Le ambiguità delle tecnologie

Appunti per un intervento
di Giancarlo Livraghi al seminario SEU
Imprese e nuove tecnologie

Perugia – 29 ottobre 2003


 
Per i lettori abituali dei miei libri, articoli o relazioni
queste annotazioni sono in gran parte ripetitive.
Ma poiché si continuano a riproporre questi temi,
e continuano le ambiguità a proposito di tecnologie e innovazione,
forse non è inutile riportare anche qui un breve appunto
che è servito come premessa per aprire un dibattito
alla fine di un seminario organizzato dalla regione Umbria
(nel quando di progetti dell’Unione Europea)
a Perugia il 29 ottobre 2003.
 



Vorrei premettere che non sono un tecnico, né ho specifiche competenze nell’informatica. La mia esperienza (fin dai tempi in cui il più piccolo elaboratore elettronico aveva le dimensioni di un autotreno) è quella dell’utilizzatore. In una grande varietà di applicazioni – di ricerca, di verifica, di organizzazione delle informazioni e di gestione d’impresa. Non sono “scettico” sulle tecnologie, ma al contrario sono fortemente convinto della loro utilità. Ma l’esperienza mi ha insegnato che il modo in cui le tecnologie sono scelte e applicate è determinante per la qualità dei risultati. E da questo punto di vista mi sembra giustificato e opportuno avere alcune serie perplessità.



Si parla molto di “nuove tecnologie”, ma il concetto è confuso. Non esiste un sistema ordinato e coerente di innovazione tecnologica. L’evoluzione è turbolenta e disordinata. Lo è sempre stata, come dimostra un’analisi storica delle scoperte o invenzioni e delle loro successive applicazioni. Lo è ancora di più oggi, per la proliferazione di soluzioni e proposte non sempre utili, non sempre durevoli, non sempre funzionali.

Un’analisi svolta nel 2002 dimostra che, solo negli Stati Uniti, sono stati sprecati 65 miliardi di dollari in “nuove” tecnologie non solo inutili, ma in pratica dannose. Nel resto del mondo la situazione non è migliore. L’uscita dalla fase di “orgia tecnologica” è gremita di perplessità, di disorientamento e di conseguenze negative derivanti da un’affrettata e male impostata rincorsa di tecnologie che promettevano miracoli impossibili. Perché si è cercata una “innovazione” fine a se stessa, senza adeguata verifica delle strategie, delle esigenze e del processo.

Quando si tratta di tecnologie industriali le imprese, di solito, si orientano in modo più chiaro. Hanno un’idea più precisa ci ciò che serve, di come è opportuno adottare e applicare nuovi sistemi di ricerca e sviluppo e nuove tecnologie produttive. Anche in questo caso possono esserci errori, per carenza o per eccesso di investimenti – o per scelta di risorse non adatte. Ma sono meno frequenti, perché le imprese sanno interpretare bene le loro esigenze e quelle del mercato – e hanno capacità specifiche, tecniche e gestionali, per impostare e governare il processo.

Ma quando si tratta di tecnologie dell’informazione, della comunicazione e della gestione la situazione diventa molto più confusa. Proliferano le offerte di soluzioni “buone per tutti e perciò utili a nessuno”. Si diffondono insistentemente perverse strategie di vendita basate sulla paura, sull’ipotetico rischio che chi “non si aggiorna” possa restare indietro, essere emarginato o superato dalla concorrenza. Quando le scelte sono fatte in questo modo, spesso la soluzione è più dannosa del problema. Una terapia senza adeguata diagnosi può essere peggiore del male (reale o immaginario) che ha la presunzione di curare.

Il furibondo, affrettato inseguimento delle “nuove tecnologie” fine a se stesse ha prodotto, finora, più danni che vantaggi. Ci sono diffuse, e spesso giustificate, percezioni di diffidenza e delusione.

Siamo cosi caduti in una situazione paradossale. Da un lato è vero che, se usate bene, le “nuove tecnologie” possono offrire vantaggi importanti. Dall’altro c’è il rischio che, se male applicate, non risolvano alcun problema e creino molte nuove difficoltà.

La soluzione è concettualmente semplice. Anziché partire dalle tecnologie e con un assurdo “processo a ritroso” adattarle all’impresa (o, ancora peggio, adattare l’impresa alle tecnologie) occorre fare il cammino contrario.

Occorre, prima di tutto, definire quali sono le reali esigenze dell’impresa. Poi analizzare il processo e verificare se, come e in quali punti le risorse offerte dalle tecnologie possono essere concretamente utili. E, di conseguenza, scegliere le tecnologie in base alle esigenze e al processo – non viceversa. Questo è, ovviamente, il metodo che ogni impresa segue in tutte le sue attività. Uno dei bizzarri misteri dell’epoca in cui viviamo è che, nel caso dell’informatica (e anche dei sistemi di comunicazione) si segua un po’ troppo spesso il cammino inverso.

Spesso le soluzioni più efficienti sono le più semplici. Tecnologie inutilmente complesse, sovraccariche di funzioni non necessarie, difficili per chi le usa, soggette a continui quanto inutili “aggiornamenti”, eccetera, spesso sono inaffidabili e pericolose. Aggiungere funzioni e complessità (se e quando servono davvero) è sempre possibile. Più lo si fa gradualmente, in base a una concreta sperimentazione, e con soluzioni “tagliate su misura”, più il risultato sarà gestibile, efficiente e funzionale.

