timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 61 – 15 dicembre 2001

 

 
Consiglio a chi legge abitualmente il Mercante in Rete
di tener d’occhio la segnalazione delle

novità
per verificare se c’è qualcos’altro
che possa trovare interessante.
 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale: In memoria di Peter Blake


Il 6 dicembre 2001 a Macapà, alle foci del Rio delle Amazzoni, è stato assassinato Peter Blake. Famoso per le sue vittorie in Coppa America, non era solo un campione di regate. Sapeva andare nel mare vero, navigare nell’oceano. E aveva anche altre qualità umane, compresa un’appassionata attenzione ai problemi dell’ambiente. Se lo ricordo qui non è solo perché, nella mia modesta esperienza di mare e di vela, ammiro le sue qualità. Ma anche perché da quel tragico episodio si possono ricavare due considerazioni attinenti al tema di questa rubrica.

  • Come ho scritto anche altre volte... i pirati non sono solo una leggendaria memoria del passato. Esistono ancora oggi (e non solo in mari remoti). Non sono romantici e brillanti corsari, avventurosi capitani di ventura. Sono squallidi criminali, brutali assassini. È ragionevole parlare di pirateria aerea quando attaccano un aeroplano invece di una nave o una barca. L’analogia può essere corretta anche quando assaltano a mano armata un mezzo di trasporto terrestre. In ogni altro contesto usare termini come “pirata” o “pirateria” non è solo un osceno abuso lessicale (e un atroce insulto alle vittime). È un imbroglio. Sarebbe ora di smettere, una volta per tutte, di chiamare “pirata” chi si trova ad avere un pezzo di musica, di spettacolo o di software per cui non ha pagato un’esosa licenza a qualche gigantesca impresa – o a un corrotto baraccone burocratico come la Siae. E sarebbe ora di eliminare la grottesca stortura giuridica per cui un’inadempienza in un contratto privato (spesso sostanzialmente illegittimo perchè abusivamente imposto e non correttamente negoziato) sia da perseguire penalmente come se fosse un omicidio. Questa è una delle tante situazioni in cui le norme internazionali sono molto discutibili e quelle italiane sono ancora peggio.


  • Un’altra considerazione rilevante è la lezione che deriva dalle vittorie della squadra neozelandese in Coppa America. Le loro barche erano palesemente invincibili. Non solo per le qualità tecniche e le prestazioni, ma anche e soprattutto per le capacità dell’equipaggio. Un insieme armonioso in cui tutti capivano tutto, in cui chi aveva progettato ogni dettaglio dello strumento tecnico era in simbiosi con chi lo sapeva usare, fin dai primi passi del progetto. Un “circolo virtuoso” quasi infallibile. Quella preziosa armonia sarebbe andata comunque distrutta, anche senza la tragica scomparsa di Peter Blake, perché le squadre concorrenti la stavano già smembrando (principalmente con offerte di denaro per accaparrarsi qualcuno dei suoi componenti). Di situazioni come queste è piena la storia delle organizzazioni. Non solo nello sport o nell’esplorazione, ma anche in tutto ciò che riguarda ogni specie di attività umane. Quando nascono “circuiti di qualità” con caratteristiche inimitabili si ottengono risultati straordinari. Ma non sempre hanno la possibilità di sopravvivere. Con l’ancora imperversante tendenza speculativa a continue fusioni, acquisizioni, trasformazioni e demolizioni, le risorse umane sono spesso disperse, sprecate o svilite. Ciò che ne deriva è un generale decadimento di qualità, un incessante predomino di strategie di breve periodo, un’imperdonabile dispersione di talento e di competenze. Se questo è un problema in tutte le attività umane (economiche o non) lo è ancora di più in un mondo in evoluzione turbolenta, come quello delle tecnologie e dei sistemi di comunicazione.


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loghino.gif (1071 byte) 2. Di male in peggio:
si accanisce la repressione


Ci vorrà un po’ di tempo per approfondire le decisioni con cui il parlamento italiano ha dato delega al governo per una serie di attività repressive basate sul problema del terrorismo. Ma alcuni fatti sono già chiari. Se c’è motivo di preoccupazione in molti paesi per i danni che da questa situazione possono derivare alle libertà civili, in Italia si sta facendo ancora peggio. Come accade un po’ troppo spesso quando si tratta di libertà di informazione e di comunicazione – e in particolare dell’internet.

La “doverosa premessa” è che una forte attività contro il terrorismo è necessaria – e questo significa usare anche strumenti “sporchi”, come lo spionaggio. Ma ciò non vuol dire che se ne debba subire passivamente ogni pretestuosa conseguenza. Molti dei provvedimenti che vengono presi (e degli abusi che vengono commessi) non servono affatto a combattere il crimine. Si approfitta dell’occasione per sviluppare attività invasive e repressive di ogni sorta. Non solo al servizio dei governi e di altri sistemi di potere, ma anche di interessi privati (cosa che si cerca di nascondere o negare, ma che è spudoratamente palese). La storia non è nuova – ma i problemi internazionali così evidenti in questo periodo offrono un pretesto per fare ancora peggio.

