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L'architetto-funzionario

La burocrazia imperial-regia. Vanvitelli e Piermarini. S. Maria della Scala. Il timpano incollato . Somiglianze con Fischer Von Erlach. L'ultimo pagradigma. Il taglio della ribalta (1906-1921).

Nella genesi del più celebre e più imitato teatro italiano non si trovano elementi diversi ed eccezionali rispetto a quelli normalmente all'origine della costruzione degli altri teatri, in questo scorcio di secolo. I precedenti sono quelli abituali: un teatro, il Ducale, incendiato nel 1776, per la terza volta. Un gruppo di aristocratici che raccoglie la proposta di Ferdinando I d'Asburgo, arciduca d'Austria, di ricostruirlo, e chiede a tale scopo al Governo un'area e una partecipazione all'impresa, nella forma della costruzione delle mura, impegnandosi a realizzare il resto secondo la formula consueta della società dei palchettisti. Un palleggiamento di ipotesi circa la localizzazione, nel quale l'Arciduca inserisce l'idea di realizzare un secondo teatro, "più piccolo in luogo comodo al pubblico al centro della città" (sarà la Canobbiana) e il nome dell'architetto al quale affidare i due progetti: Giuseppe Piermarini. Tutto avviene in un clima burocratico che sembra smussare ogni qualità saliente: teorie, critiche, personalità, protagonismi. Di eccezionale c'è proprio la burocrazia imperial-regia, forse la più efficiente di tutte le burocrazie, allora impegnata nella modernizzazione e ristrutturazione del capoluogo del Lombardo-Veneto. Tutti i temi e i problemi della costruzione di un teatro moderno passano nel suo pettine. Il risultato è notevole per il senso della misura che lo distingue: la Scala è un teatro grande, ma non eccessivo; imponente, ma non maestoso; di un modernismo misurato, ma perfettamente in linea con le correnti estetiche più avanzate dell'epoca.

Nato a Foligno nel 1734, Piermarini arriva a Milano nel 1769, al seguito di uno degli architetti più noti dell'epoca tardobarocca: Vanvitelli, al quale la Corte di Vienna aveva affidato l'incarico della trasformazione del palazzo Ducale. Vanvitelli è un personaggio tipicamente ancien régime, chiamato a Milano in seguito alle ottime prove da lui offerte al re di Napoli, per il quale aveva costruito la reggia di Caserta. Nel corso del tirocinio svolto presso di lui, il giovane folignate era entrato in contatto con gli elementi del linguaggio tardobarocco e si era applicato a redarne il proprio personale catalogo, con asciutto raziocinio in linea con i suoi originali interessi matematici e fisici, per i quali aveva già raccolto l'ammirazione e la stima dell'abate Boscovich, uno dei più noti matematici del tempo, che lo sottrasse alla carriera commerciale, prefiguratagli dal padre, per avviarlo agli studi. Piermarini non mostra di condivedere i contenuti sociopolitici che animavano la cultura illuminista del suo tempo. Partecipa invece pienamente al suo spirito scientifico, come testimoniano il suo metodo progettuale e il suo hobby : la costruzione di strumenti di precisione.

La situazione milanese è strutturalmente diversa da quella napoletana, quanto il suo ruolo di capoluogo di una provincia dell' Impero è lontano dall'aspirazione napoletana a rivaleggiare direttamente con gli Asburgo. L'urto fra la personalità di Vanvitelli e la burocrazia austriaca offrirà a Piermarini troverà l'occasione di emergere. Su indicazione del maestro, che preferirà andare a servire il re di Spagna, sarà lui ad occuparsi concretamente del lavoro del Palazzo Ducale, in seguito al quale otterrà le nomine ad Architetto Camerale e Arciducale e Ispettore Generale delle Fabbriche dello Stato in Lombardia. Egli si inserirà così perfettamente nei quadri amministrativi della città. La Scala é solo un adempimento -certo di grande importanza, per la notorietà che gli assicura- del ruolo di architetto-funzionario tipico del "nuovo corso" asburgico. 

