento esagerato al flipper, al gioco del pallone o allo scopone scientifico). Si pensa «oddio, se il mio bambino tocca quel coso gli divorerà la mente». Certo se avessi un bambino piccolo non mi piacerebbe che giocasse a Doom (o a un altro dei giochi sanguinari e tenebrosi di cui cè stato fin troppo commercio); ma non lo lascerei neppure troppo tempo davanti a certi cartoni animati giapponesi o altri spettacoli violenti, o da incubo, che trasmettono in televisione. Né lo incoraggerei a leggere molti generi di cose che si trovano in libreria o nelle edicole. Ricordo che quandero bambino mi davano molto fastidio, talvolta mi spaventavano, certe scene di film, compresi i cartoni animati; e anche certe favole piene di orchi, di violenza e di bambini orribilmente torturati. Invece penso che faccia bene alleducazione di un ragazzo abituarsi alluso di un sistema (non solo il computer, anche il modem, cioè la rete) che purtroppo non gli insegnano a scuola e che, quando sarà grande, sarà diventato di uso comune. E anche giocare a uno dei tanti giochi che stimolano lintelligenza e la fantasia o con uno dei buoni (e spesso divertenti) software educativi che sono disponibili. Pornografi, pedofili, criminali e terroristi Se badiamo a quello che scrivono i giornali, o ci dicono in televisione, la rete sembra un posto pericolosissimo, in cui si annidano non solo i cosiddetti hacker (abitualmente dipinti molto peggio di quanto meritano) e i diffusori di virus, ma anche mafiosi, terroristi, nazisti, pornografi , pedofili e criminali dogni sorta. Nessuno ha ancora detto (che io sappia) che in rete si fa la tratta delle bianche o il contrabbando di testate atomiche, ma mi aspetto di vederlo pubblicato da un giorno allaltro. Certo: ci sono, in rete, personaggi poco raccomandabili. Come ci sono dovunque intorno a noi. La probabilità di incontrarli è minima; evitarli è molto più facile che nella nostra vita di tutti i giorni, perché una banda di malintenzionati veri incontrati in una strada buia non si può cancellare dalla faccia della terra semplicemente cambiando sito con la pressione di un tasto o spegnendo il computer. La continua insistenza su questi temi scandalistici non è solo cattiva informazione, ma è un danno culturale. Perché tiene lontane dalla rete molte persone civili e intelligenti, che farebbero meglio a esserci, per il bene loro e di tutti noi che in rete già siamo, e le incontreremmo volentieri. Perché tende a consolidare la grave arretratezza dellItalia in rete, rispetto a molti altri paesi. E perché tiene lontani dalla rete molte persone giovani, che invece dovrebbero conoscerla, per arricchire la loro cultura e imparare a muoversi nel mondo in cui vivranno. Come difendere bambini e ragazzi dai pericoli? Semplicemente con la normale prudenza che è comunque bene esercitare. Da che mondo è mondo le mamme dicono alle bambine (e anche ai maschietti) non accettare caramelle da uno sconosciuto. Basta aggiungere non dare mai il tuo indirizzo di casa a qualcuno che non conosci. Lasciare un bambino da solo per troppe ore davanti a un computer, senza guardare a che gioco sta giocando, è come abbandonarlo davanti alla televisione senza badare a che programma sta guardando ; e meno rischioso che mandarlo allasilo, alloratorio o a scuola senza controllare che tipo è la persona che se ne occupa. Non sarebbe sano che un bambino, o un adulto, passasse tutta la sua vita davanti a un computer e non prendesse mai una boccata daria (anche se è sempre meglio che imbambolarsi davanti alla televisione). Ma, nei limiti del ragionevole, usare un computer o navigare in rete non è più artificiale che usare un telefono, una radio, una macchina fotografica o una bicicletta. Lunica differenza è che non è ancora unabitudine diffusa. Questo, ahimè, è vero. Specialmente quando si è costretti a subire i capricci dei software o le snervanti lentezze della web. Ma si tratta di valutare con equilibrio come suddividiamo il nostro tempo. Se la rete è usata bene, il tempo è altrettanto ben speso che se lo usassimo per leggere un libro o partecipare a una conversazione interessante. Molto meglio, nove