La procedura d'intervento per il Disturbo
Post-Traumatico da Stress (PTSD):
il protocollo standard per adulti e adolescenti
L'EMDR è nata come terapia elettiva del PTSD ed ha modellato
la struttura fondante della propria procedura di intervento (nonchè le
proprie basi teoriche) su questa patologia. I protocolli di intervento
rivolti ad altre patologie (adeguatamente validati o meno) sono l'adattamento
dell'originale protocollo per il PTSD. Non si tratta però di
un limite metodologico dell'EMDR o di un residuo storico della sua
evoluzione. L'EMDR, infatti, è e resta innanzitutto un intervento
efficace sugli eventi traumatici o altamente stressanti, e come tale
interviene su questi target di intervento adattando le proprie procedure
alle peculiarità con le quali gli eventi traumatici o altamente
stressanti si manifestano all'interno delle differenti manifestazioni
psicopatologiche. Il trauma, infatti, più che essere connesso
in modo privilegiato al PTSD, sembra doversi considerare un elemento
trasversale di parte significativa della psicopatologia (Bremner,
Vermetten, Southwich, Krystal, Charney, 1998; Briere, 1997;
Williams, Joseph, 1999). Considerando, infine, che il protocollo
EMDR per il PTSD negli adulti e negli adolescenti connesso ad un
singolo evento traumatico è senza dubbio quello maggiormente
consolidato e verificato sperimentalmente, farò riferimento
dettagliatamente solo a questo protocollo, semplicemente accennando
in seguito ad ulteriori applicazione dell'EMDR.
La procedura-tipo o algoritmo di intervento consta di otto fasi
specifiche, composte di elementi "non specifici" (relazione
terapeutica, elementi psicoeducazionali, etc.), di elementi genuinamente
specifici (movimenti oculari o altri tipi di stimolazione adeguata,
sequenzialità degli interventi effettuati) ed elementi mutuati
- direttamente o indirettamente - da altre tradizioni di ricerca
(assessment cognitivo e ristrutturazione, esposizione graduale, abreazione,
assecondamento delle libere associazioni, valorizzazione di immagini
a contenuto simbolico, manipolazione delle immagini mentali, tecniche
provenienti dalla tradizione della terapia ipnotica ed altro ancora).
Nelle fasi iniziali viene raccolta l'anamnesi del paziente, viene
valutata l'opportunità dell'intervento e la presenza di condizioni
indispensabili per evitare di ritraumatizzare il paziente o generare
un drop-out. In seguito viene spiegato e calibrato il procedimento
terapeutico, e viene verificata la possibilità di raggiungere
una condizione di sicurezza psicofisiologica, eventualmente in sinergia
con tecniche di rilassamento, di ipnosi e/o di autoipnosi (esercizio
del "luogo sicuro").
La fase dell'assessment è di particolare importanza, ed è caratterizzata
dalla costruzione di un'accurata baseline articolata sulle componenti
cognitive, emotive, sensoriali del trauma, con una particolare attenzione
rivolta alle sensazioni fisiche. Un accesso olistico alla memoria
traumatica massimizza la probabilità che abbia effetto l'intervento
terapeutico successivo. In particolare, l'enfasi posta sulle sensazioni
fisiche è in accordo con la ricerca traumatologica attuale
che evidenzia un massiccia e cruciale presenza della componente cenestesica
e, in senso lato, implicita, nella memorizzazione dei traumi (Bremner,
et al., 1998; van der Kolk, 1996; van der Kolk, Fisler, 1995). Le
difficoltà di acceso ai ricordi (evitamento, dissociazione,
intrusività, frammentazione, razionalizzazione, banalizzazione,
etc.) sono elementi decisivi nella calibrazione delle modalità d'intervento.
La fase della desensibilizzazione consiste nell'applicazione della
stimolazione alternata più adeguata al paziente che ha avuto
accesso al materiale traumatico. All'interno di questa fase si deve
includere ogni forma di risposta che il paziente esibisce nei confronti
dell'intervento, e tipicamente: associazioni verso altri ricordi,
prese di coscienza, cambiamento delle differenti componenti sensoriali
costitutive del ricordo del trauma, modificazione di convinzioni,
abreazioni, e così via. Il compito del terapeuta è di stimolare
la rielaborazione spontanea del trauma, intervenendo solo se strettamente
necessario, evitando interpretazioni o commenti interferenti, ma
anche arbitrarie manipolazioni della direzione della rielaborazione
autonoma del trauma. Esistono alcune importanti eccezioni a questa
regola di procedura: 1) se il paziente è in difficoltà ed
in particolare se il processo rielaborativo è in stallo; 2)
se il paziente è sopraffatto dalle emozioni; 3) se il paziente
manca delle risorse cognitive ed emotive per affrontare il problema;
4) se, piuttosto che eliminare "chirurgicamente" un trauma,
dobbiamo anche ricorrere ad un modello "riparativo" o "integrativo" relativamente
ad esperienze di vita assenti, come nel caso dell'incuria e dell'abuso,
sessuale, fisico o psicologico (Giannantonio, 2000, a, b; Leeds,
1998). Durante il processo di rielaborazione il terapeuta si ferma
periodicamente, calibrando il proprio procedimento su quanto può comprendere
della rielaborazione che sta avvenendo nel paziente, fermandosi tipicamente
quando ha l'impressione che sia terminato uno step rielaborativo
oppure se il paziente appare essere in stallo. A questo punto il
paziente viene invitato a verbalizzare quanto sta accadendo dentro
di lui sotto forma di pensieri, sensazioni, emozioni e connessioni
ad altri ricordi. Questo consente normalmente di comprendere la modalità e
la direzione della rielaborazione in atto, fornendo inoltre le informazioni
necessarie al terapeuta per agevolare la ripresa del processo nell'eventualità che
questi sia impossibilitato.
