Contro il potere della stupidità
Kali

La forza della gentilezza

Giancarlo Livraghi – giugno 2011

 
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(migliore come testo stampabile)


Il tema di questi ragionamenti non è la politica
(o almeno non nel senso “stretto” della parola).
Anche se un recente episodio, l’elezione di Giuliano Pisapia
a sindaco di Milano, offre un’occasione per pensarci.
Si è definito “la forza gentile”. Con ovvia ispirazione da
“la force tranquille” di François Mitterrand – trent’anni fa, nel 1981.
Ma con una interessante differenza. C’è in “gentile” un significato
umano, profondo, civile, che prima ancora di ispirare una politica
(nei fatti, dobbiamo sperare, non solo nelle parole)
definisce una cultura, uno stile, un modo di essere, di sentire e di fare.
A questo vale la pena di pensare – in una prospettiva più ampia.

 



La rivoluzione culturale, che segnò la fine del medioevo e l’inizio del Rinascimento, nella poesia italiana prese il nome di “dolce stil novo”. E cambiò il significato della parola “gentile”. Che deriva dal latino gens, cioè stirpe – e voleva dire nobiltà ereditaria. (È analogo il cambiamento nel significato di “cortese”, da cortigianeria a buone maniere). Vedi Confucio, Guinizelli, Erasmo.

È venuto il momento di ritrovare quella forza – e di capire che “gentile” non vuol dire “debole”. Spesso è vero il contrario.

Da parecchi anni stiamo vivendo in un periodo di crescente volgarità, villania e superficialità. Non tanto nel comportamento delle persone, nella vita di tutti i giorni, quanto nell’arroganza del potere e nella avvilente decadenza dei sistemi di cosiddetta informazione. Cambiare non è difficile. Ma ci vuole ostinazione per “spezzare le catene” delle cattive abitudini.

Ci sono problemi gravi e tendono ad aggravarsi. L’indignazione e la rabbia sono comprensibili, forse necessarie. Ma la soluzione non è l’urlo, né la violenza. Come dice André Glucksmann: «forse la malvagità violenta può essere decapitata, ma la stupidità ha troppe teste».

Nella generale scarsità di studi attenti e ragionevoli della stupidità umana, sono abbastanza noti due atteggiamenti, che possono essere intenzionali o inconsapevoli, ma in ogni caso sono ugualmente pericolosi.

Uno sta nella maligna tentazione di assecondarla per poterla sfruttare. La conseguenza è un circolo vizioso in cui i privilegiati diventano ancora più stupidi delle loro vittime.

L’altro sta nel credere che la stupidità sia inevitabilmente crescente – e che solo un’oligarchia di “pochi eletti” possa evitare la catastrofe, tenendo il resto dell’umanità sotto controllo con l’intontimento. Nasce così un meccanismo perverso che inevitabilmente intontisce anche i presuntuosi.

Il fatto è che, così come nessuno può illudersi di essere completamente intelligente, è raro che qualcuno sia completamente stupido. E qui entra in gioco il potere della gentilezza. Che non è solo formale cortesia. È soprattutto reciproco rispetto, ascolto, comprensione, partecipazione.

Non si tratta di galateo. Formalità e cerimoniali hanno un loro ruolo, che può essere utile e rispettabile. Ma quando degenerano in stucchevoli salamelecchi o ridicolo bon ton diventano squallide ipocrisie, che spesso nascondono atteggiamenti e intenzioni tutt’altro che amichevoli.

Non si può essere sempre gentili. La sincerità e la correttezza possono imporre, quando è necessario, toni e comportamenti duri e rigorosi. Ma si può essere sinceri e chiari senza cadere nell’arroganza o nella villania.

C’è una constatazione nei fatti che spero non sia illusoria. Cerco sempre di essere attento nell’evitare di essere “ottimista” senza motivo. Ma spero, questa volta, di non sbagliare. Mi sembra che ci sia una reazione spontanea agli eccessi di villania, volgarità e intontimento.

Per fortuna è spesso vero che le persone, nella nostra esperienza quotidiana, possono essere meglio di come le fanno sembrare la becera cultura dominante e la squallida industria del pettegolezzo. Ma è ancora più interessante constatare che, quando cresce il fracasso della volgarità, della villania e dell'arroganza, aumenta spontaneamente la gentilezza nei rapporti, abituali o casuali, della nostra vita personale.

Che sia un tono di voce, un sorriso, un gesto, un atteggiamento, un silenzio o un cenno di comprensione – un tratto di sincera, umana gentilezza può essere più forte di mille polemiche. È importante saper ascoltare. Capire la situazione e l’argomento anche dal punto di vista degli altri.

Sono molti i fatti e i comportamenti, pubblici e privati, che provocano fastidio, irritazione, sofferenza, delusione, antipatia. Non si tratta di adattarsi, subire o rassegnarsi – così coltivando un rancore che, troppo spesso, si sfoga su chi non c’entra o è solo marginalmente coinvolto nelle cause del problema.

Non si tratta di perdonare l’imperdonabile, tollerare l’intollerabile, subire l’inaccettabile o piegarsi alla volontà altrui con falsa acquiescenza. Né di rinunciare al diritto di avere le nostre opinioni, anche quando sono diverse dalle convenzioni più diffuse. Ma si può gestire anche la più drastica differenza di pensiero e di atteggiamento senza offendere o denigrare.

Non si tratta neppure di diplomazia. Una risorsa, nel suo genere, importante, quando riesce a evitare, prevenire o risolvere conflitti. Ma è spesso, per necessità, insincera. In molte situazioni si tratta di “salvare le apparenze”, coprire con un velo di dignità intese o contrasti la cui reale natura è meno onesta di ciò che sembra. Può accadere che la “forza gentile” coincida con la formalità diplomatica, ma per sua natura è un’altra cosa.

Non ci può essere progresso o evoluzione culturale senza dissenso. Ma la storia ci insegna che si arriva al risultato con più efficacia, e meno disastri, quando le differenze non diventano conflitti e prevale una ricerca condivisa, una sincera volontà di capire. Ci vuole generosità culturale per scoprire dove, anche in ciò che a prima vista sembra sbagliato, ci sono le risorse di un autentico progresso.

Se questo è vero nei grandi orizzonti della scienza, della filosofia, della conoscenza, lo è anche nelle piccole vicende di famiglia o di vicinato. In cui troppo spesso si accumulano rancori, incomprensioni, conflitti che trasformano un trascurabile episodio, o un problema che il buon senso potrebbe risolvere, in un incrocio di ostilità o in un’inesauribile faida – che non ha vinti né vincitori, ma provoca un profondo malessere.

Sarebbe un’illusione credere nell’onnipotenza della “forza gentile”. Ma è comunque una buona idea fare tutto il possibile, in ogni occasione, per incoraggiarla. C’è una reale, tangibile forza nella gentilezza. Più riusciamo a farla crescere, più civile (o almeno meno barbaro) diventa il mondo in cui viviamo.



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