timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 90 – 15 agosto 2013


loghino.gif (1071 byte) Ritorno alle origini


Da oggi questa rubrica cambia percorso. Cioè ritorna alla sua identità originaria, come definita dal titolo. Per chi non la conosce dalle origini, un breve riassunto della sua storia. Come tutte le rubriche che si trovano nel mio sito, anche questa non è nata per mia iniziativa, ma perché qualcun altro me l’ha chiesta.

Nel 1996 (non avevo ancora organizzato il sito gandalf.it) un fornitore della società telefonica che allora si chiamavava SIP
(ora Telecom Italia) mi chiese, per volontà del suo committente, una rubrica sull’allora nascente concetto di internet marketing.

Decisi di chiamarla Il mercante in rete, con una evidente intenzione ironica che contibuì al suo successo. Il primo numero uscì nel febbraio 1997.

Ebbe un buon esito. Fu anche molto apprezzata dal committente, ma poi la SIP rinuciò al tentativo di proporsi come “foritore di contenuti”. Il mercante in rete fu “ospitato” nel sito web di una rivista di “web marketing” (dove, dal 1998, c’era la mia rubrica Offline). Fino a quando, nel 2004, anche quella testata scomparve. Da allora le due rubriche (come altre) continuano solo nel mio sito.

Per alcuni anni, dal 1997 ai primi del duemila, fu quasi imbarazzante constatare che Il mercante in rete era più diffusamente noto del sito gandalf.it.

Dal 2007 al 2011 i contenuti del mercante in rete sono stati
ridotti ad aggiornamenti dei dati sulla crescita dell’internet.
“Col senno di poi” mi sono convinto che era una scelta sbagliata. Comunque è durata per troppi anni. Ora riporto la rubrica al suo ruolo d’origine. Senza alcuna periodicità prestabilita. Si tratterà
di vedere se e quando ci sarà qualcosa di interessante da dire.


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loghino.gif (1071 byte) Continua l’invasione delle bufale


Nel febbraio 2013 ho pubblicato un energico articolo intitolato
La travolgente cavalcata delle bufale. (Contiene i link ad altre
cose che ho scritto sull’argomento e su “temi connessi”).

Mi riferivo al depolorevole stato, in generale, della cosiddetta “informazione”. Ma non posso evitare di osservare che, come accadeva vent’anni fa quando i mass media cominciavano ad accorgersi dell’esistenza dell’internet, continua una particolare concentrazione di stupidaggini in tutto ciò che riguarda la rete.

Due esempi fra mille. Alcuni giorni fa si discuteva (con ogni sorta di strane illazioni, spesso incompatibili fra loro) dell’acquisto del Washington Post da parte di Jeff Bezos (“a titolo personale”, non come fodatore e tuttora presidente di Amazon). Solo i fatti (sarà difficile che possano restare “occulti”) ci diranno, nei prossimi
mesi e anni, che cosa ne farà. Intanto si sono accumulate in tutto
il mondo cataste di inutili e bizzarre congetture.

Una “perla” in questo contesto è stata in un’osservazione di un “esperto” intervistato da un telegiornale italiano. «Jeff Bezos comprò una quota di Google quando nessuno sapeva che cosa fosse un motore di ricerca». Come fa uno he si definisce “esperto” a non sapere che i motori di ricerca esistono dal 1993, Google nacque nel 1998 e non fu “quotato in borsa” prima del 2004?

Pochi giorni dopo, un articolo in un importante quotidiano contiene quest’altra stupidaggine. “Tim Berners-Lee inventore dell’internet”. Tim Berners-Lee ha il grande merito di aver realizzato, nel 1989, il sistema world wide web. Ma chi ha un minimo di conoscenza di storia e struttura della rete sa che l’internet esiste dal 1978.

Le dabbenaggini sulla rete imperversano non solo in televisione e nei giornali, ma anche nella rete. Sono particolarmente insidiose quando sono espresse da (o attribuite a) persone considerate “autorevoli” – intellettuali, opinionisti, tuttologi e un’assillante varietà di presunti “esperti”. Con allarmante frequenza, politici.

Gli esempi di bufale, o distorsioni concettuali, sono così tanti che qui mi limito a due. Forse, se un giorno ne troverò qualcuno particolarmente curioso o pittoresco, lo citerò. Ma intanto consiglio a tutti di stare attenti perché proliferano dovunque, anche in quelle che sembrano le fonti più attendibili.

Uso abitualmente Google e Amazon. Ho cominciato con Google quando altri motori di ricerca stavano diventando inutilizzabili perché falsificavano le “graduatorie”. Tuttora Google non lo fa.
Ma sta diventando troppo invadente nel proporre, anzi cercare di imporre, altre funzioni che non mi interessano. Se continuasse così si potrebbe avvicinare il momento in cui mi metterò a sperimentare altri motori di ricerca (ce ne sono migliaia).

Compro libri su Amazon da quando è nata, nel 1995. E da quando nel 2010 ha aperto in Italia mi capita anche di comprare cose diverse dai libri. Con le enormi dimensioni che ha raggiunto, il servizio è diventato più automatico e meno attento. Ma ha ancora un buon livello di efficienza. Comunque non sono e non sarò mai “fedele” a un fornitore solo per abitudine. Fin che mi dà un servizio migliore degli altri, continuo a usarlo. Ma se degrada, o se qualcun altro diventa meglio, arriva il momento di cambiare. Online come in ogni altra situazione.