Su questo tema si sta dibattendo abbastanza seriamente negli Stati Uniti. Meno in Europa. Poco o nulla in Italia. Mentre da noi le repressioni si aggravano. Se in altre aree si frena rispetto alle direttive europee, al contrario si va oltre quando si tratta dell’internet (che è già stata varie volte grottescamente chiamata in causa, benché sia evidente che gli strumenti usati dai criminali sono tutt’altri). È preoccupante il blando interesse per questo problema da parte dei grandi mezzi di informazione. E ancor più la cecità dei “grandi poteri” politici, economici ed editoriali che ancora una volta confermano la loro incapacità di capire quali sono i veri valori della rete – e il loro perenne desiderio di reprimerla.


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loghino.gif (1071 byte) 3. Nuovi dati internazionali


Come già detto, da un anno gli aggiornamenti sulla situazione dell’internet in Italia, in Europa e nel mondo non si trovano in questa rubrica ma nella sezione dati. Dopo i dati europei di cui si è parlato nel numero precedente, riassumo qui alcune indicazioni che emergono dai nuovi dati internazionali (diffusi alla fine di novembre 2001) di cui si trova una più ampia analisi su questo sito.

Il numero di host internet nel mondo è salito a 125 milioni (rispetto a 109 alla fine del 2000). La posizione degli Stati Uniti è un po’ diminuita in percentuale, ma rimane doominante, come è evidente in questo grafico (12 paesi con più di un milione di host internet).


host internet in 12 paesi
paesi nel mondo con piùdi un milione di host

grafico


Se per una migliore leggibilità togliamo dal grafico gli Stati Uniti, questa è la situazione per gli altri 20 paesi con più di 500.000 host.


Host internet in 20 paesi
paesi nel mondo con più di 500.000 host   (Stati Uniti esclusi)

grafico

Si conferma una presenza dell’Italia a un livello sostanzialmente cambiato rispetto a due anni fa. Fra gli altri sviluppi si nota una forte crescita dell’Olanda. In base ai più recenti dati europei risulta che ora fra i primi 15 paesi del mondo nell’uso dell’internet c’è anche la Russia.

Dal punto di vista della densità rispetto alla popolazione questa è la situazione dei 21 paesi con più di 500.000 host.


Host internet per 1000 abitanti in 21 paesi
paesi nel mondo con più di 500.000 host

grafico

Anche da questo punto di vista si conferma la posizione preponderante degli Stati Uniti. Continua a esserci una densità elevata in aree tradizionalmente forti, come i paesi scandinavi, l’Australia, e il Canada, ma ci sono sviluppi e cambiamenti in Europa e in alcuni paesi dell’Asia e dell’America Latina.

La stessa situazione può essere rappresentata anche come carta geografica.


Host internet per 1000 abitanti

mappamondo

Ci sono paesi con una crescita molto superiore alla media, ma la diffusione della rete continua a essere tutt’altro che “globale”. Una gran parte del mondo ne è quasi totalmente esclusa.

Il prossimo grafico rappresenta (per gli stessi 21 paesi di quello precedente) il numero di host in proporzione al reddito.


Host internet in rapporto al reddito (PIL) in 21 paesi
paesi nel mondo con più di 500.000 host

grafico

Si conferma ancora una volta la posizione “storica” della Finlandia e di altri paesi scandinavi (con la recente crescita dell’Olanda). Continua il progresso di alcuni paesi asiatici (come Taiwan) e dell’Europa orientale (come la Polonia). Solo una parte dell’America latina si sta avvicinando, rispetto al reddito, a livelli “europei”. C’è un ulteriore miglioramento dell’Italia (ma è ancora al di sotto del livello di attività che dovrebbe avere in proporzione al ruolo economico nel mondo). Altri grandi paesi europei, come la Germania, la Francia e la Spagna, non sono in una posizione migliore.

La situazione mondiale può essere vista anche in una prospettiva un po’ diversa. Ci sono 12 paesi nel mondo con più di un milione di host internet. Ma sono 13 (di cui otto hanno superato i due milioni – e presto saranno nove) se osserviamo le cose da un altro punto di vista, cioè consideriamo le comunità culturali – in particolare quella di lingua spagnola.


Host internet
numeri in migliaia
(esclusi gli Stati Uniti per una migliore leggibiltà del grafico)

grafico
La parte rossa delle barre rappresenta la crescita in due anni (dal 1999 al 2001)


Vedi a questo proposito la documentazione aggiornata su “due grandi comunità linguistiche”.

Benché l’internet sia inaccessibile in gran parte della Cina, nel mondo esteso delle comunità cinesi la crescita continua – è probabile che nella seconda metà del 2001 abbia superato largamente i due milioni di host, collocandosi al di sopra dell’Italia (ma non, per ora, della Germania o della Gran Bretagna).

