|
|
||
Vorrei fare una "doverosa premessa". Non conosco Riccardo Chiaberge e non ho alcun motivo di antipatia o di ostilità nei suoi confronti. Se ho scelto il suo articolo per analizzarlo non è perché sia migliore o peggiore di tanti altri. Anzi, nella vasta proliferazione di commenti sull'internet, questo è uno dei pochi testi che contengono affermazioni valide e significative. Ma è un'interessante mistura di osservazioni serie e di sconcertanti banalità; un'antologia efficace di quelle che (purtroppo) sono le percezioni più diffuse nel mondo dell'informazione e di conseguenza nel mondo politico e nelle "alte sfere" dell'economia. Perciò, secondo me, merita di essere "chiosato" punto per punto. Nel mondo dei computer, l'eroe dalla riscossa europea si chiama Linus Torvalds, il ragazzo finlandese autore di un nuovo sistema operativo che fa concorrenza a Windows. Una specie di Guglielmo Tell informatico, capace di sfidare a mani nude l'impero di Bill Gates. L'aspetto positivo di questo discorso è che il mondo dell'opinione e dell'economia, anche in Italia, sta cominciando ad accorgersi che esiste Linux; anche se non ha ancora capito il significato sostanziale di opensource e di compatibilità. La descrizione romantica della situazione lascia molto a desiderare. A trent'anni, Linus Torvalds è giovane rispetto a successo che ha ottenuto; ma non è un ragazzino. Ormai è un "padre di famiglia": la sua bambina si chiama Patricia Miranda Torvalds. È un po' bizzarro definire "nuova" la tecnologia di Linux, che esiste dal 1991 (ed è un'evoluzione di Unix, che esisteva dieci anni prima di Windows). Può darsi che all'inizio fosse la sfida "a mani nude" di un'eroico arciere visionario. Ma oggi è una realtà consolidata, accettata e sostenuta dal mercato e da molte grandi imprese dell'informatica. E (purtroppo) non si tratta di una "riscossa europea". Torvalds è nato e cresciuto in Finlandia (che fin dalle origini dell'internet è molto più avanti del resto dell'Europa nell'uso della rete) ma vive in California. Lo sviluppo dell'opensource è basato prevalentemente negli Stati Uniti (anche se si serve della collaborazione di programmatori di tutto il mondo, compresa l'Italia). Il problema dell'Europa è che subisce, più dell'America, il predominio della Microsoft e di altre soluzioni che mal si adattano alle sue esigenze. E continua a non capire come l'opensource, e in generale la compatibilità, siano le premesse per ogni possibile "riscossa europea". Come ha confermato, in una recente intervista, Vinton Cerf. Il piano di alfabetizzazione digitale annunciato in luglio e riconfermato ai primi di settembre da Massimo D'Alema sembrava una cosa seria. ..... Sono passate poche settimane ed ecco che di quel piano, nelle bozze della legge finanziaria che circolano in queste ore, si è perduta ogni traccia. Qualcuno, alle finanze o al tesoro, ha depennato il computer dalla lista della spesa e chi ha lasciato soltanto il pecorino. Peccato che, a differenza del formaggio, la rete non fermenta spontaneamente. Ha bisogno della politica. In parte vero, ma in gran parte sbagliato. Le rete fermenta, e come. Prima di pensare all'intervento della politica occorre capire molto meglio come funziona. Più penso allo sviluppo dell'internet, più mi convinco che è un fenomeno biologico e che per coltivarla bene occorre una mentalità da agricoltori. Un concetto, secondo me, fondamentale; che ho svolto in un articolo nel numero di ottobre di Web Marketing Tools e cui ho dedicato un intero libro, che uscirà (spero) prima della fine dell'anno. Prima di discutere sulla quantità degli stanziamenti, ci vorrebbe un approfondimento molto più serio sulla qualità degli interventi utili. Sarà meglio se la politica starà lontana dalla rete fino a quando avrà capito che cosa deve fare e soprattutto che cosa non deve fare. Gli "incentivi" di cui si è parlato finora sono così deboli, inutili o del tutto sbagliati che forse è meglio se non se ne fa nulla. In questi giorni abbiamo