Quando il coinvolgimento emotivo è notevolmente ridotto o
eliminato si interviene agevolando la ristrutturazione cognitiva
delle cognizioni disfunzionali (o inadeguate rispetto al tempo presente)
che usualmente sono associate ad un trauma. Nello specifico, viene
utilizzata una "cognizione positiva" già evidenziata
nella fase di assessment, ovvero quello che il paziente vorrebbe
realisticamente riuscire a pensare su di sè mentre accede
al trauma (i.e.: "Ora sono al sicuro" oppure "Non è stata
colpa mia", mentre accede al ricordo di un incidente automobilistico).
Attraverso la stimolazione alternata si intende integrare il materiale
mnestico originario con nuove informazioni che precedentemente erano
inaccessibili emozionalmente e/o cognitivamente (Lipke, 2000). Effettuata
l'installazione si verifica l'eventuale presenza residua di sensazioni
negative presenti mentre il paziente accede al trauma originario
unitamente alla cognizione positiva. Se la ristrutturazione cognitiva
non è completa viene ripetuta o modificata. Se sussistono
ancora ricordi percepibili somaticamente, questi diventano il target
d'intervento da stimolare per mezzo della stimolazione alternata.
Spesso l'intervento su questi residui sensoriali connette il paziente
a ricordi variamente collegati al trauma dal quali si è partiti,
portando l'intervento a dirigersi su una rete mnestica coinvolta
nel disturbo presentato dal paziente. Ottenuto questo obiettivo o,
come più comunemente avviene, al termine della seduta, il
paziente viene invitato ad interrompere la fase di rielaborazione
orientando la piena attenzione verso il proprio luogo sicuro. In
questo modo si intende evitare che la rielaborazione del trauma proceda
senza soluzione di continuità al termine della seduta, magari
in presenza di ricordi altamente disturbanti. Il paziente viene infine
invitato a monitorare sè stesso fra una seduta e l'altra e
a riferire successivamente l'eventuale presenza di elementi connessi
alla rielaborazione in atto del trauma (pensieri, emozioni, sensazioni,
ricordi, sogni, etc.).
L'inizio di ogni seduta di EMDR dovrebbe poi iniziare con una rivalutazione
dell'opportunità di proseguire il lavoro sul target di intervento
della seduta precedente. In particolare, è necessario effettuare
un nuovo assessment cognitivo, emotivo, percettivo e sensoriale del
target sul quale si sta lavorando, per valutare l'opportunità di
un intervento ulteriore o di uno spostamento del focus d'intervento.
Potrebbe essere che l'intervento termini con la rielaborazione di
un singolo evento traumatico, ma in realtà questa eventualità non è certo
la più frequente. Il trattamento di un evento traumatico sovente
porta il paziente a riferire di altri episodi stressanti o francamente
traumatici variamente connessi al target di partenza, all'interno
di una vera e propria rete mnestica.
Il protocollo standard di intervento per il PTSD prevede, inoltre,
che sia clinicamente necessario rielaborare gli eventi traumatici
passati, ma intervenire anche sulle situazioni contingenti attuali
che fungono da triggers nei confronti degli eventi traumatici e,
infine, sulle ipotetiche situazioni future che si presumano possano
riattivare i comportamenti disfunzionali connessi alle originarie
esperienze traumatiche. Di conseguenza, è teoreticamente corretto
e clinicamente efficace considerare come target d'intervento non
tanto il singolo evento che il paziente riferisce - appunto - come
traumatico, quanto piuttosto il ricordo in questione all'interno
di una specifica rete mnestica, con connessioni al passato, al presente
ed al futuro. Questa non è un'opzione teoretica arbitraria,
ma la formalizzazione di una necessità metodologica evidenziata
regolarmente dai pazienti. Di fatto, l'EMDR consente frequentemente
di potere ripercorrere gli elementi costituitivi nella produzione
di ciò che definiamo comunemente "traumatico", ovvero
di evidenziarne l'etiologia psicobiologica multifattoriale (Briere,
1997; Carlson, Dalemberg, 2000). |