Il filo
di Arianna
Giancarlo Livraghi gian@gandalf.it
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(migliore come testo stampabile)
Analfabetismo
Da che parte si comincia per risolvere il problema?
Da un po di tempo circolano qua e là sui giornali, e anche online, notizie a proposito della scarsa alfabetizzazione degli italiani. Il fatto non è nuovo, il problema è noto da molti anni. Non è chiaro quale sia il motivo per cui se ne riparla oggi. Si accenna a recenti ricerche ma molti che le citano non sanno di che cosa si tratti.
Prima di aggiungere qualche commento, vorrei ricordare che informazioni e osservazioni su questo tema si trovano in vari documenti nella sezione dati. In particolare in due analisi basate su ricerche del Censis (e anche su altre fonti). Unevoluzione complessa fra abbondanza e scarsità (2003) e, più recentemente, Unevoluzione complessa fra cambiamenti e continuità (2006). La somiglianza dei due titoli non è casuale. Ogni approfondimento porta a capire che si tratta di unevoluzione complessa, in cui è semplicistico parlare di alfabetismo o di alfabetizzazione e in cui si mescolano cambiamenti rilevanti con situazioni che hanno radici lunghe nel tempo.
Un nuovo studio del Censis, di cui finora è disponibile solo un rapporto preliminare, offre un confronto fra cinque paesi europei. I dati sono del 2006. Vediamo una breve sintesi di tre situazioni che riguardano la lettura. Cominciamo con i libri.
Libri
percentuali sulla popolazione
La parte più scura delle barre indica la lettura abituale.
Il totale riguarda le persone che hanno letto almeno un libro in un anno.
Si considera lettore abituale chi ne ha letti almeno tre.
In tutti i paesi cè una percentuale rilevante di persone che non hanno letto neppure un libro in un anno. Ma se in Gran Bretagna sono un quarto della popolazione, in Italia sono il 45 per cento. La definizione di lettore, in questo caso, è così estesa che i non lettori si possono considerare come privi, o scarsamente dotati, di capacità culturali.
Da altre fonti (vedi le analisi citate allinizio) risulta che la lettura è debole in Italia anche rispetto a molti altri paesi europei. La situazione, nel corso degli anni, sta leggermente migliorando, ma rimane preoccupante.
Nel prossimo grafico vediamo lo stesso confronto, riferito alla stampa quotidiana.
Giornali
percentuali sulla popolazione
La parte più scura delle barre indica la lettura abituale.
Il totale riguarda le persone che hanno letto almeno un quotidiano negli ultimi sette giorni.
Si considera lettore abituale chi ne ha letti almeno tre in una settimana.
Anche in questo caso vediamo una presenza rilevante di non lettori, che varia dal 20 % in Germania al 40 % in Italia.
(Non cè lo spazio, in questa sede, per approfondire il caso della Francia dove sembra esserci una scarsa lettura dei quotidiani, ma una diffusione relativamente più alta dei periodici).
Il terzo grafico riguarda linternet. La rete può essere usata anche per scopi diversi dalla lettura, ma è rilevante in questo quadro per due motivi. Uno è che quasi nessuno usa la rete senza leggere e scrivere. Laltro è che, come dimostrato da tutti gli studi sullargomento, luso dellinternet è concentrato fra i più abbienti, cioè fra i più forti utilizzatori di altre risorse di informazione e comunicazione e in particolare della lettura.
Internet
percentuali sulla popolazione
La parte più scura delle barre indica luso abituale.
Il totale riguarda le persone che hanno usato linternet almeno una volta negli ultimi sette giorni.
Si considera abituale luso almeno tre volte in una settimana.
Luso della rete è in forte crescita in tutto il mondo e anche in Italia (vedi dati italiani). Ma anche recenti dati dellUnione Europea confermano che lItalia è ancora molto arretrata rispetto alla maggior parte dellEuropa.
È opportuno ricordare, ancora una volta, che luso e il non uso di risorse di informazione e comunicazione tendono ad aggregarsi. Cioè le persone che leggono più libri e giornali sono le stesse che usano linternet e viceversa. La distinzione fondamentale è fra i più abbienti, che hanno una gamma di risorse sempre più ampia, e i meno abbienti che rimangono chiusi in unarea più buia, dove poco o nulla si aggiunge allonnipresente televisione generalista e al suo continuo sprofondare in un abisso autoreferenziale.
Che cosa cè di nuovo nei recenti studi sullanalfabetismo in Italia? Nulla. Come spesso accade, ciò che sorprende è la sorpresa. Un improvviso, quanto labile, momento di allarme su un problema noto da molti anni seguito da un ritorno alla solita disattenzione.
Non risulta che ci sia alcuna recente ricerca. Sembra che quella di cui si parla sia unanalisi pubblicata nel giugno 2006 dallassociazione Unla e dallUniversità di Castel SantAngelo. Quello studio contiene alcune osservazioni interessanti, particolarmente riferite alla situazione nellItalia meridionale, ma non offre alcun dato nuovo: si basa su dati Istat e di altre fonti, già noti e citati in varie precedenti analisi (comprese alcune pubblicate in questo sito).
Che non ci siano novità è sottolineato proprio da questo studio, che rileva la scarsità di evoluzione: per esempio nota come i dati Istat del 2001 su questo argomento siano poco diversi da quelli di dieci anni prima.