Il compimento di un teatro, progettato a Mantova da Antonio Galli Bibiena, lo sfortunato architetto di Bologna, il cui progetto di facciata era stato definito "réellement ridicule" da Giuseppe II, fu uno dei primi lavori importanti eseguiti in questa veste da Piermarini. Qui egli evita di affrontare il problema, prolungando il prospetto classicheggiante della nuova accademia teresiana e nascondendo il teatro dietro di essa. Alla ricostruzione di un nuovo grande teatro milanese all'interno del palazzo Ducale, già progettata nel 1769, si oppongono considerazioni moderne: l'Arciduca non disdegna l'ipotesi, ma l'immagine di una amministrazione moderna, cioé razionale e aliena dall'arbitrio, sconsiglia la contiguità fra gli ambienti della vita ufficiale e un luogo di svago e sopratutto di gioco, il cui incendio era per giunta stato denunciato come doloso da una lettera anonima. Da parte loro i palchettisti preferiscono un edificio autonomo dalla sede del potere politico.

La virtù aurea del funzionario è la flessibilità: l'incarico affidato a Piermarini è di disegnare un teatro "in qualunque di questi siti venga fabbricato". Egli preferisce dunque non intervenire, limitandosi a sconsigliare l'ipotesi di ricostruire il teatro al Palazzo Ducale per motivi tecnici, come il pericolo d'incendio. Alla fine verrà scelto, non senza il consenso delle autorità ecclesiastiche, il sito occupato dalla chiesa di S. Maria della Scala, una delle 78 distrutte per fare posto i nuovi edifici pubblici, nel quadro dell'azione di razionalizzazione urbanistica e di limitazione della manomorta ecclesiastica. La Scala diventa così il primo esempio cospicuo della tendenza già accennata, qui razionalista e laicizzante, altrove radicalmente anticlericale, che serpeggia ambigua sia fra rivoluzionari che restauratori illuminati, di sostituire i teatri alle chiese: Solo "a Milano il teatro Filodrammatici, il S.Radegonda, il Carcano, il Lentasio e il Re vengono costruiti in luogo di chiese demolite" racconta Giuliana Ricci.

Nella vicenda della progettazione i disegni vengono più volte modificati per ottenere il consenso di tutte le parti interessate, fra le quali Piermarini svolge un'opera di mediazione, non sempre bene accetta dai privati. La costruzione procede così rapidamente. Il portico per coprire l'ingresso delle carrozze, presto famoso, viene richiesto dai palchettisti, è una comodità già offerta dal teatro Regio di Torino, inaugurato nel 1740. Il Collegio dei Nobili chiede l'apposizione di un timpano sull'attico, che Piermarini, condiscendente, incolla al disegno già esistente e che ne costituirà l'elemento più evidentemente neoclassico. Nei contrasti volumetrici che non alterano il prevalente carattere piano della composizione e nel lieve contrasto fra la semplicità dell'attico senza "ordine" e il resto della facciata è possibile osservare un dinamismo compositivo tipico del gusto dell'epoca e coerente con la flessibilità del progetto. Il disegno della nuova facciata risulta da una progressiva opera di aggiustamento fra idee ed esigenze diverse e raccoglie così un vasto consenso. La realizzazione sarà poi oggetto di critica: "La facciata del nuovo teatro è bellissima in carta, e mi ha pure sorpreso quando la vidi prima che si mettesse mano alla fabbrica, ma ora quasi mi dispiace. Nel disegno tu vedi la facciata come una sola superficie; nella esecuzione sono tre pezzi. Il portico di bugne si avanza molto, e servendo al passaggio delle carrozze che vanno al teatro, si copre e offusca parte dell'edificio. Se ti scosti poi per vedere scemata la deformità, ti spunta un casotto in cima alla facciata, che è il tetto assai alto. Questa facciata poi ... non ha piazza davanti a sé", scrive Verri subito dopo l'inaugurazione, cogliendo con esattezza la natura burocratica, cartacea, della progettazione.

L'inserimento del teatro in un programma educativo, teorizzato in quegli anni dall' Algarotti, dal Verri, dal Baretti e dal Milizia non trova una adesione sul piano della definizione formale. Piermarini elabora, nel suo percorso stilistico, un lessico architettonico riutilizzabile in diverse occasioni, dove la decorazione è appiattita e quasi graficamente schiacciata sulle superfici. E' questo l'elemento più "urbanistico" del suo metodo progettuale, applicato a tutti gli edifici sui quali egli interviene, contribuendo in modo determinante alla "figura" di Milano moderna. Il risultato finale, uno stile che rappresenta le intenzioni del suo committente governativo, si situa originalmente nel panorama internazionale della cultura neoclassica, fra il lessico stilistico aulico del "Reichsstil" imperial-regio di Fischer Von Erlach, storico e insieme razionale, e il vigoroso linguaggio tardobarocco del suo vecchio maestro Vanvitelli.

