Alcuni concetti di base
La psicologia cognitivo-comportamentale affonda parte
delle proprie radici nella ricerca di base, ed in particolare
in quel ramo della psicologia sperimentale che si occupa dell'apprendimento.
Una tradizione di lavoro ormai pluridecennale conferma che l'apprendimento
- adattivo o meno e non solo umano - è in parte determinato da fondamentali
meccanismi di condizionamento. Tale processo può essere essenzialmente
di due tipi: 1) rispondente, che si verifica quando «uno
stimolo [detto stimolo condizionato: SC] accoppiato ad un secondo stimolo
[detto stimolo incondizionato: SI], arriva ad elicitare una reazione
[detta reazione condizionata: RC] simile a quella prima elicitata solo
dal secondo stimolo [detta reazione incondizionata: RI]» (Melamed,
Siegel, 1980, p. 40); 2) operante, riassumibile nel
semplice principio che afferma che i comportamenti vengono modificati
o mantenuti dalle loro conseguenze.
Un esempio di apprendimento per condizionamento rispondente riferito
al contesto di cui ci stiamo occupando può essere la reazione
di attacco/fuga (RC) che alcuni tossicodipendenti esibiscono nei
confronti dei tentativi (SC) di entrare in rapporto con loro. Questi
soggetti, infatti, sono spesso vissuti in ambienti in cui le persone
significative si sono avvicinate loro con intenzioni manipolative,
violente o comunque producendo un effetto emotivamente disturbante
(SI). La frequente associazione fra avvicinamento dell'altro significativo
e comportamento disturbante ha fatto si che la risposta di attacco/fuga
venga poi elicitata dal tentativo stesso di entrare in rapporto con
loro, anche se compiuto da altre persone e senza alcuna intenzione
negativa. Successivamente si evidenzierà come questo stesso
fenomeno può essere efficacemente inserito in un concetto
teorico di ordine superiore, il ciclo cognitivo-interpersonale (Safran,
Segal, 1990), senza per questo perdere di giustificazione o di valore
euristico. La medesima considerazione deve intendersi valida anche
per il possibile intervento terapeutico con l'estinzione esposto
nel prosieguo dell'esposizione. Questo è un esempio dell'interdipendenza
e della compenetrazione fra analisi molecolare e molare in ambito
cognitivo-comportamentale.
L'esempio paradigmatico di condizionamento operante nei tossicodipendenti è rappresentato
dall'assunzione di sostanze stupefacenti. Questi soggetti hanno infatti
imparato che utilizzando determinate sostanze ottengono un rapido
risultato gratificante: evitamento di una condizione dolosa e/o godimento
psicofisiologico.
Avendo ben presenti queste due modalità fondamentali di apprendimento è possibile
sfruttarle per modificare comportamenti precedentemente acquisti
o crearne di nuovi. Seguendo un'impostazione abbastanza classica,
passeremo ora ad esemplificare alcune modalità di intervento
riabilitativo e terapeutico basate sul condizionamento rispondente:
1) l'estinzione e 2) il controcondizionamento.
Il procedimento di estinzione consiste nel presentare ripetutamente
ad un soggetto lo stimolo (SC) che elicita una risposta che si intende
modificare, facendo però in modo che allo SC non segua mai
lo SI. In questo modo lo SC perde gradualmente il potere di elicitare
la RC. Applicando questo principio all'esempio precedente, si effettuerebbe
un intervento di estinzione entrando in relazione con il soggetto
tossicodipendente senza mai motivare realisticamente una reazione
attacco/fuga (cioè al tentativo di entrare in relazione con
il soggetto non segue un comportamento negativo da parte dell'operatore).
