Lettera aperta a Enrico Pedemonte

di Giancarlo Livraghi

 

  Caro Pedemonte, questa lettera è scritta con spirito amichevole. Non sono in polemica con lei. Anzi... lei è fra i pochi giornalisti che scrivono in modo un po' diverso dall'orribile "onda dominante". La fase più acuta della perturbazione del 3 settembre sembra passata, ma probabilmente il moto ondoso ricrescerà alla prossima occasione, magari con un altro pretesto.

Le scrivo a proposito del suo articolo "Inernet in manette" a pagina 56-59 de L'Espresso del 17 settembre (in edicola dall'11). Dalle righe conclusive è chiaro che intende contrastare la "criminalizzazione" della rete. Ma proprio perché credo che questa sia la sua intenzione spero che mi perdonerà se analizzo in maniera critica alcune cose.


Fra parentesi... mi perdoni una punta di "cattiveria culturale". Possibile che nessuno, su decine di commentatori, "opinionisti" eccetera, abbia colto l'ovvio rapporto fra il nome di un sito (Wonderland) che ci dicono essere un nodo importante dell'indagine e il fatto che l'autore di Alice in Wonderland faceva collezione di fotografie di bambine svestite? Andiamo... è una cosa molto nota, non occorre una ricerca profonda per scoprire il nesso.


Ma entriamo nel tema. Prima di tutto, le immagini. Non è vero che "un'immagine vale mille parole". Ma, come sa, è vero che un'immagine influisce sul modo in cui viene percepito e interpretato un testo. So che probabilmente non è lei ad aver scelto quelle fotografie; ma è suo il testo di cui danno una "chiave di lettura" perversa.

Una bambina urlante di dolore (pagina 57). Una schiera di bambini napoletani in fila come tanti soldatini in divisa da pulcinella in una manifestazione di protesta (pagina 59) organizzata da "non si sa chi". Che cosa centra l'internet? Mai sentito parlare di "femminielli", di ragazzini strumentalizzati dalla malavita, eccetera eccetera?

Prima ancora che qualcuno legga una riga del suo articolo, lo stato mentale ed emotivo del lettore è già formato. Se questa è informazione equilibrata, io sono l'Apollo del Belvedere.


Comunicano attraverso software criptati. Non lo sapevo. Se è vero, i pericoli su cui si è più schiamazzato sono immaginari. Se non è vero, e quindi chi avesse la pazienza di andare a cercare "quelle cose" potrebbe trovarle... allora perché lo dicono? Questa è solo una fra moltissime contraddizioni nelle "informazioni" che sono state diffuse (da chi?) e riprese con enorme evidenza da tutti i mezzi di informazione.


Perché nessuno ci dice chiaramente qual è la fonte? È evidente che un pacchetto organizzato di notizie e commenti, ripreso con ossessiva omogeneità da quasi tutti i giornali, è partito da un'unica origine.

Non crede che i lettori, e in generale l'opinione pubblica, abbiano il diritto di sapere qual è quella fonte? Perché nessuno ci aiuta a capire il motivo per cui quelle "notizie" (in buona parte insostenibili) sono state diffuse in quel modo? Non ho mai amato la dietrologia, ma qui purtroppo la domanda si impone: cui prodest?


Un fenomeno di dimensioni agghiaccianti. Qui non parlo dei contenuti, anche se una certa sovrabbondanza di aggettivi non contribuisce alla chiarezza. Parlo di dimensioni. 100, o 180, o 250 persone: in non meno di otto paesi. In Italia (secondo le cronache) ne hanno arrestate tre, denunciate cinque. Mi sembrano dimensioni infinitesimali.

Purtroppo abbiamo seri motivi per credere che i casi di persecuzione (sessuale o non) di bambini siano enormemente più numerosi. Quindi le ipotesi sono due: o questa clamorosa, gigantesca indagine non ha nemmeno scalfito il problema (e i delinquenti non acchiappati, messi in guardia dal clamore, hanno tutto il tempo per far sparire le prove); o la stragrande maggioranza dei colpevoli non è così stupida da mettersi in rete e farsi acchiappare. Personalmente propendo per la seconda spiegazione.