volte su dieci, che guardare la televisione o intontirsi con il fracasso di una discoteca. Gli studi sul comportamento confermano che, dopo una fase iniziale di assestamento, le pesone imparano a gestire il tempo, cioè a collocare luso della telematica in un quadro equilibrato delle loro attività. Ma il consumo di tempo rimane un problema, specialmente quando il tempo è perso in attività improduttive e noiose, come i problemi provocati da tecnologie inutilmente complesse, da ricerche infruttuose di contenuti o da lentezze di collegamento. Il compito di chi fa comunicazione in rete è evitare in tutti i modi di far sprecare tempo ai suyoi interlocutori: perché dallesperienza imparano presto a diventare impazienti. Questo è vero specialmente nel caso delle persone più attive e impegnate proprio quelle con cui è più interessante stabilire un dialogo. È una fuga dalla realtà, porta alla solitudine Non è vero. Se qualcuno per natura è misantropo, forse può trovare un rifugio nella rete. Ma se cè in giro qualche persona così devessere abbastanza rara, perché in sei anni di frequente attività in rete non ne ho incontrata una né altri, più esperti di me, mi hanno mai detto di aver conosciuto un caso di quel genere. Anzi, la maggior parte delle persone che frequenta la rete è piuttosto socievole. Qualche volta ride e scherza, qualche volta litiga, ma ha sempre una forte spinta allo scambio, non solo di opinioni, ma anche di emozioni e sentimenti. Fra i messaggi più frequenti che si incrociano ci sono cose come «allora quando ci vediamo in pizzeria?» o, se si è lontani, «quando passi dalle mie parti»? Un gruppo di telematici storici, che gira intorno a tre o quattro BBS a Milano, ha da anni un incontro fisso, tutti i giovedì, in un bar vicino alla Scala. E così, in un modo o nellaltro, succede dovunque. Sono pochissime le persone con cui ho fatto amicizia in rete e che non ho poi incontrato di persona. Con quelle poche, ci stiamo dicendo: «speriamo di riuscire a vederci presto». Certo, è meno facile se una delle persone è in India e laltra è in Italia: ma ci potete scommettere che se una delle due farà un viaggio una delle prime cose che farà sarà telefonare allaltra. Mentre scrivo queste righe, due persone che ho conosciuto in rete (una sta a Barcellona, laltra a Parigi) stanno organizzando un incontro di tutti e tre in Provenza per bere un bicchiere di vino insieme. Insomma il tessuto fondamentale della rete non è fatto di tecnologie, cavi, satelliti, macchine, programmi o protocolli. È fatto di persone. Le reti telematiche esistono da quasi ventanni. Ma il fenomeno di cui si parla oggi, genericamente definito internet, nella forma in cui lo conosciamo si è diffuso, in Italia, alla fine del 1994 e nel resto del mondo non molto prima. Ma che cosè, questa internet? Qualcuno immagina che ci sia una struttura omogenea, una singola rete, chiamata internet. Ma non è così. Le reti sono decine di migliaia, ognuna completamente autonoma.
Linternet è un sistema che permette a diverse reti di collegarsi fra loro, in modo che chi è collegato a una delle reti può comunicare con chiunque sia collegato a una qualsiasi delle altre. In pratica dà a chi si collega la percezione di muoversi in un singolo sistema globale; e il servizio che dà è proprio come se lo fosse. Non tutte le reti del mondo sono collegate allinternet (e tantomeno tutti i computer); ma chiunque voglia farlo si può collegare al sistema. Soprattutto, questo sistema permette a ognuno di noi di trasmettere informazioni, idee e opinioni; non solo di riceverle. Siamo tutti, contemporaneamente, autori e letori, spettatori e protagonisti: il sistema ci permette di essere davvero interattivi. Il sistema funziona su scala planetaria; non ha sede geografica, né confini. Si suddivide in comunità che non dipendono dal luogo fisico ma sono definite, per aree di interesse e di argomento e per la natura dello scambio, dalla libera scelta di tutti coloro che usano il sistema. Per una descrizione dettagliata dellinternet e della sua struttura
vedi Per chi vuole approfondire alcuni aspetti una parte del testo si trova in un supplemento.