un'ennesima prova di quanto poco le nostre grandi organizzazioni sappiano usare l'informatica: il tragicomico blocco della stazione Termini a Roma non è colpa di un computer, ma di un errore umano. La responsabilità è di chi non ha saputo organizzare il sistema e fare le necessarie sperimentazioni prima di applicarlo. Ma questo è solo un sintomo vistoso di un problema molto più profondo. Nel caso dell'internet, è ancora peggio. Una snervante giornata trascorsa a Bologna il 22 settembre, in una delle sessioni "itineranti" del Forum per la Società dell'Informazione organizzato dalla Presidenza del Consiglio, mi ha dato l'ennesima conferma di quanto poco le nostre autorità centrali abbiano capito la vera natura della rete. Anche nella Pubblica Amministrazione si sentono voci dalla "periferia", cioè da chi è vicino all'esperienza concreta, che dicono cose utili e umanamente rilevanti. Ma il centro è sordo e cieco, immerso nella falsa cultura degli automatismi e delle soluzioni "dal vertice". Aggiungere tecnologia al marasma burocratico da cui siamo afflitti serve solo a peggiorare la situazione. Inoltre... dovrebbero smetterla, una volta per tutte, di parlare di alfabetizzazione. Quel banale, scostante, opprimente indottrinamento tecnico che deprime e umilia i valori reali umani e culturali della rete. L'internet ..... deve gran parte del suo successo all'impegno del vicepresidente Al Gore. Sulle "autostrade informatiche" ognuno deve poter viaggiare liberamente, ma tocca allo Stato costruirle. Credevo che la vecchia favola delle "autostrade" fosse defunta, ma a quanto pare galleggia ancora nella confusione di idee che circonda la rete. Il fondamentale "intervento pubblico" che ha fatto nascere l'internet è la definizione dei protocolli e dei sistemi, aperti, gratuiti e universalmente disponibili, stabiliti dal governo americano fra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta (quando non era vicepresidente Al Gore, cui chissà perché questo articolo, come altri, attribuisce la "paternità" dell'internet). La rete, per fortuna nostra e per volontà di chi l'ha fatta nascere, è un "bene comune" che appartiene a tutti e non è dominato da nessuno. Se di interventi pubblici abbiamo bisogno non è per assoggettare l'internet a un governo o a qualche altro potere centrale, ma per garantirne la libertà e la trasparenza e per darci quella compatibilità e apertura che abbiamo nella rete ma non, purtroppo, nel software. Credito di imposta per chi investe in siti web rivolti al commercio elettronico, detassazione degli utili destinati alla creazione di nuovi centri di servizi online, incentivi alle aziende che favoriscono l'acquisto di pc da parte dei dipendenti. Questi sono alcuni dei provvedimenti di cui l'articolo piange la scomparsa. Che manchi una strategia di sostegno a uno sviluppo intelligente della rete è un problema. Ma non mi sembra il caso di rimpiangere quell'accozzaglia di "incentivi" mal pensati. Nessuno (né le aziende, né il governo) ha capito come si debba operare efficacemente online. Incentivare nuove attività nella direzione più banale servirebbe solo a moltiplicare gli errori e le iniziative sbagliate. Non si capisce che cosa voglia dire "creazione di nuovi servizi online" ma non vorrei che questo si traducesse in un ennesimo favore ai grandi operatori di telecomunicazioni già troppo favoriti dalle tariffe che non si abbassano e dai grossi guadagni che fanno con l'interconnessione. Infine, invece di incentivare l'acquisto di nuovi computer inutilmente complessi e costosi, si dovrebbe favorire un migliore utilizzo delle macchine già esistenti e incoraggiare l'offerta di macchine nuove a prezzi più ragionevoli. La tendenza in questo senso è già forte negli Stati uniti, mentre da noi si continua a seguire l'assurdo percorso dell'obsolescenza forzata. Si potrebbero immaginare incentivi molto più utili. Un supporto energico a soluzioni opensource, meno costose e più efficienti. Un incentivo al recupero di computer ancora validi