«Ogni particolare memoria», dicono Berliner
e Briere (1999) «è un
amalgama fra ciò che è stato codificato al momento
dell'evento, le conoscenze di base all'interno delle quali l'evento è stato
integrato, l'interpretazione del significato dell'informazione, l'adeguatezza
delle strategie di recupero ed il contesto del recupero»
La memoria,
quindi, è tutto fuorchè una fotografia oggettiva di
eventi reali. Senza addentrarci in questioni metafisiche relative
all'essenza delle cose, ci è sufficiente sapere che la realtà è intrinsecamente
e definitivamente soggettiva e che, da un punto di vista assoluto,
ogni memoria è "falsa". Se questo vale per ogni
singola e quotidiana memoria e ci consente comunque di vivere in
modo pienamente adeguato, nel caso dei ricordi traumatici ciò comporta
delle complessità maggiori. Infatti, avendo osservato nei
paragrafi precedenti le peculiarità dei processi mnestici
implicati negli eventi traumatici, ci possiamo rendere conto di come
l'alterazione dei processi di codifica e di immagazzinamento dei
ricordi possa produrre un ulteriore quantità di soggettività.
Inoltre, poichè le esperienze traumatiche possono essere intercorse
in fasi evolutive in cui l'aspetto somatico e comportamentale del
ricordare è primario, la successiva elaborazione verbale degli
eventi può essere rappresentata da notevoli confusioni, errori
fattuali, confabulazioni, inclusione di suggestioni provenienti da
altre persone, psicoterapeuti compresi. Alcune esperienze traumatiche,
inoltre, sono, almeno in parte, sottoposte ad un processo di rielaborazione
spontanea da parte della persona, attraverso l'uso della immaginazione
e del raffronto con le risorse mnemoniche della persona stessa.
Quello che la letteratura sembra indicare, infatti, è che
forse è possibile soffrire per fatti mai avvenuti, e non soffrire
affatto per gravi traumi realmente avvenuti Per studiare più dettagliatamente
la disponibilità della mente umana a creare falsi ricordi,
negli ultimi anni sono stati compiuti molti studi di grande interesse.
In particolare, sono stati condotti esperimenti che hanno consentito
di verificare come elementi falsi o errati possano essere incorporati
nel racconto di una persona (misinformation effect), ma è stato
anche possibile fare credere l'esistenza di interi eventi mai accaduti
in una minoranza di giovani e adulti (come il "ricordo" di
essersi persi in un supermercato da piccoli), laddove, secondo Elisabeth
Loftus, la possibilità di creare ricordi falsi ex-novo è tanto
maggiore quanto minore è l'età della persona; le persone
restano, comunque, molto resistenti ad accettare come realmente accaduti
fatti altamente implausibili o strani (l'avere subito un clistere
in una visita medica da parte di bambini). Le differenze individuali
nella dissociazione e nell'immaginazione creativa sembrano essere
associate con la disposizione alla creazione di false memorie negli
adulti (Berliner, Briere, 1999). Nell'alterazione sperimentale dei
ricordi sembra, comunque, che i dettagli fondamentali restino intatti
(Pope, Brown, 1996). Hyman & Kleinknecht (in Williams, Banyard,
1999) hanno inoltre dimostrato che, se anche in prima istanza non è possibile
fare riconoscer come "vero" un fatto totalmente insesistente
collocato nell'infanzia, è possibile farlo riconoscere come "vero" nel
corso di tre interviste in una percentuale rilevante di persone.
Un questione importante è quella della verosimiglianza dei
ricordi in precedenza dimenticati. Alla luce di quanto precedentemente
detto, è possibile ipotizzare che alcuni ricordi riemersi,
magari all'interno di una psicoterapia, siano falsi o modificati
in modo significativo dalla stessa attività di recupero e
analisi posteriori. Ciò non significa, però, che tali
tipi di ricordi siano necessariamente falsi o non accurati. Williams
(1992, 1994) ha effettuato un studio di grande interesse su un campione
di 200 donne fra i 17 ed i 20 anni che da bambine erano state portate
in Pronto Soccorso in conseguenza di un abuso sessuale subito. Di
queste donne, il 38% non era in grado di ricordare l'episodio preso
in considerazione, soprattutto chi era più piccola al momento
dell'abuso e conosceva personalmente il responsabile dell'atto. Fra
queste donne i ricordi dell'abuso emersi ad anni di distanza dall'accaduto
«erano altrettanto affidabili di quelli delle donne che avevano sempre
ricordato l'abuso» (Pope, Brown, 1996). |