gassa

I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
InterLex
maggio 2005


Un po’ di storia
di dieci anni
e un’ipotesi per
il prossimo futuro


Non mi sembra il caso di indulgere in nostalgie e rimembranze. Ma può essere interessante confrontarci con “come eravamo” – e chiederci che cosa sia cambiato, e che cosa no, dal 1995 a oggi. Dieci anni sono tanti nella vita di una persona, pochissimi nella storia dell’umanità e nell’evoluzione della cultura. Già l’anno scorso avevo cercato di ragionare un po’ sui “decennali del 2004”. Ma accetto volentieri l’invito di InterLex a tornare sull’argomento.

Cominciamo con qualche dato. I numeri non “dicono tutto”, non devono mai dare “illusioni di certezza”, ma possono portare a deduzioni interessanti se cerchiamo di interpretarli con un buon equilibrio di scetticismo e di analisi qualitativa (come sto cercando di fare da dieci anni – vedi la sezione dati del sito gandalf.it).

Nel 1995 c’erano quattordici milioni di host internet nel mondo. Due milioni in Europa, circa ottantamila in Italia. Numeri piccoli, rispetto alla realtà di oggi. Ma sembravano enormi rispetto a ciò che si poteva immaginare qualche anno prima.

Cominciavano a circolare ipotesi bizzarre sulla crescita della rete. Fonti “autorevoli” davano per certa una crescita “esponenziale” che non c’è mai stata (se i loro calcoli fossero stati giusti il numero di persone collegate all’internet avrebbe superato l’intera popolazione del pianeta all’inizio del 1998). Quando, alcuni anni più tardi, si cominciò a constatare che la crescita non andava in quel modo, e soprattutto quando si cominciò a capire di quante falsità fosse gonfia la bolla speculativa, l’opinione dominante cadde nell’errore opposto: se non una “morte annunciata”, una grossolana sottovalutazione dei valori reali della rete.

Il fatto è che la crescita dell’internet, senza mai essere “esponenziale”, è continuata. Con percentuali meno “esplosive” di quelle dei primi anni, ma con uno sviluppo decisamente veloce. Alla fine del 2004 siamo arrivati a oltre 300 milioni di host internet nel mondo (con una crescita del 36 % rispetto a un anno prima). Più di 50 milioni in Europa. Che siano 9 milioni in Italia è probabilmente una valutazione eccessiva... ma sulla situazione del nostro paese ritornerò più avanti.

Quanti eravamo? Difficile dirlo. Nel 1995 i calcoli sul numero di persone online erano enormemente sballati. Si parlava, già allora, di un miliardo di “utenti” dell’internet nel mondo, quando non si era arrivati neppure a un ventesimo di quella cifra (dieci anni dopo, sembra che le stime più ottimistiche si stiano avvicinando a 900 milioni – ma una valutazione più credibile è fra 500 e 600).

In Italia, dieci anni fa, erano diffuse ipotesi di due o tre milioni. È più realistico pensare che fossimo trecentomila. Ma era già una notevole crescita rispetto a due anni prima, quando andavamo per BBS ed eravamo poche decine di migliaia.

Qualcosa è cambiato intorno alla metà del periodo. Fino al 2000 l’Italia era la cenerentola della rete. Solo nel 1999 aveva superato di poco la proverbiale Finlandia, che ha un decimo della nostra popolazione. Ma si era messa in moto una nuova tendenza.

Nel marzo 2005 l’Italia ha superato il milione di domain internet (nel 1995 erano 1400 – e l’anno prima 150). Che per numero di host l’Italia abbia superato, da due o tre anni, la Germania e la Gran Bretagna è un dato da prendere un po’ con le molle, cioè con una buona dose di prudenza e di dubbi. Ma è credibile che sia fra i primi quattro paesi in Europa e fra i primi sei o sette nel mondo – cosa inimmaginabile dieci anni fa.

Sul numero di persone online i dati sono sempre discutibili, ma con il passare del tempo, e un po’ di esperienza, le valutazioni sono diventate meno imprecise. Oggi in Italia (secondo le varie possibili definizioni di “utente”) siamo fra i 10 e i 16 milioni. Pochi rispetto a un “potenziale” che è più del doppio. Ma tanti rispetto a dieci, o anche cinque, anni fa. Nel 1995... si erano da poco “aperti al pubblico” gli accessi all’internet – e, come nota Manlio Cammarata, contemporaneamente stavamo scoprendo il sistema web.

