Il discorso di Capriolo Zoppo al Presidente Grant (1858)
L'"ambiente matematico-statistico".
Orti botanici
Parchi
Rainforests
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<<Non esiste un luogo tranquillo nelle città dell'uomo bianco. Un luogo in cui ascoltare il mormorio delle foglie a primavera, o il fruscio delle ali degli insetti. Solo il rumore, che è un insulto per le orecchie. Ma forse è perché io sono un selvaggio e non comprendo. E che cosa diventa la vita se l'uomo non può ascoltare il grido solitario dell'uccello notturno o il gracidio delle rane nello stagno? Io sono un pellerossa e non capisco. Gli indiani preferiscono il suono dolce del vento che danza sulla superficie di uno stagno o l'odore stesso del vento lavato dalla pioggia o profumato di pino. L'aria è preziosa per il pellerossa, perché tutte le cose respirano, l'animale, l'albero, l'uomo hanno lo stesso respiro. L'uomo bianco non si accorge dell'aria che respira. Ma se ti vendiamo la nostra terra, devi ricordarti che l'aria è preziosa per noi, che l'aria è il respiro di ogni essere vivente. Il vento che ha dato ai nostri padri il primo respiro, ne ha accolto anche l'ultimo. E il vento dà lo spirito della vita anche ai nostri figli. Se ti vendiamo la terra, devi tenerla separata e come cosa sacra, come luogo in cui anche l'uomo bianco possa andare a sentire il vento profumato dai fiori dei prati. Io sono un selvaggio e non capisco altri sistemi. Ho visto migliaia di bufali putrefatti nella prateria, uccisi dall'uomo bianco che sparava da un treno in corsa. Io sono un selvaggio e non capisco come il fumoso cavallo di ferro possa essere più importante del bufalo che noi uccidiamo solo per sopravvivere. Che cosa è l'uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. Perché quanto accade agli animali, presto accade agli uomini. Tutte le cose sono connesse. Dì ai tuoi figli che questa terra è ricca della vita della nostra stirpe. Insegna ai tuoi figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è nostra madre. Nemmeno il bianco, il cui Dio cammina e parla con lui come se fosse suo amico, può esimersi dal destino comune. La terra è preziosa per lui, e danneggiare la terra vuol dire disprezzare il Creatore. Anche i bianchi passeranno, forse più presto delle altre tribù. Continua a contaminare il tuo letto e una notte soffocherai nei tuoi stessi rifiuti. Quando il pellerossa sarà scomparso da questa terra il suo ricordo sarà solo l'ombra di una nube che passa sulla prateria; in queste contrade e in queste foreste rimarranno gli spiriti del mio popolo. Perché essi amavano questa terra come il neonato ama sua madre. Dunque, se ti vendiamo la nostra terra, amala come l'abbiamo amata noi. Prenditene cura come ce ne siamo presi noi. Tieni in mente il ricordo della terra com'era quando l'hai presa e conservala per i tuoi figli con tutta la tua forza, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore>>.
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Molte piante che non avevano interesse economico erano coltivate, già duemila anni fa, anche se solo a fini di culto, in appositi giardini che però non potevano ancora essere considerati orti botanici. Erano i monaci zen, in Estremo Oriente, che si occupavano di quelle piante, accudendole, poiché a loro era affidata ogni attività "protobotanica", soprattutto in campo medico. E' grazie a questi eventi che abbiamo avuto l'opportunità, in occidente, di avere piante come la tuia orientale, o i crisantemi, o le camelie. Nel Medioevo erano già diffuse nei conventi, in Europa come in oriente, coltivazioni di uso particolare accudite dai frati che erano anche diagnosti e terapeuti. Nei conventi europei, infatti, vi erano gli Herbularii: chiostri adibiti a giardinetti in cui crescevano piante medicinali e il cui simbolo arboreo era l'alloro. Accadde nel tardo Rinascimento che questa tradizione lasciò i conventi per essere praticata nelle università, caratterizzando le facoltà di botanica che utilizzarono tali giardini come supporto didattico e di ricerca; fu quindi anche in questo periodo che acquisì "ufficialità" la figura del medico. Nacquero i primi Horti semplicium, detti anche Horti medici, annessi alle università, che permettevano agli studenti di medicina di imparare a riconoscere le diverse specie vegetali, usate in terapia e chiamate Simplicia, cioè "rimedi semplici". Letteralmente per "hortus" si intendeva un appezzamento di terra adibito a coltivazioni di uso famigliare, diverso dall'"ager" che indicava una coltura agraria produttiva. Nacque così anche in Italia il primo Orto dei semplici a Pisa, nel 1543, seguito da numerosi altri in tutta Europa. In quel periodo la Botanica era al servizio della medicina, le raccolte avevano un impiego didattico applicativo e sperimentale in campo sanitario. I progressi in campo farmaceutico dovevano fare i conti, soprattutto, con l'esatta identificazione botanica e l'effettiva attività terapeutica che la variabilità biologica naturale rende incerta e a rischio di fluttuazioni; esistevano