e funzionanti per renderli disponibili ai "non abbienti" (di denaro e di informazione). Un incentivo alle imprese (specialmente alle "piccole e medie") che, con o senza un sito web, usano la rete per svilupparsi all'esportazione. Un sostegno alle organizzazioni "senza fini di lucro" che danno un vero contributo alla cultura della rete. Attività di formazione e di acculturazione non sulle tecnologie ma sui valori umani e culturali della comunicazione interattiva. Cose semplici e davvero utili; ma, a quanto pare, molto lontane dalle prospettive di chi governa e di chi traccia le linee dell'informazione dominante. Ha ragione D'Alema quando dice che l'internet deve diventare uno status symbol come è stato (e forse non è più) il telefonino. Non bisogna mitizzarla, perché pullula di ciarlatani. Ma è la spina dorsale della nuova economia, il binario su cui corre il futuro. Parole sagge... ma ci siamo accorti che fra i "ciarlatani" ci sono grandi organizzazioni con una forte influenza sul potere economico e politico? E perché dobbiamo metterci di mezzo un'idea stupida come quella dello status symbol? Qualcuno può anche dire che "il fine giustifica i mezzi", ma è possibile e desiderabile che a un uso intelligente e concreto della rete si possa arrivare senza passare attraverso un'inutile e futile "moda" e a un ennesimo tributo all'insulso culto delle apparenze. Le nostre aziende, invece, con poche eccezioni, usano la rete solo per mettersi in vetrina: 130 mila hanno una propria "pagina" web, ma i siti di e-commerce sono appena 650 con un volume di affari annuo che non supera i 700 milioni di lire. Qui finalmente l'articolo mette il dito sulla piaga. Non so dove l'autore abbia trovato i numeri che cita; e cade nel solito errore di considerare come attività d'impresa in rete solo la più banale definizione di e-commerce (un sito web in cui si vende qualcosa). Ma "più o meno" i conti tornano e "a grandi linee" l'osservazione è giusta e rilevante. L'articolo mette in evidenza anche un altro fatto: oggi è facile che un italiano compri qualcosa online da un sito all'estero; molto più raro il caso che dall'Italia si venda qualcosa nel resto del mondo. Secondo i dati citati in quell'articolo, l'Italia avrebbe circa l'1,5 per cento della rete mondiale. Secondo altre analisi che considero più attendibili, siamo a meno dell'1 per cento. Nell'uno o nell'altro caso, il senso del ragionamento non cambia. Ci sono 99 probabilità su cento che lo sviluppo degli acquisti online (se e quando verrà) faccia crescere le importazioni. Viceversa, il 99 per cento del mercato per le nostre imprese è fuori dai nostri confini. Se non ci diamo una mossa per invadere il "mercato globale", lo sviluppo dell'internet sarà un disastro per la nostra "bilancia dei pagamenti". Questo mi sembra il punto più importante in tutti i ragionamenti sul "commercio elettronico". A fare da freno è per di più il terrore di essere cannibalizzati dalla tecnologia, di svuotare i negozi o di scatenare l'ira dei sindacati. Ma pesa anche la pignoleria del fisco, che esige ricevute e fatture cartacee anche per gli acquisti online e rifiuta di ammettere lo scontrino elettronico. Anche questo è vero. Naturalmente i timori della "cannibalizzazione" sono esagerati; ma il fatto è che l'unico modo per non essere "scavalcati" dall'internet è usarla attivamente. Anche il problema delle remore burocratiche è molto serio. Più che accumulare nuove "regole", spesso mal concepite, o pensare a "incentivi" inefficaci, bisognerebbe prima di tutto rimuovere gli ostacoli dovuti a norme e procedure antiquate o male interpretate. E non solo nelle leggi e nella pubblica amministrazione. Anche il sistema bancario, che a parole dichiara di voler sostenere lo sviluppo dell'e-business, in pratica continua a frapporre ostacoli e resistenze a un uso efficiente delle carte di credito e di altre forme di pagamento in rete. L'articolo di Chiaberge conclude così: E non basta. L'economia della rete è fondata sul
