Non guardo molto la televisione. Ma una sera, girovagando
un po col telecomando, mi sono trovato in quella
trasmissione su RaiTre che parla dei tanti modi in cui si
imbroglia la gente. Un tale, che vende cassette di sesso
esplicito, aveva raccontato in giro che le protagoniste di
un suo film erano casalinghe di una certa
località. E le signore del luogo, del tutto estranee
alla vicenda, si erano comprensibilmente irritate. Il tizio,
preso in castagna, tentava di giustificare la sua menzogna
dicendo che quello è marketing.
Non è un episodio isolato. Ormai marketing, in
un lessico disgraziatamente diffuso, è diventata una
parola oscena. La scusa e il pretesto per ogni sorta di
truffe, inganni, falsificazioni e mitologie. Il trionfo
dellimitazione, dellapprossimazione,
di un insulso e ripetitivo manierismo.
Secondo la dottrina dominante, la qualità è
un accessorio e linformazione è un ingombro
fastidioso. Ciò che conta è fare
immagine, cercare notorietà purchessia,
raccontare favolette senza capo né coda, tanto si
trova sempre qualche scemo che ci casca. (Vedi
Il circolo vizioso
della stupidità).
* * *
Che ci sia spazio per gli imbroglioni e i venditori di
patacche... purtroppo è sempre stato vero.
Forse oggi sarebbe un po meno facile se i grandi mezzi
di informazione non avessero dato così tanto credito, per
così tanti anni, a indovini, astrologi, veggenti, fattucchiere e
bidonisti di ogni specie e se non si fosse sparsa la
convinzione che essere non importa, conta solo apparire.
Ma non cè mai stata una cultura umana
in cui non ci fosse spazio per limbroglio e per
linganno. E anche se crediamo di essere diventati
più attenti, e meglio informati, purtroppo i fatti
dimostrano che siamo meno evoluti di quanto potevamo sperare.
Il fasullo cè sempre stato. Il problema di oggi
è che lo si è elevato a sistema. Lo si predica
nei seminari, lo si insegna nelle università, lo si
venera come profeta del benessere, della fama, della
ricchezza. Cosa che conviene a chi, nelle pieghe di
quellandazzo, si mette in tasca un bel po di soldi. Ma per
il sistema delle imprese è un suicidio collettivo.
Il marketing, quello vero, non è larte di
imbrogliare il prossimo. Né di sedurre con
qualche piacevole apparenza cui non corrisponde alcun contenuto.
É un mestiere molto più serio e
impegnativo. Capire che cosa davvero le persone vogliono. O,
ancora meglio, sorprenderle indovinando ciò che in
realtà desiderano, ma non avevano ancora capito di
volere. O proponendo qualcosa che è davvero utile e
concretamente meglio di ciò che cera prima.
Marketing vuol dure far lavorare ricerca e sviluppo insieme
a unanalisi attenta delle esigenze reali delle persone,
delle famiglie, delle imprese. Cioè del mercato
che non è una nozione astratta, uno schema automaticamente
applicabile o una serie più o meno arbitraria di proiezioni
numeriche, ma una realtà concreta di fatti, situazioni e valori umani.
* * *
Ci sono altri termini che hanno assunto un significato
bizzarro. Pensiamo, per esempio, a valore
aggiunto. Valore per chi? Se unimpresa è in
grado di aggiungere valore a ciò che vende, dal punto
di vista di chi compra, può legittimamente aspettarsi
di essere ricompensata. Cioè di vendere a un prezzo un
po più alto perché accompagna il prodotto con
un servizio in più, apprezzabile e rilevante per chi lo acquista.
Ma andiamo a vedere come viene inteso qual
concetto, per esempio, nella telefonia. Ogni sorta di
marchingegni per indurre le persone a chiamare linee molto
costose. Laggiunta di valore è per chi vende, a
scapito di chi ci casca. E qualcosa di simile accade anche
per altri generi di prodotti o di servizi. Cose così
non si chiamano marketing, si chiamano truffe.
Nel mondo delle tecnologie abbiamo superato la soglia del
ridicolo per cadere nellabominevole. Le funzioni
aggiunte e gli aggiornamenti non sono
soltanto inutili e fastidiosi. Sono la causa di infinite
disfunzioni, con conseguenze spesso irritanti, talvolta
catastrofiche. (Vedi La
stupidità delle tecnologie).
Non basta più
fare un passo indietro. Occorre risalire
alle origini e ripensare con una prospettiva radicalmente diversa,
dove semplicità, funzionalità ed ergonomia
prendano finalmente il sopravvento
Andiamo a vedere quante bufale si sono messe in giro con
la leggenda del cosiddetto one to one. Cè
perfino una banca, andata meritatamente a remengo, che tutti
chiamavano centoventuno perché nessuno
ha mai capito che cosa volesse dire, pronunciata allinglese,
la sigla numerica 121.