All'interno di questa situazione si potrebbe però verificare
che il comportamento disadattivo medesimo, cioè la reazione
l'attacco/fuga indiscriminata, impedisca lo stesso processo di estinzione
in quanto il soggetto si sottrae alla relazione. Può allora
essere adottata una versione differente dell'estinzione e cioè un
intervento di tipo implosivo o flooding. Seguendo
questa tecnica è possibile presentare in modo reale o immaginativo
lo SC ponendo il soggetto in condizione di non potere evitare (se
non con reazioni estreme) lo SC stesso, fornendogli contemporaneamente
sicurezza circa la propria incolumità. La Comunità terapeutica
stessa, quindi, si serve largamente del flooding in quanto i suoi
utenti sono continuamente "immersi" in relazioni potenzialmente ansiogene
dalle quali non possono sottrarsi se non abbandonando la Comunità stessa
o comunque alterando notevolmente la relazione in atto. Si tratta
di una tecnica che in ogni caso deve essere utilizzata con cautela
poichè in alcuni casi invece di produrre estinzione conduce
alla sensibilizzazione verso lo SC (Melamed, Siegel, 1980). L'effetto
esercitato dall'estinzione non è inoltre profondo, soprattutto
se l'associazione SC-RC è molto forte (Meazzini, 1984, p.
113). Non dovrà quindi essere mai impiegata come tecnica esclusiva
per il trattamento di un comportamento disadattivo, poichè non
si può mai escludere completamente l'eventualità di
un recupero spontaneo. Tale intervento, inoltre, può anche
essere vanificato se effettuato in concomitanza a sporadiche associazioni
SC-SI.
Il principio del controcondizionamento sostiene che si riduce l'associazione
fra SC e RC se si associa sistematicamente allo SC un nuova RC antagonista.
La tecnica più nota applicante il controcondizionamento è la
desensibilizzazione sistematica, della quale parleremo più estesamente
in seguito. Anche se raramente ricordato, è molto importante
sottolineare che il controcondizionamento viene applicato anche solo
a livello comunicazionale. Esemplificando, se un tossicodipendente
vive negativamente alcune sue caratteristiche perchè ripetutamente
hanno elicitato negli altri atteggiamenti di rifiuto, allora possiamo
spezzare l'associazione esistente reagendo alle medesime caratteristiche
in modo completamente differente. Anche lo stesso raccontarsi avrà quindi
un esito controcondizionante se sarà seguito, per esempio,
dalla accettazione da parte dell'operatore, piuttosto che dal rifiuto,
dal disgusto o dalla critica. Esiste anche una forma di controcondizionamento
detto avversivo, che prevede l'associazione fra una risposta, appunto
avversiva, ed uno stimolo che precedentemente elicitava risposte
gratificanti ma disadattive. Un esempio a livello covert, cioè non
direttamente osservabile, potrebbe essere l'insegnare ad un tossicodipendente
ad associare sistematicamente alla fantasia di assumere sostanze
stupefacenti (stimolo con valenza positiva) una conseguenza estremamente
spiacevole derivante dalla messa in atto di tale fantasia (reazione
avversiva). Osservato da questo punto di vista, il controcondizionamento
avversivo risulta essere una tecnica di intervento estremamente comune
sia a livello comportamentale quanto, soprattutto, a livello cognitivo
(cioè covert) grazie all'impiego di elementi comunicazionali
(verbali e non) che suscitano un effetto avversivo.
Il fenomeno dell'estinzione non riguarda solo il condizionamento
rispondente, ma anche quello operante, da cui i termini di "estinzione
rispondente" ed "operante". Secondo il modello dell'apprendimento
operante, una risposta di un soggetto viene mantenuta o modificata
se rinforzata, intendendosi per rinforzo «l'aumento
di probabilità che una risposta si ripeta, in seguito alla
presentazione di un evento contingente positivo o ad eliminazione
di uno negativo» (Davison, Neale, 1986, p. 626). Di conseguenza,
se si vuole eliminare un comportamento ritenuto disfunzionale è necessario
non rinforzarlo più, facendo cioè in modo che non sia
seguito nè da eventi positivi nè dall'eliminazione
di una condizione vissuta negativamente.
