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Disiecta membra

Elettricità e riproduzione tecnica. Norme e tipi edilizi. Il tramonto del teatro all'italiana. Gesamtkunstwerk e architettura. Toscanini sprofondato. Massa, potere e cinema. Gli Enti Lirici. Il colpo di scimitarra. Scenografia vs scultura.

Gli ultimi decenni del XIX secolo incubano le forme della risproduzione tecnica di spettacoli che si affermeranno in quello seguente. Nel 1857 vengono fatti i primi esperimenti di fotografia a colori. Nel 1866 Hyatt inventa la celluloide. Nel 1878 Edison crea il primo fonografo. Nel 1889 compaiono i primi dischi fonografici in gomma. Nel 1895 Lumière proietta i primi film a Parigi. Nel 1897, anno dell'inaugurazione del teatro Massimo di Palermo, Braun inventa il tubo catodico e Marconi il telegrafo senza fili. Da parte sua il pubblico subisce una evoluzione parallela.

Dei due nuovi pubblici comparsi nei teatri a palchetti, il borghese in platea e il popolare negli ultimi ordini, abbiamo visto il primo ispirare modifiche, parziali quanto numerose, volte ad eliminare quei "dettagli", considerati residui di epoche oscure, che si opponevano all'individuazione di una forma di teatro in qualche modo adatta a qualsiasi tipo di rappresentazione e classe di pubblico. L'ideologia, tipicamente borghese e progressista, della prefigurazione di ogni libertà possibile in un solo oggetto caratterizzerà anche il XX secolo, nei primi decenni del quale si forma attorno al tema del grande teatro un pesante strato di ideologie, di nomi comuni, di concetti, di paradigmi architettonici, di plurimi apparati normativi (riguardanti l'assetto proprietario, quello giuridico, la normativa di sicurezza, quella di ordine pubblico, ecc.), di aspirazioni nazionali e municipalistiche.

L'ultima e più significativa modifica, il taglio della ribalta e la creazione del golfo mistico, è imposta alla parte più delicata dei vecchi teatri, la zona di congiunzione fra il pubblico e lo spettacolo. L' esempio-guida ci viene dalla Scala di Milano, diventata il più importante teatro italiano. Abbiamo già osservato le critiche mosse da Landriani e Taccani al proscenio del Piermarini. Solo verso la fine del secolo la platea assumerà una configurazione simile a quella alla quale siamo abituati oggi. Ma la visione era allora disturbata dall'orchestra, che da parte era cresciuta d'organico. Inoltre lo sviluppo in senso storico dei repertori, l'alternanza divenuta abituale di opere nuove opere ed antiche, rende piuttosto seri i problemi relativi alle condizioni della fruizione, imposte dalla forma dei vecchi contenitori. L'opinione che essi fossero ormai inadatti al dramma musicale dell'ultimo Verdi o al Gesamtkunstwerk era diffusa e condivisa.

Non è casuale che il punto d'arrivo dell'utopia wagneriana, la fondazione attraverso l'ascolto di una nuova comunità, in cui le contraddizioni sono risolte, si concretizzi, alla fine, nella fondazione di un edificio, il Festpielhaus di Bayreuth. Nella teoria della Gesamtwirkung, cioè della creazione artistica come risultato collettivo, centrale nell'estetica filosofica di Gottfried Semper è stato intravisto il primo embrione del Gesamtkunstwerk, con cui Wagner voleva rappresentare l'estrema sintesi della intera vicenda storica del teatro, non solo musicale. Con parallelismo simile, il teatro di Bayreuth propone, come punto d'arrivo, tutti quei temi che avevano agitato la cultura della sala teatrale dal primo Settecento in poi: la comunità dell'ascolto e della visione, la critica dei palchetti, l'ideologia di una platea di "uguali", la scomparsa dell'orchestra, la separazione fra sala e spettacolo, inteso quest'ultimo come una realtà a parte. In Italia la questione ora è studiare per gli edifici esistenti modernizzazioni che non li rendano contenitori impropri per il repertorio classico, da Gluck a Rossini, da Bellini a Donizetti, che era stato scritto in essi e per essi, ma anche adeguato alle consuetudini esecutive del tardo romanticismo. Verdi, con pragmatico tradizionalismo, voleva che l'orchestra non intralciasse la visione, la sala buia e il sipario sulla linea della ribalta.

Ai primi del Novecento l'intervento appare quasi un legato di Verdi, morto da poco tempo. La modifica ha quindi un carattere misto di avveramento differito di quanto annunciato dai dioscuri musicali del secondo Ottocento e di esecuzione testamentaria. Se ne incaricano tre autorità dell'opera lirica: Arrigo Boito, Giacomo Puccini ed Arturo Toscanini -sostenitore dell'idea che un piano mobile per l'orchestra potesse rendere adatta la sala a repertori diversi -, che partecipano a una commissione incaricata di studiare l'intervento di "decapitazione" del palcoscenico, portato a compimento in fasi successive. Nel 1906 l'orchestra viene abbassata di livello e riceve il nome di "golfo mistico", sia pure senza emulare fino in fondo le profondità bayreuthiane. Nel 1920 -sempre presente Toscanini- la ribalta arretra di circa due metri. 

Presto o tardi imitata da tutti i teatri italiani, per i quali quanto avviene ala Scala ha valore di paradigma, questa semplice "correzione" architettonica, poco osservata in seguito appunto per l'assenza di termini di confronto, radicalizza le trasformazioni in atto, finendo con l'imporre, a qualsiasi testo, la prassi esecutiva del secondo Ottocento: nelle nuove grandi buche gli organici delle orchestre aumentano, non più solo per esigenze estetiche, ma anche per necessità funzionali; i professori d'orchestra perdono il contatto visivo con i cantanti; questi, allonanati dal pubblico e costretti a muoversi fra scene realistiche costruite in palcoscenico, sono portati a preoccuparsi della potenza dell'emissione. La responsabilità del coordinamento dinamico e della sincronizzazione degli interpreti e delle masse, resa più difficile dalle distanze aumentate, ricade ormai completamente sulle spalle del direttore.