Comunque una cosa è certa: l'internet, e non da oggi, è molto più fortemente presidiata dalle "forze dell'ordine" di quanto lo siano gli infiniti luoghi in cui si consumano, concretamente, i delitti conto i "minori". Perché fanno tutto il possibile per farci credere il contrario?


C'è un'enorme sproporzione fra fatti e rumore. Stando ai dati diffusi, una parte molto piccola del "club" indagato è in Italia. L'eco di stampa nel nostro paese è smisuratamente maggiore che negli altri. Vogliamo cercare di capire perché?

Nota tecnica: come faccio a saperlo? Ho letto tutti i giornali di otto paesi? No. Leggo varie liste internazionali in rete, popolate di persone che seguono attentamente questi fenomeni. Le ho verificate con parole-chiave come "Cathedral": nulla che si riferisca a questa presunta mega-indagine. Ho informato persone in diversi paesi del fracasso che sta succedendo in Italia e sono cascati dalle nuvole. Ho letto le annotazioni di alcuni osservatori attenti, che confermano un forte divario fra l'intensità di "eco stampa" in Italia e quella in altri paesi. Ho letto un numero nauseante di giornali italiani e nessuno ha citato un giornale straniero; cosa che fanno abitualmente quando ne hanno la possibilità, specialmente se trattano argomenti come l'internet.


Internet rende più facile l'emergere di perversioni un tempo represse. Non vedo ombra di dati attendibili che possano giustificare un'affermazione del genere. È chiaro che l'affermazione non è sua, ma dei "fautori del giro di vite". Appunto.

La frase ha due "chiavi di lettura". Che l'internet incoraggia le perversioni latenti a manifestarsi. O che l'internet incoraggia chi stava zitto a rivelare i suoi segreti, anche a "nuovi amici" che in buona parte sono poliziotti "infiltrati". La seconda potrebbe essere, in parte, vera. Ma mi sembra che si sta cercando di "farci intendere" la prima.

Se vogliamo parlare di perversioni represse... è un fatto noto e documentato che spesso le più accanite nella repressione sono persone che soffrono di disagi psichici. Questo è uno dei motivi per cui è sempre pericoloso scatenare una "caccia alle streghe" o un "dagli all'untore".


L'internet è una straordinaria occasione di ritrovo per viziosi di ogni genere. Non mi pare. Se avessi una spasmodica passione per i rapanelli non mi sembrerebbe un buon "ritrovo" per incontrare i miei simili un ambiente gremito di poliziotti armati di una legge che considera un crimine gravissimo, punibile con pene crudeli, anche solo esprimere il desiderio di guardare un'insalata mista.

La metafora è troppo leggera? Stiamo attenti... la definizione di vizio è molto estesa. È un "vizio" amare molto il cioccolato (definito dagli appassionati "il secondo piacere nella vita"). Si parlava di vizio del fumo molto prima che qualcuno pensasse che le sigarette fossero nocive. Giovanni Guareschi scrisse una storia, divertente ed educativa, sul "vizio del peppermint".

Da cose che a prima vista sembrano futili possono nascere repressioni mostruose. Nella Hollywood dei comici divieti sulla "decenza" dell'abbigliamento e del linguaggio nacque il maccartismo. Le foglie di fico sono spesso la maschera dei più orribili abusi e repressioni. Fin dai tempi di Sallustio conosciamo le prodezze di gente come Catone il Censore.


L'anonimato. Non sono un "estremista" su questo tema - e manca lo spazio per approfondirlo qui. Ma nel caso in esame c'entra come i cavoli a merenda.

Gli inquirenti dicono che (come è ovvio) riescono comunque a identificare i "colpevoli". Lei dice chiaramente che non è una difesa per chi spera di nascondersi, è soltanto una condizione psicologica. E allora... perché se ne parla in un contesto dove non ha alcun rilievo?


Non conoscevo il caso di Larry Froistad, l'omicida confesso, la cui condanna è stata ritardata da una certa esitazione a denunciarlo. Ma mi sembra assurdo descrivere questi fenomeni, che da sempre fanno parte del comportamento umano, come "propri" della comunicazione in rete.

Ci sono dati o fatti attendibili che ci possano far credere che un gruppo in rete sia più disposto a coprire una trasgressione (o addirittura un delitto) di quanto sia un gruppo di persone collegate in qualsiasi altro modo? Che io sappia, nessuno; probabilmente è vero il contrario.