Non è il caso di avere “nostalgia” per anonymous FTP, Gopher e Veronica – sono più comodi i browser web e i motori di ricerca. Ma mi sembra importante capire due cose. Una è che la rete esisteva e funzionava molto prima di quanto comunemente si pensi. L’altra è che molte cose erano più pratiche, più efficienti e meno lente quando ci collegavamo a 2400 bps. Non perché avere collegamenti più veloci sia, in sé, un danno. Ma perché accumulare complicazioni e invadenze rendela rete meno vivibile e funzionale – e a questo non si rimedia con la “banda larga” (che in alcune situazioni può essere utile, ma non è una “panacea” – vedi Le malefatte della bandalarga).

Non vorrei ripetere qui ciò che ho detto e scritto tante volte (ed è esaminato in diversi altri articoli in questa sede). Il fatto è che in questi dieci anni si sono moltiplicate le iniziative (che c’erano anche prima) per controllare, concentrare, censurare o dominare la rete. Finora nessuno è riuscito a “domare” l’internet, ma non è il caso di stare tranquilli, perché sappiamo che i tentativi di repressione continuano e continueranno.

C’eramo dieci anni fa, e continuano oggi, i maneggi di chi vorrebbe ridurre la rete a un accessorio dei mass media tradizionali – o a un “sottoscala” asservito a interessi economici, burocratici o di potere. Non vuol dire, naturalmente, che in rete non ci debba essere spazio per attività commerciali, comunicazione d’impresa o servizi della pubblica amministrazione. Ma non tutti hanno ancora capito che queste cose funzionano molto meglio in una rete libera e aperta, con un ampio e autonomo tessuto umano, culturale e civile.

Lo spam, le truffe e altre invadenze erano chiaramente identificate come problema anche prima del 1995. Ma nessuno allora immaginava la paurosa diffusione che hanno oggi (compresi i rimedi che sono peggio del male – come i sistemi di “allarme” antispam e antivirus che si trasformano in fonti di nuovo spam e di ulteriore, fastidiosa confusione). Questi guasti non provocano la “morte della rete”, come pensano alcuni allarmisti, ma sono malanni fastidiosi per cui sarebbe opportuno avere terapie più efficaci.

Continuano anche i tentativi di censura e le invadenze, con i più svariati pretesti (per esempio è interessante notare che il terrorismo era una giustificazione addotta per ogni sorta di abusi anche dieci anni fa, molto prima dei drammatici sviluppi più recenti).

È stato un po’ ingenuo chi, come me, dieci o dodici anni fa sperava in un profondo cambiamento culturale (di cui la rete poteva essere lo strumento, anche se ovviamente non l’origine). Non stiamo assistendo a quella grande esplosione di libertà e cultura che Jean-Jacques Servan-Schreiber immaginava nel 1980: «Nell’era post-industriale la finitezza di sempre, che ci opprimeva e ci imponeva la sua legge, si infrange. A portata degli uomini si trova finalmente la risorsa infinita, l’unica: l’informazione, la conoscenza, l’intelligenza». Questo non è un sogno impossibile. È una concreta possibilità. Ma le tecnologie non bastano – e le evoluzioni culturali hanno bisogno di periodi lunghi, con percorsi spesso tortuosi e turbolenti.

La rete non basta per aprirci la mente e allargare gli orizzonti della conoscenza. Ma è uno strumento molto utile per chi sa come usarlo. Non può risolvere tutti i problemi, ma per fortuna continua a crescere e a offrire sempre più ampie possibilità di ricerca, di scoperta e di dialogo.

Su questo argomento ritornerò alla fine. Ma a questo punto vorrei fare un passo indietro, non per rievocare le origini, ma per capire come si evolvono le risorse. Quando, a metà del Quattrocento, sono nate le tecnologie che hanno rivoluzionato la stampa, ci fu un incontro straordinario fra la disponibilità di risorse tecniche e la crescita di un’esigenza culturale. Seguito da uno sviluppo molto veloce. (Vedi le pagine dedicate alla stampa e ai libri in Storia dei sistemi di informazione e di comunicazione).

