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Questo articolo è stato pubblicato nella rivista “Arti d’Oriente” (Marzo 1999)

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Prima del XX secolo la tradizione marziale del karate (o tode, come era conosciuto ad Okinawa) era trasmessa fisicamente, visivamente e oralmente, e non era possibile trovare molto di scritto. Il primo documento riguardo il karate giunto fino ai nostri tempi. Il Karate, arte marziale originata nell’isola di Okinawa, è sì un’espressione fisica, ma è altresì una tradizione, una cultura. E come tutte le culture è stata trasmessa con vari mezzi, compresa la scrittura. Quanto è rimasto di scritto dell’esperienza dei maestri e degli adepti che hanno fatto in modo che il karate giungesse fino a noi? E questi scritti sono disponibili anche ai giorni nostri?

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Prima del XX secolo la tradizione marziale del karate (o tode mano cinese, com’era conosciuto allora ad Okinawa) era trasmessa fisicamente, visivamente e oralmente, e non era possibile trovare molto di scritto. Il primo documento riguardo al karate giunto fino ai nostri tempi è stato scritto da Sokon Matsumura: non si può definire un libro, ma piuttosto un documento, noto come Matsumura Bucho Ikko, redatto nel 1882 con scrittura a pennello e inchiostro a china, contenente il pensiero di Matsumura e consegnato ad uno degli allievi di Matsumura, Ryosei Kuwae.
Il documento, conservato gelosamente dalla famiglia Kuwae e tradotto per la prima volta in inglese nel 1989, è di straordinaria importanza per capire le idee e le convinzioni sulle arti marziali di Sokon Matsumura. E’ possibile comprendere l’influenza che ebbe Matsumura sull’arte del karate elencando alcuni dei suoi allievi: Anko Asato, Anko Itosu (maestro di Gichin Funakoshi, fondatore dello Shotokan), Kentsu Yabu, Chomo Hanashiro, Chotoku Kyan. Tutti questi allievi, ed anche altri, una volta divenuti anch’essi maestri, contribuirono a diffondere le idee del loro maestro, facendo giungere così l’influenza di Matsumura fino ai giorni nostri.
Chomo Hanashiro (1869-1945), un allievo di Sokon Matsumura e successivamente di Anko Itosu, scrisse nel 1905 alcune note sul kumite, Karate Shoshu Hen, famose perché in quelle note fu usato, per la prima volta in forma scritta, il termine karate mano vuota. Il già citato Anko Itosu fu il maestro che più fece per continuare la tradizione dello Shuri-te, la scuola di Matsumura, e fu altresì la persona che riuscì ad introdurre il karate come disciplina di educazione fisica nella scuola. Quest’introduzione avvenne nel 1901, nella scuola elementare di Shuri e, dal 1905 al liceo e all’istituto magistrale di Okinawa e comportò una modifica del metodo di insegnamento fino allora adottato, per adattarlo ad una formazione di gruppo.
Nel 1908 Itosu scrisse una lettera al Dipartimento per l’Educazione della Prefettura di Okinawa, conosciuta come Tode Jukun (dieci precetti sul karate), in cui, per la prima volta, compare la divisione del tode in Shorin-ryu e Shorei-ryu. E’ da notare come, a differenza di Hanashiro, Itosu usò ancora il termine tode.

Il primo libro vero e proprio sul karate fu scritto da Gichin Funakoshi nel 1922. Il libro, Ryukyu Kempo Tode (Karate, arte marziale di Okinawa), fu scritto da Funakoshi in Giappone e rappresenta il primo esempio di un libro sul karate come è possibile immaginarlo oggigiorno, strutturato in cinque parti principali: Cos’è il karate, Il valore del karate, Allenamento ed insegnamento del karate, Organizzazione del karate, Fondamentali e kata, per un totale di circa 300 pagine. La parte più corposa del libro è dedicata ai kata: Heian Nidan (Pinan Shodan), Tekki Shodan (Naifanchi Shodan) e Kanku Dai (Kushanku). Sono presenti alcune pagine dedicata all’allenamento al makiwara e a tecniche di leva e proiezioni. Il libro, contenente non più di 10 fotografie, è illustrato da circa 200 disegni di Hoan Kusugi, un artista molto famoso in quei tempi, raffiguranti Funakoshi alle prese con i kata e con le tecniche di base. Lo stile riprodotto, non essendo lo Shotokan dei nostri giorni, deve essere per forza lo Shorin-ryu di Anko Itosu.

Nel 1925 Funakoshi scrive il libro Rentan Goshin Tode-Jutsu (Tecnica del karate, rafforzamento energetico e autodifesa). Questo libro si può ritenere una revisione del precedente, arricchito però dalla presenza di numerose fotografie raffiguranti Funakoshi alle prese con un numero più cospicuo di kata, ben 15.

