Accessibilità, libertà, informazione
 

di Pasquale Popolizio su Il Denaro

22 gennaio 2005


 
Come nel caso di altre interviste
alcune osservazioni sono già note
ai lettori abituali di questo sito.
Ma poiché si pongono queste domande
mi sembra che sia ragionevole
pubblicare anche qui le risposte.
 



Intervista a Giancarlo Livraghi, studioso, filosofo, giornalista, scrittore, comunicatore, inventore del sito Gandalf, un modello di accessibiltà e informazione libera in rete.


Domanda.   Quando e come è nato Gandalf?

Risposta.   Sono in rete dal 1992. Negli anni seguenti varie cose mie erano state pubblicate online (oltre che, come accadeva da molto più tempo, in libri e riviste). Più tardi, nel 1997, nacque il sito gandalf.it – che, da allora, continua a crescere. Naturalmente ci sono anche contenuti degli anni precedenti, che erano nati in modo diverso e poi sono stati riprodotti nel sito. Ha un nucleo di frequentatori che lo seguono da anni, ma è divertente constatare come persone nuove lo trovino per una varietà di percorsi insoliti e imprevedibili – un’ennesima conferma del fatto che “le vie della rete sono infinite”.


D.   Gli obiettivi di Gandalf?

R.   Essere utile ai lettori. Offrire a chi li vuole strumenti per pensare, per capire, per comunicare. All’inizio concentrava l’attenzione sulle potenzialità della rete (allora poco diffusa e conosciuta) senza mai rinunciare a una prospettiva più ampia. Ora è orientato verso i temi che riguardano la comunicazione e la cultura umana, anche indipendentemente dall’internet.

Il sito non ha alcuna finalità o contenuto “commerciale”. È libero da ogni condizionamento politico o ideologico e da interessi di qualsiasi specie. Non per questo è un’eccezione. Le risorse libere e indipendenti non sono sempre le più visibili, ma sono meno rare di quanto immagini chi crede che in rete possano sopravvivere solo le attività “con fine di lucro”.


D.   Web e accessibilità: è un matrimonio possibile?

R.   L’internet, per sua natura, è accessibile. Era così nei modelli concettuali che erano stati definiti molti anni prima – ed è così nel sistema web, che da un po’ più di dieci anni si appoggia sulla struttura preesistente dell’internet.

Gli strumenti di base sono concepiti per offrire la massima accessibilità. Gli ostacoli nascono dalle molteplici sovrapposizioni di balorde tecnologie che si frappongono fra la rete e chi la vuole usare. Specialmente da quelle che complicano inutilmente le cose, cercano di “forzare” i percorsi verso particolari fonti, aggrediscono i lettori con ingombri inutili o fastidiose invasività, eccetera. Liberarsi di quelle incrostazioni non è molto difficile, ma è un po’ troppo diffusa l’abitudine di subirle come se fossero inevitabili.

Un altro problema, ovviamente, è l’enorme disponibilità di materiale online, che può far sembrare difficile la ricerca. Ma ognuno può, se vuole, trovare la propria strada. Il primo capitolo di “L’umanità dell’internet” è intitolato “farsi una rete su misura”. Ci sono tante reti diverse quante sono le persone che si collegano all’internet. Con un po’ di pazienza, fantasia e voglia di scoprire... si può essere continuamente sorpresi dall’abbondanza di cose “accessibili” a chi sa come trovarle.


D.   La rete è libera?

R.   In molte parti del mondo ci sono (oltre a situazioni generali di censura e controllo dei sistemi di informazione) ostacoli a un libero uso dell’internet. Quando e dove non è condizionata da fattori estranei, la rete è intrinsecamente libera. Si moltiplicano dovunque (anche in Italia) i tentativi di condizionarla, centralizzarla, ridurla all’obbedienza. Finora nessuno è riuscito a ingabbiare la libertà dell’internet, ma è bene tenere gli occhi aperti, perché i tentativi continuano e continueranno.


D.   Le appiattite informazioni, filtrate dai media tradizionali, immettendosi nelle reti cablate si spogliano della imposta monotonia per tuffarsi nei colori dell’obiettività raccolti dalle mille voci della rete. Tutto questo è rumore, democrazia o cosa?

R.   In qualunque cosa si “immettano” i media tradizionali mantengono le loro caratteristiche. I fatti dimostrano quanto sia illusoria l’ipotesi che possano cambiare atteggiamento, natura e comportamento solo perché si servono di tecnologie diverse. Il problema non è tecnico, è culturale.

Quelli che Michael Crichton, dodici anni fa, chiamava “mediasauri” tendono all’estinzione perché non solo sono ancorati alle loro vecchie abitudini, ma soffrono anche di una sempre più sclerotica involuzione e degenerazione. Il problema è che, purtroppo, continuano a dominare la situazione, che sta diventando sempre più simile a uno scenario paleontologico. “Jurassic Park” non è un’isoletta tropicale: è lo zoo informativo in cui viviamo. Questa, naturalmente, è un’ennesima conferma del potere della stupidità (e della stupidità del potere).


D.   Un piccolo decalogo per l’utente per non farsi stritolare dalla rete “tecnologica”.

R.   Non è facile... ma proviamo a riassumere...

  1. Non subire le tecnologie. Ridurle all’obbedienza, obbligarle ad adattarsi alle esigenze umane (mai viceversa).

  2. “Farsi una rete su misura”. Scegliere percorsi, metodi e risorse secondo le proprie esigenze e desideri.

  3. Non tentare di “fare tutto subito” e non lasciarsi convincere a fare ciò che non serve.

  4. Procedere un passo per volta, imparare solo ciò che è davvero utile, non sperimentare nuove risorse prima di avere padronanza di quelle già note.

  5. Non “inseguire” le innovazioni. Spesso sono cose che non ci servono – e possono creare molti più problemi di quelli che fingono di risolvere.

  6. Non lasciarsi “indirizzare” o “pilotare”. Saper scegliere. Non seguire le mode, liberarsi dalla monotonia, coltivare la diversità.

  7. Diffidare degli automatismi, delle invasività, di ogni tentativo di deviarci dalle nostre libere scelte.

  8. Non credere mai ciecamente a una fonte, neppure se sembra “autorevole”. Cercare le informazioni che aiutano a farsi una propria opinione.

  9. Avere un’insaziabile curiosità. Possiamo trovare segnali interessanti dove meno ce li aspettiamo.

  10. Pensare con la propria testa. Può essere scomodo, ma è necessario se non vogliamo lasciarci infinocchiare dalle banalità della cultura dominante.





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