le imprese e l'internet



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Le due facce
della “convergenza”

Con alcuni anni di ritardo, e dopo che sono stati sprecati fiumi d’inchiostro (e non pochi miliardi) su ipotesi sbagliate e strategie senza futuro, comincia a farsi luce anche nei grandi mezzi di informazione (e nella gestione delle imprese) il fatto che la cosiddetta “convergenza digitale” è un mito.

Ma si continua a parlare di “convergenza” delle tecnologie. Fenomeni di “convergenza”, ovviamente, esistono ed esisteranno; come ci sono stati molte volte in passato. Ma questa evoluzione ha due aspetti profondamente diversi secondo la prospettiva da cui la si osserva. La tendenza dominante è vederla dal punto di vista dei fornitori di risorse e di tecnologie. Ciò che conta, invece, è l’opposto: il punto di vista delle persone (e delle organizzazioni) che le devono usare. Le conseguenze di questo errore di prospettiva sono sempre più preoccupanti, e spesso grottesche.

Vedi Il pane spremuto e il limone tostato
e Il mito della convergenza

Fin che le applicazioni sono collaudate, funzionali e relativamente semplici, l’elettronica migliora la qualità e ci offre servizi e vantaggi che ormai siamo abituati a considerare ovvi. La cosiddetta “piattaforma digitale” offre possibilità prima inimmaginabili a tutti i sistemi di comunicazione. Fin qui... tutto bene.

Ma quando ci si mette di mezzo la “convergenza” le cose si complicano. Per un ingegnere elettronico o un programmatore di software è molto divertente accumulare funzioni. Il risultato è che l’oggetto più banale diventa un concentrato di cose eterogenee; usarlo è sempre più difficile, le possibilità di disfunzione si moltiplicano.

Si stanno intensificando i segnali di rivolta e di resistenza contro le complicazioni inutili e le false “innovazioni”.
Vedi Elogio della semplicità.

Per chi vende tecnologia o connettività può essere utile far “passare” cose diverse attraverso le stesse strutture tecniche. Ma non è vero che questo convenga a chi deve usare quei servizi o sistemi di comunicazione. Nella maggior parte dei casi, è vero il contrario.

Il cosiddetto “coltello svizzero” è un oggetto affascinante. In un piccolissimo spazio contiene lame, forbici, cacciaviti, apriscatole, cavatappi... perfino una lente d’ingrandimento e magari una bussola. Divertente... e talvolta utile se ci troviamo in una situazione di emergenza, cioè dobbiamo aggiustare qualcosa e non abbiamo gli attrezzi sottomano. Ma nessuno degli strumenti contenuti in quell’oggetto “multiuso” può funzionare così bene come i singoli arnesi “monouso”.

Nelle tecnologie più semplici il fatto è evidente. In quelle complesse nasce più facilmente una perversa confusione fra ciò che può convergere “secondo tecnologia” e ciò che deve convergere “secondo funzione”. Sono due prospettive profondamente diverse e spesso incompatibili.

Un martello non è un manico di legno con una testa di ferro. C’erano martelli di pietra prima che si scoprisse la tecnologia dei metalli. Oggi si sono, secondo la funzione, martelli tutti di legno, o tutti di metallo, o di plastica o di qualsiasi altro materiale. Ciò che definisce un martello è il fatto che serve per piantare chiodi, o per picchiare su qualcosa. Non il materiale di cui è fatto o la tecnologia con cui viene prodotto.

Una situazione molto più complessa, ma concettualmente chiara, è un intervento chirurgico. Dal più banale, come l’otturazione di un dente, al più complesso come il trapianto di un organo. Si sono fatti grandi progressi nella chirurgia con la “convergenza” di tante tecnologie completamente diverse. Meccaniche, termiche, chimiche, biologiche, radiologiche, elettroniche, cibernetiche... eccetera. Al centro del sistema non c’è questa o quella soluzione tecnica. C’è il paziente. Come ottenere il miglior risultato possibile con il minor danno, il minor rischio e la minore sofferenza?

Quando Johann Gutenberg inventò un novo sistema di stampa fece “convergere” tecnologie diverse che si erano già sviluppate per altri usi. Dalla metallurgia al torchio, dalla chimica degli inchiostri alla fabbricazione della carta. Il sistema che aveva concepito ha funzionato per cinquecento anni – solo recentemente sostituito (in parte) dall’elettronica.

Se gli oggetti, le tecnologie, i sistemi di cui ci serviamo – e le strabilianti “novità” che ogni giorno qualcuno propone – fossero concepite con quella chiarezza di obiettivi e ben progettata funzionalità, sarebbero efficienti e utili. Sarebbero anche specificamente adatte a diversi tipi di utilizzo e alle esigenze di persone (e imprese) diverse, invece di tentare di essere “tutto per tutti” e quindi funzionali per nessuno. L’innovazione e l’evoluzione si concentrerebbero sul fare meglio ciò che serve, non sul moltiplicare funzioni inutili.

In tutte le cose, grandi o piccole, semplici o complesse, la “convergenza” è utile se orientata al risultato, inutile o nociva se orientata alla tecnologia. Uno dei misteri del periodo in cui viviamo è perché questo elementare principio sia così spesso dimenticato.




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Questo è il capitolo 20 (di 32)
del libro Le imprese e l’internet
di Giancarlo Livraghi e Sofia Postai
L’indice si trova su
http://gandalf.it/upa/
 


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