Parecchi storici hanno notato una certa somiglianza tra i disegni riportati nel primo libro e le fotografie del secondo, il che farebbe pensare che le fotografie, scattate presumibilmente nel 1922, siano servite come modello per i disegni. Nel libro, così come nel precedente, non si parla né di kihon, né di kumite, due pilastri dell’allenamento odierno. Nel 1926 Choki Motobu, un praticante di okinawa dalla storia e personalità abbastanza singolari, scrive Okinawan Kempo Tode-jutsu Kumite-hen, dedicato quasi esclusivamente alla descrizione di tecniche di combattimento. Mentre l’influenza nella pratica del karate degli scrittori precedenti è facilmente identificabile nelle scuole di karate odierne, altrettanto non si può dire dell’influenza di Motobu. Infatti Motobu non ebbe degli allievi completamente formati, ma il suo insegnamento fu recepito da maestri come Shoshin Nagamine (Matsubayashi-ryu) e Yasuhiro Konishi (Shindo Jinen Ryu). Il nome di Motobu divenne famoso in Giappone dopo che la rivista King pubblicò il resoconto di un suo incontro con un pugile (finito con il pugile messo k.o.). Non avendo avuto un maestro ben preciso, ma imparando le tecniche dalla pratica (si racconta era solito sfidare gli ubriachi all’uscita dei locali notturni di Naha), il suo orientamento fu verso le tecniche di combattimento reali, e questa sua attitudine è riflessa nel suo libro. Strutturato in tre parti, con la prima dedicata ad una introduzione storica e alla pratica del makiwara, e l’ultima dedicata a trattamenti medici basati sull’utilizzo di erbe medicali ed altri rimedi naturali, la parte dedicata alle tecniche di combattimento presenta tecniche a corta distanza, con utilizzo di colpi di gomito, ginocchio e calci bassi.

Tutti i documenti ed i libri precedenti sono stati scritti da maestri di Okinawa che hanno lasciato un segno tangibile sull’evoluzione del karate. Uno dei libri più interessanti, dedicati alle arti marziali di Okinawa, è stato curiosamente scritto da due praticanti giapponesi, Misaburo Miki (Fumio Miki) e Mizuho Takada (Mizu Hotakada), nel 1930, Kempo Gaisetsu. Il segno più evidente lasciato dai due autori è sicuramente il loro libro, che riporta alcuni kata molto antichi praticati ad Okinawa. Il libro è il risultato di un viaggio che Miki, studente dell’università di Tokyo ed appartenente al club di karate della stessa, fece ad Okinawa nel 1929. Miki rimase ad Okinawa per non più di tre mesi, ma gli furono sufficienti per visitare alcuni dei maestri più noti dell’epoca e per riportare alcuni dei kata da loro praticati. L’elenco dei kata comprende: Passai-Sho (e la variante Kyan-no-Passai), Chinte, Gojushiho (e la variante Yabu-no-Gojushiho), Oshiro-no-Seisan (kata derivato dall’Itosu-no-Seisan, da cui Funakoshi derivò Hangetsu). Nel libro sono anche presenti anche tre kata di bo (bastone; probabilmente il primo documento scritto sul kobudo di Okinawa). L’unica critica che si può fare al libro è che, come nel primo libro di Funakoshi, i kata vengono riprodotti per mezzo di disegni, piuttosto che con fotografie.

Nel 1932, il già citato Motobu, che si diceva essere illetterato, scrive il suo secondo libro, Watashi-no Tode-jutsu, dedicato ancora a tecniche di combattimento, ma con la presenza di un kata, Naihanchi, per alcuni l’unico kata conosciuto da Motobu.

Dei quattro stili più diffusi attualmente nel mondo (Shotokan, Shito-ryu, Wado-ryu, Goju-ryu), abbiamo detto che Funakoshi (Shotokan) è stato uno dei primi, tra i fondatori, a scrivere un libro. Per quanto riguarda Hironori Ohtsuka, fondatore del Wado-ryu, non scrisse nulla prima della seconda guerra mondiale (ma, vedremo tra poco, ebbe una parte importante nel terzo libro di Funakoshi). Qualcosa di scritto, seppur poco rispetto alla loro bravura ed esperienza, ci è stato lasciato da Kenwa Mabuni (Shito-ryu) e Chojun Miyagi (Goju-ryu), tra l’altro ottimi amici tra loro e compagni di pratica con il maestro Kanryo Higaonna. Nel 1934 Mabuni scrisse Kempo Karate-do: Sepai-no Kenkyu, dedicato al kata Sepai, comprese le applicazioni (bunkai), eseguite insieme a Yasuhiro Konishi. Nello stesso anno, il 23 marzo, Miyagi presentò la prima versione di Karate-do Gaisetsu (Spiegazione generale sul karate). Questo scritto è rimasto custodito dalla famiglia Konishi per molti anni, fino a che non è stato recentemente riscoperto e tradotto in inglese.

Dello stesso scritto ne esistono altre due versioni, datate 28 gennaio e 28 maggio 1936, diverse dalla prima per alcuni particolari. Lo scritto, particolarmente caro a tutti i praticanti di Goju-ryu di Okinawa, presenta, oltre a notizie storiche, il sistema di insegnamento da lui ideato, sulla base di quello appreso dal suo maestro Kanryo Higaonna.