In realtà c'è una differenza, ma in senso diametralmente opposto a quello che i "repressori" vogliono farci credere. È di pubblico dominio che da vent'anni polizie e servizi segreti internazionali sono in grado di intercettare in rete qualsiasi cosa, non solo in base all'autore ma in base ai contenuti. Dire che questo viene fatto solo su autorizzazione di un magistrato è una presa in giro. Prima di tutto, sappiamo che non è vero. E anche se fosse... quando un magistrato in Patagonia, su un singolo caso a sua scelta, ha autorizzato il controllo su una lista di parole o di argomenti... chiunque, in qualsiasi angolo del pianeta, può essere intercettato.

I potenti, protetti da ogni sorta di difese compresa l'immunità parlamentare e schiere di pignolissimi avvocati, protestano contro ogni possibile indagine con tale veemenza da condizionare tutta la vita politica nel nostro paese. Ma chi protegge i "comuni cittadini" contro gli abusi che si commettono nel nome di ogni sorta di rutilanti crociate?

Ci sono problemi per i cittadini onesti, che vengono soprattutto da organi pubblici, che stanno chiedendo ancora maggiori controlli, con i pretesti più svariati? Penso proprio di si. (La nostra legge sulla privacy è notoriamente un catorcio). Secondo me questi sono temi che varrebbe la pena di approfondire. Senza commettere l'errore contrario, cioè inventarci "grandi fratelli" che forse non ci sono (o c'erano anche prima che nascesse l'internet); e comunque fuori da contesti deformanti per la loro inevitabile carica emozionale.


L'aumento vertiginoso della pornografia e della violenza in rete. Chi lo dice? Su quali basi? Esiste una documentazione seria e credibile che sostenga questa affermazione? Credo proprio che sia una bufala (come quasi tutte le notizie su "aumenti vertiginosi" delle cose più svariate). Mettere insieme statistiche terrorizzanti (o falsamente entusiasmanti) quanto prive di fondamento, è fin troppo facile. Così come è ovvio che proiezioni esagerate di crescita e successo di questa o quella tecnologia convengono a chi ha qualcosa da vendere, mi sembra probabile che queste "grida di allarme" siano diffuse ad arte da chi vuole (sarebbe interessante capire perché) strumenti di indagine, controllo e repressione ancora maggiori di quelli, fin troppo potenti, di cui già dispone.



Sui "sistemi di filtraggio" il discorso sarebbe lungo... ma una cosa è ovvia: se qualsiasi autorità, pubblica o privata, ha il diritto di stabilire che cosa un cittadino può leggere abbiamo creato qualcosa che si chiama censura. E la definizione di che cosa è censurabile o no rimane nelle mani del censore; cosa che è impossibile considerare sana o accettabile.

Guarda un po'... Bologna? Dicono: Il sito richiesto non sembra avere attinenza con le attività del Comune. Definizione prudente... ma pericolosa. Con quel criterio si può escludere, in modo arbitrario, la quasi totalità dell'informazione e della comunicazione. Intanto proprio a Bologna, partendo dal solito pretesto di tutela, si sono proposti criteri di rating (da applicare su scala nazionale) che permetterebbero a un professore bolognese, autonominatosi central scrutinizer, di marchiare con un "voto basso", o addirittura vietare, le opinioni di uno studioso che non la pensa come lui. Non sto scherzando.

(In un paese in cui si ama discutere se i fagioli siano di sinistra e le cipolle di destra, o viceversa... è triste, ma forse necessario, spiegare che è irrilevante sotto quale bandiera militi chi esercita o propone la repressione).

E c'è un'altra faccia del problema. Come sanno bene i commercianti delle sostanze più vietate e più lucrosamente vendute, ciò che è proibito è attraente; specialmente per i giovani. Non le sembra una cosa che meriti qualche meditazione?


Giuseppe Massa, direttore del Dipartimento di Polizia delle telecomunicazioni, intervistato da L'Espresso afferma: Nessuno vuole demonizzare Internet, ci mancherebbe altro; se questo fosse l'effetto del nostro lavoro sarebbe davvero spiacevole. E nega che ci sia una caccia alle streghe.

