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Cenni di storia dei sistemi
di informazione e comunicazione



La stampa

Un fatto forse un po’ dimenticato è che l’Italia ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della comunicazione stampata. Sono passati più di cinquecento anni da una delle rivoluzioni (o evoluzioni) fondamentali nella storia della comunicazione.

Metodi di stampa esistevano da secoli – ed erano usati, talvolta, anche per riprodurre testi scritti. Si stampava in “xilografia”, usando incisioni in legno, ma anche con caratteri mobili. Non solo in Cina, ma anche in Europa. Ma un cambiamento radicale era inevitabile – perché lo richiedeva la cultura rinascimentale e lo consentivano le risorse tecniche disponibili.

Fu Johann Gutenberg, nel 1450, a trovare la “convergenza” di diverse tecnologie che si erano sviluppate nella prima fase dell’era industriale, cioè nel quattordicesimo secolo. La metallurgia, che si era evoluta non solo per usi militari, fornì le basi per la fusione dei caratteri. Le tecnologie del torchio, nate dai mulini, offrirono le risorse per la stampa. L’evoluzione della chimica aveva portato a nuovi tipi di inchiostro. E la produzione della carta aveva avuto, specialmente a Fabriano, una notevole evoluzione, sia per “meccanizzazione” dei sistemi produttivi, sia per “costanza di qualità” del prodotto.

Un’intelligente combinazione di risorse diverse consentì a Gutenberg di consegnarci uno strumento che ha contribuito in modo molto rilevante all’evoluzione della cultura e della società umana.
(Vedi Le due facce della convergenza).

 
Gutenberg era un orafo e si intendeva di metallurgia. Uno dei suoi soci era proprietario di un mulino.

Lo sviluppo di nuove tecniche di stampa, in quel periodo, era “inevitabile” – per i motivi culturali che vedremo più avanti.  Se non lo avesse fatto Gutenberg, ci sarebbe riuscito uno degli altri gruppi di persone che stavano lavorando su progetti analoghi.
 

Ma il passo determinante, cioè la nascita dell’editoria, avvenne quarant’anni dopo – con importanti contributi dall’Italia. In particolare a Venezia, per opera di Aldo Manuzio. Che era un umanista, non uno stampatore (si serviva della tipografia di Andrea Torresani da Asola). Non solo inventò un nuovo carattere, l’aldino, progenitore di tutti quelli moderni – e uno stile di impaginazione da cui ancora oggi possiamo imparare. Fu anche fra i primi a numerare le pagine per facilitare la lettura e la consultazione. A migliorare la leggibilità dei testi, con un uso più efficiente degli spazi e della punteggiatura. E a sviluppare concetti fondamentali per la cultura editoriale, come la “redazione” dei libri e le “edizioni critiche” dei testi classici.

 
Il motto festina lente (affrettati adagio) che Aldo Manuzio adottò nel marchio della sua impresa ha origini nell’antichità classica. Ma non è un caso che quell’apparente paradosso accompagnasse lo sviluppo di una grande innovazione. È oggi, più che mai, di attualità.
Vedi La fretta non è velocità.

Ancora oggi i caratteri corsivi, in inglese, si chiamano italic a causa del contributo dell’aldino alla storia dell’editoria.
 

Le tecniche di stampa si sono evolute nel tempo, ma mantengono sostanzialmente la loro impostazione originaria. Il torchio durò quasi senza cambiamenti fino agli inizi del diciannovesimo secolo, quando fu gradualmente sostituito da macchine tipografiche più veloci (la prima con un motore a vapore fu costruita a Londra nel 1810). L’idea di utilizzare un cilindro rotante era stata concepita all’inizio del secolo, ma la prima macchina di quel genere fu installata nel 1846, il “flano” fu inventato nel 1848 e le rotative cominciarono a svilupparsi fra il 1861 e il 1867.

Per quattro secoli la composizione dei caratteri era rimasta tutta manuale. Vari metodi di composizione meccanica furono sperimentati fra il 1820 e il 1896, ma l’evoluzione risolutiva venne con l’invenzione della linotype nel 1886 e della monotype nel 1890 (solo dopo la metà del ventesimo secolo sostituite dalla fotocomposizione e poi dall’elettronica).

L’editoria si è molto evoluta e arricchita, ma è rimasta sostanzialmente quella che aveva impostato Aldo Manuzio (alcune forme un po’ scadenti di editoria di oggi potrebbero migliorare se si riscoprisse ciò che Aldo ci aveva insegnato cinquecento anni fa).

“In principio era il libro”. Ma la stampa periodica era già sviluppata nel Seicento – e nel Settecento esistevano i quotidiani. Ciò che mancava era una diffusa “alfabetizzazione”. La lettura era un privilegio di pochi. Solo nella seconda metà del ventesimo secolo si è arrivati a una situazione in cui “tutti” (o quasi) in Italia sanno leggere e scrivere.

Ma quanti leggono?  E che cosa?  Quanto c’è di vero nella diffusa opinione che “gli italiani non leggono”?  Molti studi (fra cui le ricerche del Censis) hanno dato risposte significative a questa domanda. Ma, prima di approfondire alcuni dati specifici su questo argomento, vediamo qual è l’evoluzione nel tempo – che segnala, nell’epoca in cui viviamo, una preoccupante mancanza di cambiamento.




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