Non solo è necessario scegliere le tecnologie più adatte, ma è anche importante non installare o usare “troppa” tecnologia prima di averne valutate le specifiche utilità. L’installazione di tecnologie inutili, o inutilmente complesse, non è solo uno spreco di denaro. È un danno, che può nuocere seriamente all’efficienza e al benessere dell’impresa.

Non è bene inseguire le “novità” in quanto tali. Spesso le soluzioni proposte come “nuove” sono inutilmente complesse, inadeguatamente verificate, soggette a malfunzionamenti, male adattabili alle esigenze specifiche di una singola impresa od organizzazione. L’innovazione deve essere graduale e verificata, passo per passo, per sapere se e quando è utile cambiare e quando, invece, è meglio attendere che ci siano soluzioni più efficienti e più adatte.

La flessibilità è fondamentale. Mentre un robot industriale svolge un compito molto specifico con estrema precisione, le tecnologie dell’informazione e della gestione tendono a “fare tutto” in modo preconcetto e schematico. La flessibilità del processo, e di conseguenza delle tecnologie applicative, è indispensabile per poter sperimentare e verificare il sistema in tutte le sue parti prima che un irrigidimento produca conseguenze difficilmente reversibili.

Un altro principio, concettualmente semplice, ma insufficientemente praticato, è che le tecnologie devono essere al servizio delle persone – non viceversa. L’investimento fondamentale non è in macchine o software, ma in formazione ed evoluzione culturale. Le soluzioni più efficienti sono quelle che non solo corrispondono alle strategie organizzative dell’impresa, ma anche alle esigenze individuali delle persone.

Soluzioni tecniche bene impostate consentono molta flessibilità e un efficace adattamento alle esigenze umane. In questo modo lo sviluppo è meno faticoso, meno ostico, più efficiente. Il processo è strutturalmente graduale, ma non è lento. Le soluzioni “affrettate” e forzate non sono veloci, perché producono resistenze e complicazioni.

Quando le tecnologie sono fluide, gradevoli e gradite, pensate “a misura d’uomo” in base alle realtà interne dell’impresa e ai suoi sistemi di relazione, possono dare significativi miglioramenti di qualità (e, di conseguenza, della relazione costi-profitti e della forza competitiva). Se applicate con il criterio inverso, cioè partendo dalle tecnologie e “forzando” il processo, non solo producono costi inutilmente esagerati, ma possono seriamente danneggiare l’efficienza dell’impresa.

Occorre perciò stabilire una forte gerarchia delle priorità. Prima le strategie, gli obiettivi, i processi – poi le applicazioni tecniche che ne derivano. Prima le esigenze umane – poi, al loro servizio, le tecnologie.

L’innovazione tecnologica non è lineare, né coerente. Né in generale, né nella sua applicazione a ogni specifica impresa od organizzazione. Non solo la quantità dell’offerta tecnologica è esorbitante e in gran parte inutile, ma molte delle risorse offerte non sono adatte alle esigenze di una specifica organizzazione o impresa.

Non si tratta solo di scegliere, ma spesso anche di evolvere e adattare le tecnologie per metterle al servizio del processo e delle esigenze umane. Le buone soluzioni sono “scalabili”, cioè realizzabili con un modesto impegno iniziale (di investimento finanziario e di risorse umane) e poi capaci di crescere ed evolversi in funzione delle esigenze che man mano si manifestano. Con un processo evolutivo che è corretto, e concretamente rilevante, definire biologico.

L’innovazione tecnica non deve essere “subita”, ma gestita. Non deve essere imposta, ma fatta crescere per evoluzione umanamente desiderata e desiderabile. Il tempo investito nell’impostazione di un processo efficiente sarà enormemente risparmiato negli sviluppi successivi, con un’attuazione più fluida ed efficiente e con una notevole riduzione degli investimenti inutili, dei vicoli ciechi e delle complicazioni, inefficienze ed errori che derivano da un’applicazione affrettata di tecnologie meccanicamente standardizzate e perciò spesso inutili o nocive.




Altre osservazioni su questo argomento si trovano in alcuni libri e in vari articoli e relazioni in questo sito. Per esempio:

Il problema delle tecnologie
Capitolo 15 di La coltivazione dell’internet
e anche capitolo 13 di Le imprese e l’internet

I malanni delle tecnologie
Capitolo 36 di L’umanità dell’internet

Cronologia – evoluzione delle tecnologie di informazione e comunicazione
In appendice a L’umanità dell’internet

Il pane spremuto e il limone tostato (luglio 1999)

La gatta frettolosa fa i gattini ricchi? (gennaio 2000)

Il tramonto del maniscalco (dicembre 2000)

Il letargo dell’ergonomia (maggio 2001)

La leggenda di Moore (luglio 2001)

La congestione comunictiva (settembre 2001)

Le grandi leggi: Murphy, Parkinson, Peter e Cipolla (ottobre 2001)

La congestione tecnologica (novembre 2001)

Il paradosso della tecnologia (agosto 2002)

La “legge di Google” (luglio 2003)

Facciamo un passo indietro (ottobre 2003)

Le ambiguità dell’innovazione (ottobre 2003)





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