Che la caccia ci sia, è fin troppo ovvio. Provocata non dalle indagini ma da alcuni aspetti del modo in cui sono condotte (vedi, per esempio, l'abuso dei sequestri, che continua a ripetersi) e soprattutto da un architettato sistema di "informazioni" deformanti. Che le autorità lo neghino, è preoccupante. O non si rendono conto di ciò che stanno facendo, o cercano di imbrogliarci. Di nuovo, è d'obbligo chiederci perché.

Preoccupa anche, in quella dichiarazione come in tante altre, la definizione "pirati". Il termine è molto preciso: qualcuno che rapina a mano armata, e spesso uccide, in mare (una forma di criminalità tutt'altro che estinta). Questa parola viene usata sistematicamente, con intenzionale improprietà, per parlare di tutt'altro. Mettendo nello stesso fascio erbe molto diverse. Persone che potrebbero aver fatto danni o agito "a scopo di lucro" con altre che se sono colpevoli di "intrusioni" l'hanno fatto solo per vantarsi della propria abilità tecnica, senza alcuna intenzione di nuocere. E, assurdamente insieme a queste, persone che forse non hanno totalmente rispettato le (discutibili) clausole delle norme di utilizzo del software, imposte unilateralmente dai venditori; persone che potrebbero al massimo essere citate in sede civile per non adempimento di un contratto, ma è demenziale incriminare per reati penali. Come alcuni magistrati, per fortuna, hanno riconosciuto. Che queste improprietà siano costruite "ad arte" dalla propaganda dei grandi produttori di software è ovvio. Che se ne servano i tutori della legge è sconcertante. Quando si troverà, in tutte queste cose, un linguaggio meno ingannevole e un atteggiamento più ragionevole e preciso?


Leggo nel suo articolo che una legge americana (quanto tempo prima che la copino da noi?) proibisce drasticamente di contattare un minore attraverso la rete. Se fosse così, sarei un criminale.

Confesso: ho scambiato messaggi con "minorenni". Chi ne avesse copia non troverebbe alcunché di censurabile. Ma, se ho letto bene... quella legge proibisce di comunicare, indipendentemente dai contenuti. Devo negare un consiglio o un'opinione a uno studente? Devo rifiutarmi di dialogare in rete, su qualsiasi argomento e con chiunque (se non persone che conoscevo già personalmente) se non ricevo prima copie autenticate di un certificato di nascita e di una certificazione di firma?

Se ciò che le sue fonti dicono è esatto, i legislatori hanno perso completamente il ben dell'intelletto. Del resto anche la nostra recente legge sulle "violenze contro i minori" è un papocchio che nessuna mente sana avrebbe potuto concepire.


Paranoie, fantasie? No. Ci sono fatti, già accaduti in Italia, a carico di persone totalmente innocenti (e in molti casi in cui non c'entra in alcun modo l'internet) che sono di estrema gravità. Sono tanti. Documentarli è difficile, perché le vittime sono troppo terrorizzate per parlare. Ma per fortuna qualcuno ha il coraggio di aprir bocca... e le assicuro che il repertorio degli aggettivi, da "agghiacciante" a "raccapricciante", viene pienamente a proposito.


Non vedo l'ora, caro Pedemonte, di poter lasciare da parte il tema angosciante su cui si è troppo, e malamente, imperversato (non perché la violenza contro i deboli, di qualsiasi età, sia tollerabile; ma perché sarebbe meglio affrontare quel grave problema secondo la sua vera natura; e non mescolare cose completamente diverse in un pastrugno indigeribile, condito di emozioni e di menzogne). Per concentrare l'attenzione in modo più nitido, puntuale e puntuto sugli attentati alla nostra libertà di opinione e di scambio di informazione. Che ci sono, sotto ogni sorta di "mentite spoglie".

 

Con simpatia,

Giancarlo Livraghi


Per un approfondimento vedi anche:

Storia della crociata infame

Alice nel paese delle ipocrisie

La crociata, il macigno e il venticello

Dagli all'untore

Internet, il bambino e l'acqua sporca

Quel simpaticono di Zio Luigi

 

   
 
Giancarlo Livraghi
gian@gandalf.it
  14 settembre 1998
 

Home Page Gandalf
home