Che cosa vuol dire, interattività? Per capire meglio tutto ciò che si è detto fin qui, e in generale i valori della rete, mi sembra indispensabile chiarire il senso di una parola: interattività La sentiamo e la leggiamo usata in tanti modi diversi. Perdonatemi questa pignoleria socratica, ma se non si stabilisce bene il senso delle parole si rischia di non capirsi e su questo argomento la confusione abbonda. È uno solo il significato di interattività nel mondo di cui parliamo qui, sulla frontiera elettronica, sulla cresta della quarta ondata. Sentiamo dire che uninterfaccia è interattiva perché se diamo un certo comando, o premiamo un certo pulsante, esegue un ordine; o perché se scegliamo, una domanda, in una serie già predisposta, ci dà la risposta precostituita. E magari se sbagliamo, o diamo un comando non previsto, emette un segnale acustico e ci dice «No! questo non si può fare». Sarebbe come dire che è interattiva una macchinetta per la distribuzione del caffè che ci permette di sceglierlo dolce o amaro, con o senza latte o la spia della pressione dellolio sul cruscotto della nostra automobile. Sentiamo dire che un cd-rom è interattivo perché ci permette di scegliere che cosa vogliamo leggere o vedere, e in risposta a certi nostri comportamenti può emettere suoni o parole standardizzate. A questa stregua, è interattivo anche un juke-box, o una bambola che dice mamma quando le schiacciamo il pancino. Posso ammettere che unenciclopedia su cd-rom posa essere definita ipertestuale: il neologismo è un po comico, ma almeno è preciso. Non so che senso abbia definirla interattiva. Sentiamo dire che un gioco è interattivo perché segue una sua logica precostituita e non ci fa vincere se non siamo abbastanza abili, veloci o ragionanti per capire dove sono le trappole o gli indovinelli; o perché alle nostre mosse contrappone le sue risposte, secondo le regole stabilite da chi ha scritto il programma. Per quanto raffinato, complesso, ingegnoso e divertente possa essere il gioco, non è più interattivo di un giocattolo elettrico che accende una lucina, o emette un suono di approvazione, quando il bambino sceglie la risposta giusta; e invece grugnisce se la risposta è sbagliata. Di questo passo, si potrebbe definire interattivo un biglietto della lotteria gratta e vinci. Cerchiamo di semplificare: se ciò con cui interagiamo è una macchina, o un programma automatico, e non una persona, non si tratta di interattività nel senso di cui parliamo in questo contesto. Ci sono anche situazioni umane, per esempio trasmissioni televisive, che si definiscono interattive, perché il pubblico può rispondere facendo un certo numero di telefono, e votare; o perché arrivano direttamente al conduttore, in diretta, le telefonate dei telespettatori. Come ho già detto, questa è interattività finta. Perché qualcuno, unilateralmente, stabilisce le regole, definisce i criteri, governa il dialogo come vuole; e tutti gli altri non possono far altro che muoversi allinterno di piccoli spazi ben definiti. E non cambierà affatto la situazione se un giorno, invece di usare il telefono, lo spettatore potrà premere un pulsante. Se e quando ci saranno 500 canali, video on demand, collegamenti con giornali, riviste, biblioteche, cineteche e gallerie di negozi online attraverso un televisore digitale, eccetera... lo spettatore (se lo vorrà) avrà più potere, perché avrà più libertà di scelta. Ma non ci raccontino favole: non sarà una situazione interattiva. Se no dovremmo chiamare interattivo il telecomando, o il dito che volta la pagina di un giornale, o la mano che sceglie negli scaffali di una libreria o di un supermercato. Interattività, almeno in queste pagine, significa una cosa completamente diversa. Un dialogo ad armi pari, in cui nessuno ha privilegi, in cui tutti hanno la stessa quota di voce e lo stesso diritto di parola. Questo è il terreno su cui deve imparare a muoversi chi vuol fare comunicazione nella rete, che non sia solo una brutta copia di metodi è meglio riservare a quei mezzi per cui sono nati. Questa è la possibilità che si offre a ognuno di noi se abbiamo la voglia, la pazienza e la curiosità di esplorare nuovi orizzonti, cercare nuovi stimoli, scambiare idee e opinioni con tante persone che in nessun altro modo avremmo loccasione di conoscere. |
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