Questo recente grafico non riguarda le librerie online, né i motori di ricerca. Si tratta della percentuale di persone che usano i tre web browser più diffusi. Su scala mondiale, dal 2008 al 2013.

browser
Copyright © The Economist 2013

Vediamo che, nel breve periodo di sei anni, le abitudini sono molto cambiate. Nessuno può prevedere se il predominio di Chrome si consoliderà o se ci saranno altri, inaspettati, cambiamenti.

Personalmente (almeno per ora) uso prevalentemente Firefox. Perché sono “ideologicamente” affezionato all’erede storico
di Netscape (che per molti anni è stato il mio preferito). Perché preferisco non avere troppe funzioni con lo stesso fornitore.
E, come ho già detto, perché Chrome (come altre derivazioni
di Google) è troppo invadente e tenta di costringermi a fare
cose che non mi servono.

Comunque una sciocca e perniciosa abitudine della cultura dominante (non solo, ma in particolare, quando si tratta di tecnologie dell’informazione) è dare esagerata importanza
alle dimensioni finanziarie delle imprese (comprese le quotazioni
e speculazioni in borsa) a scapito dei valori di utilità e qualità.

Si dimentica con pericolosa superficialità che gli strumenti più importanti (per esempio l’internet e la world wide web) sono nati
e rimangono liberamente e gratuitamente disponibili a tutti.
Come dovrebbe essere, ma troppo spesso non è, per tutte le risorse culturali, sociali e di comunicazione.


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loghino.gif (1071 byte) La stupidità delle “profilazioni”


Avevano detto che lo spam avrebbe ucciso la rete. Non è successo. Avevano detto che con più persone meno inesperte in rete sarebbe morto lo spam. Non è successo. neppure questo.

Intanto la più antica e grottesca forma di fastidiosa intrusione online continua a perseverare – insieme al grossolano tentativo
di “nobilitarla” chiamandola email marketing.

A San Francisco, dal 3 al 29 agosto 2013, c’è una mostra di disegni umoristici che riproducono casi “tipici” di spam (ostinatamente uguali a quelli che circolavano vent’anni fa). Quattro esempi fra
i più ovvi si trovano online (insieme ai testi con cui si esprimono abitualmente i vari finti personaggi). Naturalmente sono in inglese, ma uguali a quelli in altre lingue, compreso l’italiano.

Strettamente connesso con questa assurdità c’è lo squallido mito della “profilazione”. Che non funziona, ma è continuamente gonfiata da chi teme il “furto di dati” e da chi, al contario, la propone come strumento miracoloso.

La mia stuazione personale offre un osservatorio efficace. Non posso cambiare mailbox (e così sottrarmi allo spam) perché è stampata nei miei libri. Tengo bassi i filtri antispam per evitare che cancellino posta vera. Il mio indirizzo email è facilmente reperibile
e perciò compreso in ogni sorta di raccolte messe in vendita da imbroglioni che le definiscono variamente “selezionate”. Eccetera.

Il risultato è che mi arriva un sacco di spam. Non è un gran problema, perché con un po’ di esperienza è facile riconoscerlo
e cancellarlo (ovviamente evitando di aprie allegati che spesso nascondono un virus). Ma intanto mi si offre l’occasione di verificare come sono “profilato”.

Risulta che, secondo i “profilatori”, sono una donna. O un medico, infermiere, psicologo, parroco, musicista, ingegnere, banchiere. Un (o una) adolescente. Una ragazza in cerca di lavoro come segretaria, babysitter, balia, commessa, modella o indossatrice.
Un appassionato di arti marziali o travestienti militari. Un “tifoso” di svariati sport. Un collezionista di orologi. Il proprietario o il preside di una scuola in cerca di allievi – o viceversa.

Credono che io capisca una dozzina di lingue che non conosco,
che il mio sito sia commerciale, che io sia così stupido da cadere
in ogni sorta di truffe – o dare informazioni a finte banche che cercano di “catturare” dati. O pagare (o anche solo tentare di contestare) false fatture per cose che non ho mai comprato.

Immaginano che io sia un miliardario interessato a palazzi negli emirati arabi, isole nel Pacifico, castelli in Transilvania e ogni sorta di altre cose che non comprerei neppure se avessi i soldi.

O che io sia alla ricerca di false lauree e diplomi – o di una improbabile “anima gemella” in paesi più o meno remoti.
Mi offrono guide e consigli per una vacanza in Italia e lezioni
per imparare l’italiano. Corsi di addestramento in materie
che conosco meglio dei loro docenti. Eccetera.

La stessa cosa accade con offerte ingombranti in siti vari, che
in qualche modo tentano di offrirmi qualcosa che mi interessa.
C’è un solo mio comportamento che alcuni riescono a identificare: la bibliofilia. Ma sbagliano anche le librerie, perché (incredibile
ma vero) mi offrono libri che ho scritto io – o che ho già comprato.

In tanti anni di verifica di spam in arrivo e di indesiderati incontri con offerte varie infilate online un po’ dovunque, quante proposte ho ricevuto, o incontrato, che mi possono interessare? Sembra un’esagerazione, ma la risposta è semplice. Neanche una.

Comunque continuo ad avere molte perplessità sul cosiddetto “internet marketing”. Che esista è ovvio, che cresca è naturale. Alcuni miglioramenti ci sono. Ma si incontrano ancora troppe proposte di qualità scadente. La non guarita piaga dello spam e
il fallimento delle “profilazioni” sono due sintomi, particolarmente vistosi, di una largamente degradata cultura di marketing e di una inadeguata capacità di comunicazione.

 

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