Un'altra tecnica finalizzata alla riduzione della frequenza dei
comportamenti fondata sul condizionamento operante è la punizione,
le cui varianti sono essenzialmente due: 1) somministrazione di stimoli
avversivi, 2) eliminazione di stimoli positivi.
La punizione del primo tipo ha il grande vantaggio di ridurre,
anche drasticamente, l'emissione di un comportamento disfunzionale.
Nello stesso tempo può anche esitare in numerosi effetti collaterali
negativi, come la paura, la fuga, la produzione di comportamenti
di evitamento magari autolesionistici, l'apprendimento osservativo
di atteggiamenti aggressivi, l'incrinazione di un eventuale preesistente
rapporto terapeutico fondato sulla fiducia e sulla collaborazione.
Inoltre la punizione di per sè dice cosa non fare ma non cosa
fare e conseguentemente deve essere necessariamente integrata da
altre tecniche di modificazione del comportamento.
Esistono essenzialmente quattro tecniche operanti tendenti ad incrementare
un comportamento:
1) rinforzamento positivo;
2) rinforzamento negativo;
3) accrescimento dell'efficacia di un rinforzo;
4) modellaggio.
Il rinforzo positivo è sicuramente la tecnica di condizionamento
operante più sfruttata e duttile. Consiste essenzialmente
nel fare seguire ad un comportamento spontaneamente emesso una conseguenza
positiva. In una Comunità terapeutica i rinforzi positivi
possono essere i più vari, andando dalla retribuzione monetaria,
alla possibilità di uscire da soli fino alla semplice approvazione
con un cenno del capo. Determinante è che tali rinforzi abbiano
caratteristiche tali da essere reperibili nel maggior numero di situazioni
e, soprattutto, nell'ordinario contesto sociale.
Il rinforzamento negativo, invece, prevede che un vissuto spiacevole
venga eliminato, attenuato o posticipato grazie all'emissione di
un determinato comportamento. Un esempio di rinforzamento negativo
in Comunità può essere la diminuzione dell'ansia o
della depressione in un tossicodipendente che si confida con un altro
utente o un operatore.
L'efficacia di un rinforzamento può essere accresciuta in
diversi modi. Innanzitutto, come già accennato, può essere
applicato uno schema di rinforzamento costante se si intende fare
apprendere ex novo un nuovo comportamento oppure se si ha a che fare
con soggetti con ridotte o compromesse abilità di elaborazione
cognitiva. Nello stesso tempo ci si orienta a rinforzare successivamente
lo stesso comportamento in modo intermittente e per mezzo di rinforzi
simbolici più che concreti. In questo modo ci si avvicina
a ricalcare le effettive condizioni di rinforzo presenti nella dimensione
quotidiana. Lavorando sugli aspetti cognitivi, inoltre, un medesimo
rinforzatore può variare notevolmente la propria efficacia.
Affidare un determinato compito di responsabilità ad un utente,
per esempio, avrà un effetto incentivante se precedentemente
si è fatto in modo di informarlo circa la rilevanza di tale
incarico.
L'apprendimento osservativo
Oltre alle due modalità fondamentali di apprendimento
di cui abbiamo appena fornito una rapida sintesi (condizionamento
rispondente ed operante), gli uomini, come pure alcuni animali, ne
hanno a disposizione un'ulteriore: l'apprendimento osservativo (o
sociale o vicario; Bandura, 1969). Contrariamente a quanto avviene
nei processi di condizionamento, l'apprendimento osservativo prevede
che sia possibile imparare comportamenti anche rapidamente nonostante
l'intrinseca complessità e senza alcuna necessità di
una prestazione diretta, ma solamente attraverso l'osservazione di
un modello (nella realtà o immaginativamente) e delle conseguenze
che derivano dal suo comportamento. Questa modalità di apprendimento
rende giustificazione di un insieme straordinariamente vasto e complesso
di competenze e conoscenze a disposizione di ogni individuo, non
altrimenti spiegabile con il ricorso ai principi del condizionamento.