Il pubblico, da parte sua, non è più coinvolto come un tempo nella attività dei grandi teatri. Né a Roma, né a Palermo, i tentativi di vendita dei palchi dei nuovi teatri avevano ottenuto successo. La società di eletti, l'appartenenza alla quale si era manifestata con il possesso privato del palco, ora lascia il posto ad un nuovo, sconosciuto soggetto: la "massa". Negli spettacoli destinati ad esso si estenua la funzione di simulacro di unità nazionale svolta dai grandi teatri. Si tratta di un'entità sociale definita per soli numeri, e per il resto per negazioni, diversa da ogni categoria preesistente. In essa ogni riconoscibilità è messa in dubbio, in maniera simmetrica ed opposta alla identificabilità nominale dei notabili, della quale il palchetto era l'adeguato supporto. Non a caso l'atto ufficiale dell'entrata dei nuovi soggetti/destinatari sulla scena politica è la negazione più radicale della loro identità personale nell'olocausto della Grande Guerra. L'ultimo tentativo di identificare nella "massa" un destinatario dello spettacolo da vivo, ipotesi di riunione fisica di un campione finalmente reale della comunità nazionale è consumato due anni prima, all'Arena di Verona, raggiungendo e ampiamente superando i limiti fisici dell'ascolto e della visione. Lo spettacolo di massa all'aperto è uno dei cavalli di battaglia dell'unificazione culturale della nazione condotta dal fascismo. Lo sviluppo dei mezzi di riproduzione tecnica e le sue conseguenze sullo spettacolo dal vivo sono trattati in un grande convegno sul teatro tenuto nel 1934 all' Accademia dei Lincei, che dedica due giornate ai problemi dell'architettura per un teatro moderno. L'architetto Gaetano Ciocca, in camicia nera, presenta il suo progetto per un teatro "per 20.000" persone, dichiarando però subito che essa, più che mirare ad una concreta realizzazione, vuole dare forma di progetto ad un pensiero espresso dal Duce, che trova nell'Aida areniana del '13 il suo diretto precedente. "Credere" é l'imperativo di moda.

Alla politica culturale del fascismo risale l'istituzione degli Enti Lirici. La legge che permette ai comuni con un numero di abitanti superiore a 300.000 di istituire un ente autonomo per la gestione della stagione operistica è del 1936. Il modello è la costituzione in Ente Autonomo dei teatri Alla Scala, Dell'Opera di Roma e Comunale di Firenze, avviate negli anni '20. Si esprime in questi provvedimenti la necessità di controllare, istituzionalizzandola, la vita culturale della nazione. L'importanza attribuita al patrimonio edilizio teatrale motiverà, nel 1942, l'istituzione dell'ETI (Ente Teatrale Italiano), con il proposito, presto disatteso, de "l'acquisto e la costruzione, nonché i restauri e gli adattamenti di immobili destinati o da destinarsi ad uso teatrale", della creazione cioè di una rete di strutture teatrali moderna, assolta in minima parte dai teatrini realizzati nelle "Case del Fascio". Corollario decisivo dell'attenzione del regime è la sindacalizzazione corporativa del personale che collabora alle messe in scena. Si crea così nei grandi teatri un manipolo di dirigenti politicamente collocati e attorno ad esso un gruppo esoterico e stabile di addetti ai lavori che inizia a porre i problemi caratteristici del pubblico impiego e mostra una cronica tendenza all'auto-isolamento.

I mezzi della riproduzione tecnica, la radio e poi il cinema, sostituiscono ovunque il proprio primato a quello ormai desueto dell'opera musicale. In campo architettonico, realizzazioni significative del ventennio sono, oltre agli stadi sportivi, le sale cinematografiche e il complesso di Cinecittà. Si compie l'ultima, definitiva separazione, quella fra lo spettacolo e il destinatario. I palcoscenici, ora chiamati teatri di posa, sono concentrati negli aurei recinti di Cinecittà e sottoposti al diretto controllo della Presidenza del Consiglio; si moltiplicano dovunque platee dove la presenza concreta dello spettacolo è sostituita dal sommesso fruscio della macchina da proiezione. Nella loro spessa oscurità la curiosità del pubblico, dietro qualche porta semichiusa, può ormai soddisfarsi solo con qualcosa di osceno.

Fino all'avvento della riproduzione tecnica (sopratutto televisiva) che configura nell'astrazione chiamata "masse" il nuovo destinatario empirico degli spettacoli, si assiste in precipuamente alla dilatazione degli spazi, sia nei progetti ex-novo che nei grandi teatri storici. Gli ultimi ordini di palchi continuano a trasformarsi in loggioni. I palcoscenici crescono il dimensioni e si dotano di macchinari a volte molto complessi, cercando di scimmiottare effetti tipicamente cinematografici come il realismo e la rapidità di cambiamento di quadro. Come la scenografia dipinta ottocentesca, quella cinematografica è progettata su due dimensioni, quadri ed inquadrature, in bozzetti che si succedono ordinatamente l'uno dietro l'altro. In teatro la scena si evolve invece nelle tre (quattro, nelle esperienze di particolare valore) dimensioni del modellino, finendo per assomigliare alla scultura.


da Francesco Sforza, Grandi Teatri Italiani, Editalia, Roma, 1993