Certo, una relazione umana e diretta, da una persona
a unaltra, è la più forte che possa
esistere. Ma è illusorio che si possa meccanizzare
che i valori reali di un rapporto umano possano
essere sostituiti da un automatismo.
* * *
Il concetto risale alle origini del commercio. Gli
antichi mercanti greci o fenici sapevano che vendere una
volta non basta, bisogna guadagnarsi la fiducia dei clienti,
costruire relazioni durevoli. E così è stato
per secoli e millenni.
Il marketing, come disciplina moderna, è nato nel
ventesimo secolo. In Italia se nè cominciato a
parlare dopo la seconda guerra mondiale, quando eravamo
usciti dallautarchia e si cominciava a diffondere un certo
benessere economico. Cerano più persone in grado di
comprare qualcosa di utile, attraente o interessante.
Perciò diventava importante capire come andare
incontro alle loro esigenze e ai loro desideri.
È passato mezzo secolo. Sembra che ciò che
avevamo imparato allora sia stato dimenticato. Il marketing
si è dato un gran daffare per suicidarsi. E sembra che
ci sia riuscito. Quando sono in agonia la fiducia e la
credibilità, la morte del marketing è
imminente.
* * *
Qualcuno, anche cinquantanni fa, lo chiamava
marchètting. Benché le pubbliche
istituzioni da cui nasceva quel termine siano chiuse da 46 anni,
il significato è ancora chiaro. Ma se allora era una
battuta ironica, o una critica delle varianti meno attendibili,
oggi sembra che sia diventata la prassi ufficiale.
Dobbiamo quindi prendere atto dellavvenuto suicidio e
limitarci a un sommesso funerale? Non credo. Perché
sono convinto che il marketing, nel giusto significato della
parola, sia immortale. È difficile immaginare una
società umana in cui non ci sia qualcuno che ha
qualcosa da vendere e qualcun altro che vuole comprare e
perciò ci voglia un modo per aiutarli a incontrarsi, a
conoscersi, e se possibile a stabilire un rapporto di
reciproca fiducia.
Naturalmente cè un modo per abolire il marketing.
Si chiama monopolio o cartello. Se fra fusioni, acquisizioni,
concentrazioni eccetera si arriva al punto in cui un certo
bene (prodotto o servizio) è offerto solo da uno, o da
pochi coalizzati, il compratore non ha scelta. Non cè
marketing perché non cè mercato.
* * *
Ma se, come è sperabile, resterà ancora
qualche spazio di concorrenza e di libertà di
scelta... allora è inevitabile che il marketing, per
quanto malmenato e dimenticato, risorga dalle sue ceneri. Si
tratterà solo di capire se potremo ancora chiamarlo
marketing o se la parola sarà talmente sputtanata
che dovremo inventare un nome nuovo.
Intanto cè unoccasione immediata, e premiante,
per fare marketing quello vero. In un clima diffuso di
delusione e sfiducia aumenta lo spazio per chi ha la voglia e
la capacità di andare controcorrente. Loccasione
è seria, precisa e concreta. Proprio perché la
soluzioni solide e credibili sono meno diffuse, offrire
qualità, trasparenza, autentico servizio è,
oggi più che mai, una scelta vincente.
Nellinternet la cosa è diversa? Niente
affatto. Amazon, la piccola libreria diventata grande, il
più classico successo del commercio
elettronico, è stata data per morta mille volte
dai profeti delle avventure speculative. Ma conserva la forza
che ha conquistato, quasi dieci anni fa, con una chiara
strategia di servizio. (Vedi
unintervista
a Jeff Bezos del gennaio 2000). Qualcuno comincia ad avere
dubbi su Google: drogato dal successo e dal denaro cambierà
strada e identità? Vedremo. Ma intanto sappiamo che si
è affermato con servizio e trasparenza, mentre i motori
di ricerca allora dominanti si sono suicidati per eccesso di
avidità. Vedi La
legge di Google.
Cè un problema: il tempo. Per sviluppare
prodotti e servizi di reale utilità, costruire e coltivare
rapporti di fiducia e credibilità, ci vuole impegno,
pazienza, costanza, attenzione. In un clima di fretta
esasperata sembra che sia molto difficile. Ma se si hanno
le idee chiare i risultati possono arrivare senza farsi
aspettare troppo. E comunque sarà meglio trovare
quel tempo e quella pazienza, prima di essere divorati da
unorda famelica di gattini ciechi.
Vedi La
fretta non è velocità. E inoltre
quattro anni fa (gennaio 2000) il titolo in questa rubrica era
La gatta frettolosa fa i gattini
ricchi?. La risposta è nei fatti.