L'apprendimento per osservazione incide nei seguenti modi: 1) acquisizione,
2) facilitazione, 3) disinibizione e 4) estinzione diretta o vicaria
di un comportamento (Rimm, Masters, 1979).
Nell'apprendimento osservativo sono distinguibili due momenti separati,
il primo essendo l'osservazione propriamente detta, il secondo la
prestazione. Nella prima fase risultano essere variabili determinanti
lo status del modello e la similarità fra modello ed osservatore.
Un modello autorevole avrà molte più possibilità di
incidere col proprio esempio comportamentale. Allo stesso modo, quanto
più il modello è simile all'osservatore (per sesso,
età, convinzioni, caratteristiche psicologiche e culturali,
etc.), tanto maggiore è l'eventualità che si verifichi
un apprendimento duraturo. Per tale motivo l'impiego di modelli multipli
incrementa l'efficacia delle tecniche di modeling,
cioè facenti leva sull'apprendimento osservativo (Rachman,
1972). Sfruttando tale opzione è anche accresciuta la probabilità che
l'osservazione dei differenti modelli produca un'integrazione fra
essi ed una particolare ricombinazione da parte dell'osservante,
così che si possa realmente parlare di un autentico apprendimento
trasformativo, piuttosto che di semplice imitazione.
Le conseguenze successive all'emissione del comportamento da parte
del modello, poi, fanno sì che quanto osservato venga preso
in considerazione come meritevole o meno di essere appreso ed applicato.
La sola presenza di un modello attendibile che emette un comportamento
avente conseguenze gratificanti non è però di per sè sufficiente
a generare un efficace apprendimento osservativo. Sono infatti determinanti
le variabili cognitive dell'attenzione, della ritenzione, della riproduzione
e della motivazione (Bandura, 1977). Un soggetto, quindi, deve essere
in grado di dirigere la propria attenzione sugli aspetti rilevanti
di ciò che osserva, memorizzare e recuperare successivamente
quanto osservato; le strategie di stoccaggio e di recupero mnestico
devono quindi essere prese in considerazione nella preparazione degli
interventi di modeling. Allo stesso modo, un individuo deve anche
essere messo nella condizione di riprodurre quanto osservato così da
perfezionarlo e consolidarlo attraverso valutazioni cognitive ed
informazioni di ritorno provenienti, per esempio, dai canali cenestesici.
Infine, non si verifica nessun grado apprezzabile di apprendimento
osservativo o nessuna prestazione di quanto appreso se non è presente
una sufficiente motivazione sia in fase di osservazione che in fase
di prestazione. è importante comprendere che tecniche
di modeling sono parimenti applicabili anche a livello immaginativo
e simbolico, impiegando sia la semplice sollecitazione verbale (Sanavio,
1991) che l'immaginazione in stati modificati di coscienza o di semplice
rilassamento (Lazarus, 1977; Sacco, 1994).
Variabili cognitive
Gli individui non sono però sempre e comunque direttamente
dipendenti dalle contingenze ambientali per il proprio benessere
e per la predisposizione all'apprendimento ed al cambiamento. Attraverso
una grande quantità di tecniche di autocontrollo ogni persona
manipola direttamente la propria responsività a variabili
sia esterne che interne così da potere essere in prima persona
responsabile di sè stessa. Thoresen e Mahoney (1974) ipotizzano
l'esistenza di tre strategie d'autocontrollo fondamentali: 1) l'auto-osservazione,
2) la pianificazione ambientale e 3) la programmazione
comportamentale.