inoltre problemi di ambientamento che presupponevano lo sviluppo della fisiologia e dell'ecologia vegetale. L'allontanamento della Botanica dalla Medicina iniziò proprio dalla situazione precedente; i docenti infatti erano impegnati a risolvere le problematiche dell'organismo umano, e non potevano occuparsi della fisiologia delle piante che divenne compito di chi gestiva le raccolte. Si ebbe quindi la conversione degli Horti semplicium in Horti botanici. Le piante dunque divengono oggetto di studio in sè. La trasformazione ufficiale avviene quindi nella seconda metà del 1700, con la rivoluzione culturale operata dal naturalista svedese Carlo Linneo (1707-1778) che considerò sia la zoologia che la botanica discipline scientifiche autonome. Nello stesso periodo gli horti si ampliano arricchendosi anche di specie nuove, dalle più disparate provenienze. Si costruiscono quindi tiepidari calidari, serre e via dicendo. Un accenno particolare lo meritano gli "arboreti": collezioni di specie legnose curate in modo particolare. Vengono, a questo punto, creati orti botanici in zone con un clima particolare, come quello tropicale a esempio, proprio per permettere l'acclimatazione delle piante, soprattutto di quelle che destavano un maggiore interesse economico. Attraverso gli Orti botanici, il cacao, l'albero della gomma, la palma da olio, la noce moscata, il chiodo di garofano vengono diffusi nel mondo. Gli orti botanici, attualmente, hanno soprattutto un ruolo didattico e museologico, finalizzato alla diffusione e alla conoscenza botanica; un concreto ruolo educativo che impernia la sua azione sulle problematiche della conservazione della natura e sulla salvaguardia della biodiversità (sancito a Mosca nel 1975). Il recupero e la conservazione delle specie vegetali minacciate, o prossime all'estinzione, che vengono quindi salvaguardate, recuperate e, eventualmente, rimesse in natura. Ogni orto botanico, inoltre, in base alle problematiche delle aree geografiche in cui è collocato, si occupa della ricerca pura o applicata. Vi sono inoltre orti che si occupano del miglioramento genetico delle piante alimentari, oppure di sperimentare la produzione di nuove "cultivar" fiorifere; altri ancora svolgono ricerca pura nel campo dell'evoluzione delle biodiversità, della geografia e dell'ecologia delle piante. Altre attività degli orti sono: lo scambio dei semi (attività antichissima) e la pubblicazione annuale dell'Index seminum. Le piante vive costituiscono lo scheletro di un orto botanico, ma è pur vero che hanno grossissima importanza gli erbari, le carpoteche (frutti e semi), le xiloteche (legni) che sono associati agli orti. Si caratterizzano, inoltre, per le collezioni che privilegiano un gruppo sistematico particolare; sono dette collezioni specialistiche e vengono allestite come supporto alle ricerche scientifiche. La loro importante funzione bioetica la attuano, come abbiamo già detto, conservando le piante in pericolo; con la distruzione degli ambienti naturali, infatti, si estinguono numerose specie che potrebbero rivelarsi molto preziose in campo medico.
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Fin dall'antichità, sia in Cina che in Persia, si proteggevano le foreste; i Romani avevano i "boschi sacri" e in tempi remoti si piantava una foresta per celebrare un avvenimento importante. Vicino Venezia, invece, nel VIII secolo, venivano create delle oasi faunistiche che avevano lo scopo di proteggere cinghiali e cervi, e Carlo IV di Boemia, nel 1300, fu l'ideatore di una sorta di codice per la tutela delle foreste reali. La concezione moderna di parco nazionale, però, divenne concreta solo quando si istituì, nel 1872, il primo vero parco nazionale, caratterizzato da un ambiente davvero originale: Yellowstone. Il secondo parco nacque in Australia (sembra ovvio che così fosse se si pensa alla florida vegetazione australiana) e nel 1995 prese il nome di Royal National Park. Intorno al 1885, in Canada, si protessero le sorgenti minerali calde di Banff e, nel 1887, in Nuova Zelanda, un re Maori donò alla monarchia inglese dei territori sacri affinché fossero tutelati: divennero poi parte del Parco Nazionale di Tongariro. In Africa l'idea di "conservare" parti di natura si attuò, nel 1898, con la creazione della Riserva Sabie, sarebbe divenuta in seguito il Parco Nazionale Kruger (1926). In Europa la creazione di parchi si ebbe solo nei primi anni del 1900 in Lussemburgo e in Germania; in Italia soltanto nel 1922 si ebbe la costituzione di alcuni parchi nati per proteggere specie animali rare. Nacquero infatti i parchi d'Abruzzo e del Gran Paradiso. Attualmente i parchi hanno la precisa funzione di tutelare la natura in ogni sua forma e manifestazione, di gestione e previsione di interventi atti a far rispettare i valori naturalistici e ecologici, anche attraverso un iter educativo dei visitatori. I parchi sono, inoltre, una sorta di laboratori all'aperto dove effettuare indagini e studi.
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