La gloria derivante dal primato italiano di "grandezza e magnificenza" che la sala si propone di raggiungere è sottolineata dai palchettisti in una lettera all'imperatrice, di fronte alla quale il teatro non può ovviamente tendere ad un primato assoluto. Piermarini disegna una sala che non ha nulla da invidiare al più grande teatro allora esistente, il S.Carlo, ma dotata di un asciutto senso civile, applicandosi a risolverne con la consueta accuratezza empirica la forma (la celebre, imitatissima curva a "ferro di cavallo") e la struttura della copertura, in "bacchette" di legno munite di particolari ancoraggi che ne assicurano la sonorità. In questo lavoro egli tiene conto di tutte le esperienze a disposizione nei teatri costruiti più di recente, studiando di accoglierne i pregi e rigettarne i difetti. Ottiene un risultato equilibrato e funzionale, sempre con l'attenzione di redigere un progetto passibile di modifiche. Scarsamente interessato all'archeologia e alle suggestioni neoclassiciste, Piermarini adotterà le piante a gradoni, che affascinavano gli architetti francesi, solo per i progetti di quei piccoli "teatri" didattici dove esse trovavano una giustificazione anche funzionale: il teatro di anatomia dell'università di Pavia e quello di fisica di Brera. La scelta per la struttura della sala eviterà la sovrapposizione tradizionale degli ordini classici, distribuendo i palchi su grandi parapetti a fasce, nei quali il gusto moderno riuniva semplicità, grandiosità e unitarietà dell'impianto interno. Per la decorazione Piermarini sceglierà una soluzione di compromesso, alternando gli ordini "a grottesche", consigliati dall' Algarotti, con ordini "a balaustrini". Dopo l'adozione di Piermarini, questo partito compositivo e decorativo venne adottato di frequente. Significativa è l'opposizione di all'uso di arredare i palchi secondo il gusto dei proprietari. Alcuni di loro fecero comunque effettuare in seguito decorazioni a proprie spese, di cui rimane qualche ricordo nella sala e presso il Museo contiguo. Il resto della struttura e della decorazione è una ricomposizione di motivi già presenti in altri teatri italiani, come il boccascena racchiuso fra colonne giganti binate, il proscenio aggettante verso la sala, ma su di una curva semplificata, la vaga coloratura rococò offerta dalla decorazione a conchiglie. All'interno vengono realizzati gli ambienti per botteghe per caffè, sale per cene e per giochi, ridotti e locali tecnici dei quali il teatro, edificio "di servizio" alla cittadinanza, autonomo da palazzi e altre preesistenze, deve provvedersi.

Il buon risultato della Scala non deriva dunque dalla originalità creativa del progettista, ma dalla sua capacità di mediare, copiando "con garbo e a tempo" gli elementi qualificanti esperiti qua e là, in diverse occasioni. Non mancarono i dissensi, particolarmente vistoso quello di Stendhal, sommessi quanto significativi quelli di due dei più importanti scenografi-trattatisti ottocenteschi. Antonio Taccani: " Il solo miglioramento che potrebbe praticarsi e di cui ha bisogno il teatro moderno, è la forma del proscenio" e Paolo Landriani: "A sipario calato tutto è perfetto".

Abbiamo visto come il problema della separazione, allora in pieno corso, fra lo spazio del pubblico e quello dell'illusione, fosse alla radice della nascita stessa della sala "all'italiana". E' nella loro delicata zona di unione che avverranno le modifiche più significative, di cui trattiamo a parte (vedi cap. '900).

La Scala viene aperta il 3 agosto 1778 per l'opera "Europa riconosciuta" musica di Antonio Salieri, libretto di Domenico Sarro. L' organismo inizialmente ben concepito continua ad evolversi, in un contesto urbano caratterizzato da un notevole attivismo preindustriale, la cui evoluzione consentirà alla Scala di assumere gradualmente un ruolo-guida nei confronti degli altri teatri italiani, in parallelo con lo sviluppo della stampa periodica, che prepara l'affermazione, negli ultimi decenni del secolo, della grande editoria musicale. In epoca napoleonica (1799) il palco "imperiale e regio" venne temporaneamente diviso in sei palchetti per "persone liberate". Nel 1807 sono affidati al Perego, al Vaccani e al Monticelli alcuni interventi decorativi. Nel 1814 il palcoscenico venne allargato con l'occupazione di una parte dell'area del demolito monastero di S. Giuseppe. Nel 1821 si mise in opera un gran lampadario a olio, "incomodo alla II fila e molestissimo alle IV e V", sostituito nel '24 da uno nuovo disegnato da Sanquirico. Nel '30 questi rifece completamente nel suo tipico gusto romantico la decorazione della sala. La piazza antistante fu realizzata solo nel 1857. Nel 1860 venne introdotta l'illuminazione a gas, alla quale sarà sostituita quella elettrica nel 1883. La volta della sala fu ridipinta ancora due volte (1865 e 1879).