Il trattamento in Comunità favorisce l'autocontrollo dell'utente
incidendo su ognuna di queste tre categorie. L'auto-osservazione è enormemente
potenziata dalla lucidità mentale nonchè dalla grande
quantità di tempo a disposizione del tossicodipendente per
osservare sè stesso in contesti ambientali e relazionali nuovi
e stabili. Come affermato nel capitolo precedente, l'auto-osservazione
può avere di per sè un effetto modificatorio temporaneo
sull'emissione di un determinato comportamento in quanto fornisce
feedbacks sulle componenti comportamentali, emotive e cognitive,
spezzando l'automaticità dei comportamenti disfunzionali.
Forme di auto-osservazione particolari possono essere rappresentate
dall'impiego di videoregistrazioni e di schede di autovalutazione,
nonchè dalla semplice auto-osservazione effettuata però in
contesti particolari come le situazioni di gruppo ed i colloqui individuali,
condizioni che stimolano l'utente ad esplorarsi interiormente ed
a valutarsi da punti di vista non abituali.
La pianificazione ambientale consiste nell'organizzazione del contesto
esterno prima che si verifichi il comportamento disadattivo, attraverso
il cosiddetto controllo dello stimolo. Per evitare ricadute nell'assunzione
di sostanze stupefacenti è utile, per esempio, evitare luoghi
frequentati da tossicodipendenti. Tale strategia viene effettuata
inizialmente di concerto fra Comunità e utente, ma viene poi
sempre più gradualmente interiorizzata dal tossicodipendente
stesso così che impari ad evitare spontaneamente ed automaticamente
determinati luoghi, persone o situazioni (prevenzione della risposta)
oppure a ridurne la frequentazione (limitazione della risposta).
Le attività di programmazione comportamentale consistono
nel cambiamento della risposta di una persona di fronte a propri
comportamenti. Ciò può avvenire attraverso due modalità:
l'autorinforzo e l'autopunizione, entrambi impieganti il condizionamento
operante per mezzo dell'auto-somministrazione o dell'auto-sottrazione
di rinforzi tangibili o espressi verbalmente. Nel corso di un trattamento
comunitario delle tossicodipendenze queste due modalità subiscono
grandi trasformazioni, in quanto l'utente spesso non è inizialmente
in grado di gratificarsi adeguatamente oppure nelle situazione opportune
e, di converso, non utilizza sufficientemente l'autopunizione oppure
ne fa un uso perverso e devastante. Il continuo apprendimento a livello
cognitivo è utile per l'effettuazione di un'ottimale sensibilizzazione
non manifesta, anch'essa utilizzabile ai fini dell'auto-controllo
comportamentale. L'utente, sfruttando il principio del controcondizionamento
avversivo, impara cioè ad autosomministrarsi a livello non
manifesto stimoli avversivi quando si trova nella condizione di immaginare
situazioni o comportamenti che in senso assoluto o per la sua particolare
situazione sono da considerarsi disadattivi e dannosi.
Le tecniche di autocontrollo non intervengono solo direttamente
sullo stimolo, ma anche attraverso altri due fronti: a) la valutazione
cognitiva dello stimolo e b) l'incremento di abilità.
Ogni persona, infatti, decodifica l'ambiente, sia esterno che interno,
impiegando mappe mentali costruite sulla base della propria esperienza
e composte di schemi (cognitivi, emotivi, comportamentali, interpersonali),
strategie, aspettative, sistemi di convinzioni, auto-asserzioni,
pensieri automatici. Si può allora modificare il proprio comportamento
incidendo direttamente sull'assetto cognitivo attraverso l'automonitoraggio
del dialogo interno, la ricostruzione degli schemi cognitivi disfunzionali
e l'autosomministrazione di asserzioni atte a ristrutturare o quantomeno
a incrinare automatismi fondati su valutazioni cognitive distorte.
Un tossicodipendente depresso, per esempio, può essere addestrato
a fare fronte ai propri pensieri di autosvalutazione attraverso l'auto-monitoraggio
e la compilazione di schede appositamente calibrate, passando successivamente
al riconoscimento delle distorsioni cognitive presenti nelle sue
auto-asserzioni ed alla produzioni di materiale cognitivo più "realistico".