L’area di lingua spagnola conferma un forte sviluppo, con una crescita del 75 per cento negli ultimi dodici mesi (rispetto a una media mondiale del 35 per cento). Oltre al Messico e al Brasile anche altri paesi dell’America latina hanno un forte aumento di attività online (in particolare l’Argentina).

Rimane comunque evidente che la lingua dominante è l’inglese – con il 70 per cento del totale se si considerano solo i paesi in cui è la lingua locale e probabilmente il 90 per cento se si comprendono tutte le persone online che lo sanno leggere e scrivere.


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loghino.gif (1071 byte) 4. Euro, burocrazia e falsa innovazione


Nell’inondazione di chiacchiere che circonda il passaggio alla “moneta europea” il continuo affannarsi a cercare di spiegare porta spesso più confusione che chiarezza. C’è una vena di comicità nei frequenti strafalcioni di chi si è assunto l’incarico di fare lezione su questa materia e nel frenetico arrabattarsi a offrire spiegazioni che spesso servono solo a confondere le idee.

Ma ancora peggiori sono le incredibili e inutili complicazioni introdotte dalla burocrazia. Per esempio alcune Camere di commercio hanno preteso che la conversione del capitale sociale da lire a euro (un’operazione banale quanto obbligatoria) fosse trattata come una delibera di assemblea straordinaria, con modifica di statuto e certificazione notarile. Molte imprese hanno seguito quel percorso; e i notai si sono fatti pagare profumatamente (si parla di quattro milioni per ognuna di quelle elementari e ripetitive operazioni). Dopo che un buon numero di miliardi si erano trasferiti dalle aziende alla corporazione notarile, verso la fine dell’anno so è finalmente accettata una soluzione un po’ più semplice (una delibera del consiglio di amministrazione) che tuttavia ha comportato costi organizzativi, e spese burocratiche, totalmente ingiustificate. È grave? Non molto, in confronto a danni più gravi prodotti da altri guasti del sistema. Ma se è questo il modo in cui l’Italia gestisce l’innovazione abbiamo motivo di preoccuparci.

In una delle tante (e noiosissime) trasmissioni televisive dedicate all’euro è stato chiesto a Maurizio Gasparri, ministro delle comunicazioni, quali sono gli auguri più importanti per l’Italia nel prossimo futuro. Ha risposto che sono tre: i telefoni Umts, la banda larga e la televisione digitale. A quanto pare questa non è solo l’opinione di un ministro o di un ministero, ma è un modo di pensare diffuso nel mondo politico e dei grandi poteri economici. Non occorre un grande approfondimento per capire che sono sciocchezze.

La televisione digitale, forse, potrebbe essere rilevante, anche se è molto improbabile che possa modificare in pochi anni il complesso quadro dei sistemi informativi. Ma è lecito dubitare che una forte spinta al pluralismo venga da un mondo politico che basa una larga parte del suo potere sul controllo dei sistemi televisivi tradizionali.

Quanto ai telefoni Umts, che sono più che altro un presidio a favore del confusopolio e una scusa per evitare o limitare la riduzione delle tariffe telefoniche, nulla ha ancora dimostrato che abbiano una reale utilità – se non per applicazioni molto particolari e di scarso interesse per la maggior parte delle persone e delle imprese.

Infine... per capire quanti dubbi ci siano nel mondo a proposito della “banda larga” non occorre neppure sapere l’inglese, perché lo si definisce con una parola italiana: the broadband fiasco. Il “fiasco” non sta solo nei fallimenti di imprese che hanno investito in questo settore o nel fatto che pochissimi utenti sono interessati ad acquistare connessioni inutilmente costose. Sta anche nella sostanziale inutilità di ulteriori allargamenti quando si sta usando circa il due per cento della banda già disponibile e anche quel modesto utilizzo è formato in gran parte di ingombri inutili o fastidiosi. E soprattutto nel fatto che la mitologia broadband ha incoraggiato un’infinità di usi impropri, farraginosi e inefficienti della rete.

(Vedi a questo proposito Quei grandi tubi pieni di nulla e l’articolo pubblicato da Gerry McGovern il 10 dicembre 2001 What the broadband meltdown tells us sulle lezioni che si traggono dalla “sindrome della banda larga”).

L’inseguimento esasperato della quantità (di connessione, di risorse tecniche e di complicazioni inutili) a scapito della qualità ha già prodotto danni gravi. L’imperversare di apparenze a scapito dei contenuti ha raggiunto livelli insopportabili. Eppure si persevera nell’inseguire mitologie superficiali mentre si trascurano i reali approfondimenti di valore e di servizio. C’è un’incredibile sordità in tutti i centri di potere (politico, economico e di informazione) che spegne ogni voce di buon senso, di concretezza e di reale, significativa innovazione. Il problema non è solo italiano – ma sembra che da noi sia particolarmente intensa la mancanza di capacità critiche nel capire quali siano i veri e duraturi valori nell’evoluzione dei sistemi di comunicazione, informazione e conoscenza.

 

 

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