Può sembrare paradossale che per conseguire l'obbiettivo finale dell'originalità assoluta, teatri e teatranti si imitino continuamente l'un l'altro. Pure, l'esercizio di questa facoltà mimetica è il vero specialismo del lavoro di teatro, e gli esperti si fanno sospettosi quando ascoltano qualcuno che si vanta di non imitare nessuno. Il teatro Alla Scala assume verso la fine dell'Ottocento il significato simbolico con il quale è oggi noto nel mondo, in conseguenza fra l'altro della predilezione riservatagli dalla editrice milanese Ricordi. Esso sarà tanto imitato da prendere valore di paradigma anche nella sintassi dell'architettura teatrale.

La trasformazione della fossa d'orchestra avviene fra il 1906 e il 1921, contemporaneamente alla riforma del loggione, trasformato nel 1909 nella attuale seconda galleria. La prima galleria venne ultimata nel 1924. Nel 1937 vengono effettuati i più importanti lavori di modernizzazione delle attrezzature tecniche, come l'eliminazione della vecchia soffitta in legno, l'introduzione dei tiri contrappesati e, in palcoscenico, quella di un complesso sistema meccanico di piattaforme mobili, presto imitato dalla Fenice e dall'Opera di Roma. Nel 1943 il teatro venne distrutto da un bombardamento. La ricostruzione fu un rosario di fedeltà ad alcuni aspetti dell' edificio preesistente, nel tentativo di recuperarne la celebre acustica: si rifecero perfino i chiodi "all'antica", si adoperò il legno per ricostruire i palchi e la volta, sulla quale venne rieseguito il dipinto del 1879. "Come prima, meglio di prima". Con queste parole Arturo Toscanini volle inaugurare, nel 1946, la sala di oggi. Nel dopoguerra il teatro fu oggetto di discutibili interventi, i più importanti dei quali furono la realizzazione della "piccola Scala", una sala di dimensioni ridotte per rappresentazioni di opere tratte dal repertorio settecentesco, ottenuta sottraendo spazi di sfogo del palcoscenico e successivamente chiusa per restituirglieli; la realizzazione di un nuovo foyer per la platea, in sostituzione del vecchio, le cui pareti, di impianto ancora piermariniano, recavano due affreschi di Sanquirico, ritenuto insufficiente "alle esigenze di una grande metropoli" e quella di un ridotto per il pubblico delle gallerie, in uno stile che voleva imitare, "migliorandolo", il "nuovo impero" con cui Sanquirico aveva ripassato la sala del Piermarini, ma che rimpiazza il misurato carattere sette-ottocentesco del teatro con una enfasi decorativa tipica delle architetture ufficiali del Novecento. Il soffitto della sala venne completamente ridecorato prendendo a modello quello, di autore ignoto, del 1879. Nello stesso restauro, del 1957, lo spazio dei vecchi laboratori di scenografia, trasferiti alla Bovisa,viene occupato da ambienti sempre "in stile", ma riservati al pubblico popolare. Altre significative modifiche di quegli anni sono il potenziamento, a più riprese, degli impianti elettrici e la creazione della prima e della seconda galleria, in luogo del quinto ordine di palchi e del loggione.

Evento per noi particolarmente significativo fu la creazione dell'ente autonomo, nel 1921, dopo la grave crisi postbellica. Su questo modello vennero creati negli anni seguenti gli attuali Enti lirici, le cui sedi sono qui descritte. Ancora la Scala detterà legge -letteralmente- riguardo ad un altro problema capitale dei teatri italiani: la riforma dell'assetto proprietario degli edifici, con la promulgazione, nel 1928, di una legge destinata a favorire il passaggio di proprietà dei teatri ai comuni. Tale legge prevede la possibilità dell'esproprio, in alternativa al diritto di vendere il palco per gli spettacoli. Alla Scala i palchi privati vennero espropriati "per causa di pubblica utilità".


da Francesco Sforza, Grandi Teatri Italiani, Editalia, Roma, 1993