Con l'esercizio questo procedimento diventa sempre più automatizzato,
così che non sarà praticamente più necessario
riportare per iscritto alcun pensiero automatico, ma spontaneamente
si reagirà all'aumentata percezione del dialogo interno distorto
per mezzo di conoscenze ed abilità cognitive più raffinate
ed efficaci (Beck, Rush et al., 1979). Le elaborazioni cognitive
disfunzionali, soprattutto se assumono l'aspetto della coattività,
possono anche essere controllate per mezzo di tecniche di arresto
del pensiero, consistenti nell'indirizzare l'attenzione verso stimoli
neutri, attività coinvolgenti o semplicemente alternative,
così da non rimanere sopraffatti da dialoghi interni parassitari.
Implicitamente questa metodica viene immediatamente insegnata ai
tossicodipendenti in trattamento comunitario, in quanto la stessa
Comunità può essere vista come una grande tecnica di
arresto del pensiero nel momento in cui invita i suoi utenti, specialmente
all'inizio del trattamento, ad applicarsi con costanza e tenacia
in attività manuali che producono l'effetto di concentrare
la mente sul presente liberandola dal devastante rimuginio interiore
spesso presente in un soggetto che ha appena iniziato un percorso
riabilitativo così difficile. Allo stesso modo, sfruttando
nuove abilità assertive e di risoluzione di problemi (vedi
oltre) l'individuo diventa sempre meno reattivo nei confronti degli
stimoli elicitanti comportamenti disfunzionali, essendo più padrone
del presente e della progettualità. Una variabile cognitiva
che è sempre importante tenere in considerazione in qualsiasi
processo di apprendimento è l'aspettativa di auto-efficacia,
cioè «la convinzione di poter attuare con successo il
comportamento necessario a produrre risultati voluti. Bisogna operare
una distinzione fra le aspettative di efficacia e quelle del risultato,
dal momento che alcuni soggetti, malgrado siano convinti che particolari
azioni produrranno risultati sicuri, hanno dei seri dubbi sulle loro
capacità di metterle in atto: in questo caso le informazioni
non influenzano il comportamento» (Bandura, 1977). Nei tossicodipendenti è frequente
riscontrare un livello di autoefficacia molto basso, e questo soprattutto
nelle condizioni psicopatologiche più frequentemente ad essi
associate: la depressione ed i Disturbi di Personalità. Allo
stesso modo, spesso ritengono di non potere nulla contro alcune delle
proprie difficoltà, di non essere in grado di fare fronte
agli eventi poichè il locus of control (Rotter, 1966) degli
stessi è posto all'esterno degli individui. Spesso infatti
sentiamo dire dai tossicodipendenti che non possono cambiare perchè "è troppo
tardi", perchè la famiglia, la società o il loro passato
hanno determinate caratteristiche immodificabili. Se non vengono
ristrutturate queste convinzioni, spesso profondamente radicate perchè fondate
su "reali" e ripetute esperienze passate, difficilmente potremo ottenere
risultati terapeutici appena decenti, a dispetto della precisione
e della costanza con cui applicheremo i principi dell'apprendimento
ai soggetti tossicodipendenti. Non c'è allora da stupirsi
se i risultati con questi utenti si ottengano con tanta difficoltà,
poichè è la stessa percezione di sè come individui
ad essere intimamente minata, anche se, probabilmente, macrovariabili
come il locus of control dovrebbero essere dettagliatamente valutate
in funzione degli specifici contesti, così da assumere una
configurazione multimensionale piuttosto che globale (Sanavio, 1991). Nel
modificare l'impatto dello stimolo sull'elicitazione di determinati
comportamenti disfunzionali sono poi molto utili le tecniche
di rilassamento che, incidendo direttamente sul versante psicofisiologico,
accrescono le capacità di controllo dell'ansia e di de-automatizzazione
dei comportamenti. |