Funakoshi scrisse quello che è ritenuto il suo capolavoro nel 1935, Karate-do Kyohan. Il libro contiene oltre 300 fotografie, riproducenti Funakoshi nell’esecuzione dei kata (15), e nell’esecuzione di tecniche di kumite insieme al già citato Hironori Ohtsuka, futuro fondatore del Wado-ryu. Interessante, ed inedita fino ad allora, la parte dedicata alla descrizione dei punti vitali del corpo umano. Nel 1958 è stata pubblicata una versione in inglese del libro, con l’esecuzione delle tecniche eseguite da Tsutomu Oshima. Il libro è altresì importante perchè Funakoshi utilizzò il termine karate - mano vuota -, invece del fino ad allora usato tode - mano cinese. Il termine karate, con il significato di mano vuota, fu infine accettato anche ad Okinawa, nel 1936, nel corso di un incontro che riunì alcuni dei migliori maestri dell’epoca. Solo per citarne alcuni, furono presenti Miyagi, Motobu, Yabu, Hanashiro e Kyan.

Del 1938 è il libro di Kenwa Mabuni, Kobokempo Karate Nyumon, scritto insieme a Genwa Nakasone. E proprio Nakasone scrisse, nello stesso anno, il libro che è ritenuto da molti il migliore del periodo prima della guerra, dal titolo Karate-do Taikan. Nakasone era un noto scrittore e praticante di Okinawa, allievo di Kanken Toyama, a sua volta allievo di Anko Itosu e Kentsu Yabu. Questa sua "nobile" discedenza gli permise di entrare in contatto con i migliori maestri dell’epoca (tra l’altro partecipò, in rappresentanza di Kanken Toyama, al’incontro del 1936 appena citato) e di radunare i loro contributi in un libro: Chomo Hanashiro (kata Jion), Shinpan Shiroma (tecniche di attacco e difesa), Kenwa Mabuni (kara Aragaki-Sochin), Chishin Chibana (kata Matsumura-no-Passai), Hironori Ohtuka (difesa da attacchi di coltello), Shinken Taira (kata di bo). Per ciascun contributo, oltre ad una serie dettagliata di disegni, sono presenti anche alcune fotografie.

Il panorama non sarebbe completo se non si citasse il Bubishi. Il Bubishi è un antico trattato, composto da 32 articoli, di origine non chiara, probabilmente cinese, e non attribuibile a nessun autore. Diverse persone ne possiedono un esemplare copiato a mano, e le copie non sempre sono congruenti tra loro. Quello che invece è chiara, è l’influenza che questo documento ha avuto sui praticanti di Okinawa. Per esempio la parte dedicata alla descrizione dei punti vitali del corpo umano del libro di Funakoshi Karate-do kyohan è ripresa da un’articolo del Bubishi. Miyagi utilizzò un articolo del Bubishi come spunto per la scelta del nome da dare al suo stile. Motobu, nel libro Okinawa Kempo Tode-jitsu Kumite-hen, descrive dei trattamenti medicali basati su erbe chiaramente derivati da quelli presentati nel Bubishi. Mabuni, nel libro Kempo Karate-do: Sepai-no Kenkyu, scrive: "Dopo aver fatto una copia di un libro cinese sul kempo che il mio venerato maestro Anko Itosu aveva a sua volta copiato, ho usato questo libro per la mia ricerca e l’ho conservato segretamente come un tesoro".
Il Bubishi è scritto in cinese antico e la traduzione integrale ha comportato qualche difficoltà. Solo recentemente è stato tradotto, prima in giapponese e poi in altre lingue. Una traduzione parziale è stata pubblicata nel 1984 da Tetsuhiro Hokama, praticante di Goju-ryu e curatore del museo dedicato alle arti marziali di Okinawa. Nel 1986 Tadahiko Otsuka, praticante di Goju-ryu, lo ha tradotto interamente. Questa traduzione è stata la base degli estratti presenti nel citato libro di Tokitsu e nel libro in francese di Roland Habersetzer. Nel 1995 Tokashiki Iken, praticante di Goju-ryu e di Tomari-te, che già aveva aiutato Tadahiko Otsuka nella sua ricerca, ha pubblicato, in giapponese, una sua traduzione del Bubishi, comprendente un’analisi delle pratiche di combattimento descritte. Il Bubishi di riferimento per tutti questi libri era quello in possesso di Chojun Miyagi.
Da un’altra copia del Bubishi, quello di Kenwa Mabuni ed in possesso della famiglia Konishi (n.d.a. ancora una volta!!), deriva il lavoro di Patrick McCarthy, culminato, dopo varie versioni (1987, 1990, 1992), alla versione finale, che si deve ritenere la traduzione più completa ed organizzata.
Di origine diversa è la copia di riferimento utilizzata per la traduzione di George Alexander e Ken Penland, proveniente da Tsuneyoshi Ogura, praticante di Goju-ryu giapponese, della Gembukai di Kofu (Giappone).

La possibilità di leggere documenti e libri dei maestri che hanno avuto un grande impatto nell’evoluzione del karate è reale, e credo che, in alcuni casi, sia meglio la lettura di questi documenti che la pratica con alcuni maestri odierni...