"capitale intellettuale": esige nuove
professionalità e un rapporto più stretto tra
scuola, università e imprese. .... Ben detto. :) Ma credo che siano necessarie due osservazioni. La prima è che per operare "a parità di condizioni" abbiamo bisogno di sistemi aperti e compatibili. La seconda è che non dobbiamo mettere l'accento solo sulle tecnologie. La rete è uno strumento per sviluppare l'attività di qualsiasi genere d'impresa. Le "nuove professionalità" non sono soltanto tecnologiche. C'è un gran bisogno di competenze "umanistiche". La rete non è fatta di computer, software e protocolli: è fatta di persone, relazioni umane e comunità. Quante volte lo dovremo ripetere prima che arrivi alle orecchie di chi governa il nostro stato, la nostra amministrazione pubblica, la nostra scuola e la cultura "ufficiale", compresa l'università? |
|
||
Chi legge abitualmente questa rubrica sa che cito spesso e volentieri Gerry McGovern, un autore particolarmente lucido e brillante su tutto ciò che riguarda la rete. Mi sembrano interessanti le osservazioni a proposito della presunta "convergenza" fra l'internet e la televisione nel suo articolo The limits of convergence del 4 ottobre 1999 Avete sentito parlare della nuova TarmaAquaAir della
General Motors? Un'automobile che diventa un aeroplano che
diventa una barca. No? Neanch'io. Tutti usiamo mezzi di
trasporto sulla strada, sull'acqua e nell'aria, ma non ha
senso creare un veicolo che faccia tutte e tre le cose. La prospettiva più rilevante è un'altra. Se per una superficiale analogia (schermo e monitor) si tende a pensare al matrimonio televisione-computer, in realtà è più significativo il matrimonio fra il computer e l'editoria. Nel campo librario c'è già molta editoria elettronica, ma in gran parte è ancora basata sulla novità del supporto più che su un'efficace gestione dei contenuti. Come dice Alan Cooper, è la sindrome dell'orso danzante: balla male, ma ci incuriosisce perché è un orso. La vera maturità dell'editoria elettronica nascerà da un progressivo e paziente lavoro di applicazione dei veri valori dell'ipertesto e di gestione efficace dei contenuti; resa ancora più efficace da un'altra, e davvero valida, "convergenza": l'abbinamento fra i supporti "fisici" (cd-rom, dvd o altri che potranno evolversi) e l'internet. Giornali e periodici online non sono più una novità; e tendono ad aggregarsi per diventare "portali". Ci sono già, anche in Italia, interessanti esperienze di autentiche redazioni online per giornali che continuano a uscire anche in forma "cartacea", come di "testate" che esistono solo in rete. Ma anche in questo siamo appena agli inizi. Ci sono grandi spazi ancora da esplorare per lo sviluppo dell'editoria elettronica. |
|
||
Il 5 ottobre c'è stata a Milano una presentazione, organizzata da Mediaforce, chiamata Insight 2010 Una storia di tecnologie e di esseri umani. Il protagonista era Arno Penzias (premio Nobel per la fisica); collegati in teleconferenza da Zurigo l'architetto Mario Botta, da Stoccolma Carl-Göran Hedén della Biofocus Foundation, da Tokyo Masayoshi Morimoto della Sony e da Summit, New Jersey un "imprenditore". Ho ascoltato attentamente la relazione di Arno Penzias e il giorno dopo ho avuto un colloquio con lui. Ne sono emerse considerazioni interessanti, di cui parlo in un articolo che si trova anche su questo sito. Osservazioni e ipotesi rilevanti sulla realtà di oggi e sulle possibilità del futuro nei rapporti fra le persone e le tecnologie. Ma di tutte quelle cose non c'era traccia negli articoli apparsi sui quotidiani il giorno dopo. Con astuzia nella gestione dello "spettacolo", gli organizzatori della presentazione avevano introdotto un effetto "a sorpresa". Quando si è stabilito il collegamento con un "imprenditore americano", si è visto che è un ragazzino. Naturalmente i giornalisti si sono precipitati sulla "stranezza" e hanno parlato di un bambino miliardario. Se gireranno altre storie di questo genere potremmo assistere a scene curiose e un