Le notizie più ampiamente riferite in vari articoli e commenti riguardano il problema dellanalfabetismo. Si dice che in Italia cè quasi un milione di persone che non sanno leggere e scrivere. Ma, soprattutto, che un terzo della popolazione soffre di analfabetismo funzionale. È credibile che la situazione sia davvero preoccupante, ma non ci sono dati che ne diano una misura numericamente significativa. E manca una chiara comprensione di che cosa si intenda per analfabetismo funzionale.
Nello studio citato si usa la definizione ana-analfabeta (che equivale a analfabeta funzionale) per definire non un totale analfabetismo, ma limitate capacità di leggere e scrivere. La quantificazione non è basata su prove di alfabetismo (che sarebbero comunque poco credibili in assenza di una precisa verifica delle metodologie) ma è dedotta dai dati Istat sui livelli scolastici. Un metodo che può essere valido (in assenza di criteri più precisi) per segnalare lesistenza e la gravità di un problema, ma non per darne una valutazione numericamente significativa.
Nellambito dello stesso studio, diversi criteri di definizione portano a diverse valutazioni del numero stimato di ana-analfabeti che varia, secondo i parametri, dal 12 al 36 o al 66 per cento della popolazione.
(Non risulta reperibile alcuna fonte per laffermazione, citata in alcuni articoli, che fra i laureati cè il 7,2 per cento di analfabeti. Ma il fatto che qualcuno la possa considerare attendibile rinforza i dubbi, motivati anche da altre considerazioni, sui metodi didattici di molte università).
Non si trova alcuna traccia di studi in cui sia stato verificato se una persona non sa compilare un modulo o non capisce un articolo in un giornale. Oppure non è in grado di capire la posologia di un medicinale o il manuale duso di un elettrodomestico o non è capace di leggere un grafico. Che sia quella la definizione di ana-analfabeta o analfabeta funzionale sembra non essere altro che uninvenzione derivata dalla fantasia di qualcuno che ha riferito la notizia interpretandola a modo suo poi (come spesso accade in tante cose) ripetuta da altri senza verificarne lorigine e la credibiltà.
Ma proviamo a immaginare che qualcuno avesse fatto davvero una ricerca in base a quei criteri. Mi viene il dubbio che, se fossi stato intervistato, sarei stato classificato fra gli analfabeti funzionali.
Molti moduli sono fatti così male che è difficile compilarli. Leggo spesso articoli sui giornali che trovo inconcludenti e incomprensibili (e ci sono parecchi libri altrettanto deludenti).
Quanto a quei complicatissimi foglietti che si trovano nelle scatole dei medicinali, gremiti di avvertimenti su possibili controindicazioni o complicazioni, ovviamente dettati dalle cautele degli uffici legali più che da un desiderio di utile informazione... non credo di essere lunico a trovarli di difficile (e sconcertante) lettura. Per non parlare degli astrusi manuali, per ogni sorta di aggeggi, che anche i tecnici specializzati faticano a decifrare.
Credo di saper leggere un grafico. Ma molti sono incomprensibili. Perché manca una spiegazione chiara di quale sia il significato dei dati e spesso i grafici sono fatti in modo da deformare linformazione. (È più che mai di attualità il classico How to Lie with Statistics di Darrell Huff, di cui finalmente si sta preparando unedizione italiana).
Il guaio è che, in base a quei criteri, non solo sono funzionalmente analfabeta, ma ho scarsissimo desiderio di cambiare. Faccio tutto il possibile per evitare di compilare moduli. Quando trovo un articolo incomprensibile, incoerente o confuso rinuncio a leggerlo (se largomento mi interessa, vado a cercare unaltra fonte che si spieghi meglio). Odio lincomprensibilità dei manuali tecnici. Diffido delle statistiche.
Insomma sono un analfabeta ostinatamente incurabile o, come minimo, recidivo.
Sto scherzando? Non del tutto. Se è giusto preoccuparsi di una eccessiva mancanza di alfabetismo, e soprattutto di curiosità culturale, in una parte troppo grande della nostra popolazione, quella che manca è una seria autocritica da parte di chi dovrebbe fare cultura e invece diffonde ignoranza o si isola in una squallida turris eburnea che non ha neppure il pregio di unarchitettura gradevole o di contenuti illuminanti.
Può essere giusto (e andrebbe fatto con più impegno) dedicare tempo, risorse ed energie al recupero delle persone culturalmente emarginate. Ma non si tratta di ritornare ai tempi di quella trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi (giustamente ricordata con rispetto) che il bravo maestro Alberto Manzi conduceva in Rai fra il 1959 e il 1968.
È vero che non è mai troppo tardi. Ma il problema è che gli anni passano e la situazione migliora poco (per alcuni aspetti, sta peggiorando). Cè bisogno di un forte cambiamento e bisogna cominciare dalla testa. Cioè da quelle élite culturali, politiche, sociali, economiche, eccetera, che del profano volgo capiscono poco o nulla e sembrano sempre più crogiolarsi nel circolo vizioso della stupidità.
Si parla tanto di competitività, ma non si bada abbastanza al fatto che una delle risorse più importanti è la cultura. Non dico che sia necessario studiare latino e greco (anche se male non farebbe) ma certo è importante sviluppare in tutti, dalle prime età scolastiche fino alla vecchiaia, una ricchezza culturale che non sia fatta solo di competenze tecniche o di ristretti orizzonti professionali.
Per far questo occorre, prima di tutto, che a chi crede di poter insegnare ritorni la voglia di imparare. Che prima di parlare si impari ad ascoltare. Ed è importante capire che quando il popolo è (o sembra) stupido, o ignorante, la colpa è soprattutto di chi non sa (o non vuole) spiegarsi bene.
Un interessante articolo su questo argomento
è stato pubblicato nel settembre 2007