La stessa cosa è accaduta con la rete (vedi la cronologia in appendice a L’umanità dell’internet). Possiamo anche non badare al fatto che il concetto di calcolo binario come base per macchine di elaborazione era stato definito all’inizio del Settecento, o che calcolatrici di interessante complessità esistevano all’epoca ellenistica (vedi Il computer di Archimede). Ma non è il caso di dimenticare che già nel diciannovesimo secolo si erano evolute idee ed esperimenti da cui deriva in modo “quasi inevitabile” il percorso delle tecnologie di informazione e comunicazione. E alcuni progetti specifici erano stati definiti nella prima metà del ventesimo secolo.

Senza togliere alcun merito all’InterNetworking Group degli anni ’70, o a Tim Berners-Lee vent’anni dopo per il sistema web, un’analisi attenta del percorso storico dimostra che l’idea dell’internet era “nell’aria” – e presto o tardi qualcuno l’avrebbe realizzata. Come dimostra il fatto che c’erano studi (anche in Europa) su soluzioni analoghe prima che si definisse il protocollo TCP/IP – e progetti come Memex (1945) e Xanadu (1965) indicavano un percorso molto simile a quello che poi si è concretizzato come “web”.

Il fatto è che per molti decenni quasi nessuno aveva capito il potenziale dell’informatica e delle nuove tecnologie di comunicazione (così come nessuno, all’inizio, aveva capito il potenziale di sviluppo della radio o della televisione).

Non credo nelle profezie e non mi azzardo a cercare di indovinare che cosa succederà domani. L’unica cosa certa è che, presto o tardi, succederà qualcosa che non stiamo immaginando. Ma può essere interessante cercare di cogliere tendenze poco visibili: quelle di cui l’informazione dominante non si accorge, ma stanno silenziosamente guadagnando terreno.

Devo confessare che non ho ancora avuto il tempo di approfondire l’argomento – e che quanto ho letto finora mi lascia deluso, perché (secondo me) non approfondisce abbastanza i valori più importanti. Ma c’è chi pensa e dice che l’era dell’informazione sta già tramontando, per essere superata dall’era della conoscenza. Naturalmente questo non vuol dire che spariranno, o perderanno valore, i sistemi di informazione e comunicazione (così come l’industria non ha abolito l’agricoltura e la cosiddetta era dell’informazione non ha tolto importanza all’industria).

Detta così, sembra solo una “frase a effetto”. Ma sono in gioco valori importanti. Si tratta di capire che l’informazione è il supporto, che i progressi tecnologici sono importanti, ma non possono sostituire i valori umani, la fantasia, l’immaginazione, il gusto estetico. Un buon esempio è l’architettura. Senza una seria ingegneria delle costruzioni un edificio non sta in piedi – o non è efficiente come “macchina per abitare”, come la chiamava Le Corbusier. Ma è indiscutibile che l’architettura è anche un’arte e che i valori estetici sono importanti.

Questo è vero in tutte le cose – e specialmente nei sistemi di informazione e di comunicazione. Quando, quanto e come questa nuova tendenza prenderà il sopravvento? Non lo so – e mi sembra che sia imprudente azzardare qualsiasi previsione.

Comunque vada... credo che molte cose, compresa la “qualità della vita”, possano migliorare notevolmente se si affermeranno i valori di una “era della conoscenza” che ha un potenziale nuovo, ma radici antiche (non è improprio dire che si tratterebbe di un nuovo Rinascimento).

Indovinate dove si sta affermando più chiaramente questa tendenza? Negli Stati Uniti d’America (dove, nonostante i vistosi sintomi di regresso e oscurantismo, c’è parecchia gente che non rinuncia a pensare). Non è sorprendente. Proprio perché gli americani sono più avanti nelle tecnologie, si accorgono prima di noi della necessità di un superamento.

Sarebbe interessante se l’Europa, questa volta, non perdesse l’autobus. Invece di “inseguire” l’America sul percorso vecchio, sarebbe molto più utile trovare una scorciatoia per superarla in una nuova direzione. In particolare... l’Italia ha dimostrato varie volte, nella sua storia, di saper fare cose di questo genere. Siamo irrimediabilmente decaduti o possiamo risvegliarci? Non si tratta di clonare Leonardo da Vinci o Aldo Manuzio. Ma di far rinascere quel fervore culturale (e profondamente “interdisciplinare”) in cui quelli come loro hanno la possibilità di esprimersi.

È un’ipotesi azzardata? Spero di no. E renderla concretamente possibile potrebbe essere meno difficile di come sembra.




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