po' inquietanti... come qualche mamma ambiziosa che dopo aver "lanciato" la figlia maggiore in un concorso di bellezza va in un negozio di computer a comprare tutte le diavolerie tecniche che trova per cercare di trasformare suo figlio più piccolo in un'altra macchina da soldi. Chi era presente all'incontro ha potuto notare che il giovane "imprenditore" non ha le caratteristiche e l'espressione di un genio precoce o di un miliardario in erba. Abbiamo visto un ragazzino come tanti altri, palesemente imbarazzato dalle domande e assistito nelle (banali) risposte da un suggeritore "fuori campo" probabilmente suo padre o sua madre. Ben Blonder ha 12 anni; suo fratello Keith ne ha 10. Vivono a Summit, una piccola città nel New Jersey. La loro minuscola Shop Summit è riuscita ad affermarsi come servizio per le piccole imprese locali che vogliono avere una presenza online. Durante il collegamento è stato chiesto a Ben Blonder di quali risorse tecniche ha bisogno per gestire la sua azienda. Non molto, ha risposto: una workstation grafica (Macintosh), un PC, una macchina fotografica digitale e uno scanner. Alcuni amici aiutano i due fratellini e fanno i venditori. Da un controllo sul loro sito risulta che le imprese pagano, secondo il tipo di servizio richiesto, da 5 a 20 dollari al mese (o da 50 a 200 dollari all'anno). Shop Summit ha 14 clienti, fra cui un calzolaio, un antiquario, un vinaio, un droghiere, un cartolaio, un negozio di arredamento, un tabaccaio, un gioielliere, una palestra di ginnastica, un fornaio, un pasticciere... Insomma cinque o sei ragazzini si dividono un incasso fra i 70 e i 200 dollari al mese. Parecchi, se li spendono in giocattoli o gelati; e con un investimento in macchine e attrezzature che è stato probabilmente pagato da mamma e papà. Ma non si tratta di "miliardi". Negli Stati Uniti è abitudine diffusa che i ragazzi facciano qualcosa, nelle ore libere dalla scuola, per guadagnare un po' di soldi: andando in giro in bicicletta a consegnare giornali o mettendo su un banchetto per vendere la limonata. Ben e Keith Blonder hanno trovato un modo nuovo per fare lo stesso genere di cose e guadagnare un po' di più. Insomma, che cos'ha di interessante questa storia? Non significa, naturalmente, che la rete sia una sala-giochi per i "bambini prodigio". Ma dimostra che ci possono essere infinite occasioni per chi sa come offrire "la cosa giusta al momento giusto"; e che le radici locali e il "vicinato" sono importanti. Non solo per chi opera in un territorio ristretto ma anche per chi (a differenza dei ragazzi di Summit) vuole espandersi nel mondo e spesso trova nel suo ambiente d'origine le risorse, le competenze e la collaborazione di cui ha bisogno. |
Lista dei link
Com'è abituale in questa rubrica, ecco una lista dei link per comodità di chi stampa il testo
prima di leggerlo e quindi non può andare direttamente alle connessioni offerte durante la lettura online.Caos e complessità: "curve" per ragionare http://gandalf.it/mercante/merca10.htm#heading03
Edupage http://www.educause.edu/pub/edupage/edupage.html
Sintomi di crescita in Italia http://gandalf.it/mercante/merca37.htm#heading02
Italia mia, benché il parlar sia indarno... http://gandalf.it/offline/off18.htm
Opensource: "Liberarci dalla schiavitù elettronica" http://www.alcei.it/news/cs990128.htm
Colloquio con Vint Cerf http://gandalf.it/nm/cerf.htm
La coltivazione dell'internet http.//gandalf.it/offline/off19.htm
Non vogliamo essere alfabetizzati http://gandalf.it/mercante/merca34.htm#heading01
Numeri nel mondo http://gandalf.it/mercante/merca38.htm#heading02
Gerry McGovern "The limits of convergence" http://nua.ie/newthinking/archives/newthinking342/
Croce e delizia: i libri digitali http://gandalf.it/garbugli/garb15.htm
Il valore dell'ipertesto http.//gandalf.it/mercante/merca25.htm#heading06
La guerra dei portali http://gandalf.it/mercante/merca35.htm#heading01
Colloquio con Arno Penzias http://gandalf.it/nm/penzias.htm
Shop Summit http://www.shopsummit.com