News
letterIl Mercante in Rete
available also in English |
Convinto, come sono, che le nuove tecnologie possono aprire nuove strade per le
imprese (come per singole persone e organizzazioni professionali) mi dispiace dover
constatare ogni giorno che la distanza fra il possibile e il reale non si riduce; ma anzi
tende ad allargarsi, perché il fascino di evoluzioni tecniche sempre più complesse, di
macchine sempre più potenti, di software sempre più gonfi di funzioni non necessarie...
crea una continua "fuga in avanti" di cui non si riesce a percepire né lo
scopo, né la concreta utilità. Più di dieci anni fa avevo già cominciato, lavorando al servizio di alcune fra le più importanti imprese del settore, ad approfondire i problemi e le prospettive del complesso mercato della information technology (non solo in Italia). Si arrivò a una constatazione sorprendente: «Questo è l'unico mercato - dicevamo - in cui chi compra non sa che cosa compra, e chi vende non sa che cosa vende». Da allora, naturalmente, le cose sono cambiate; una certa conoscenza delle risorse e dei loro utilizzi si è diffusa, in imprese grandi e piccole. Abbiamo una situazione più "matura" della domanda; più coerenza da parte di imprese, professionisti, famiglie e persone nel definire le loro esigenze. Ma se c'è un miglioramento, non c'è ancora un cambiamento sostanziale; la continua evoluzione delle tecnologie è tale da mantenere domanda e offerta in uno stato di costante confusione. Dal punto di vista storico e filosofico, un'evoluzione così turbinosa ha qualcosa di affascinante; ma in pratica crea molti più problemi di quanti ne risolva. Se dall'informatica passiamo alla telematica, il quadro è ancora più confuso. Giova ricordare che un'applicazione diffusa della comunicazione elettronica non ha più di quattro anni nei paesi più avanzati; al massimo tre (più di chiacchiere che di fatti) in Italia. Sarebbe davvero strano se in un periodo così breve fosse nato un mercato coerente e comprensibile. In altri settori, dove il rapporto esigenza-prestazione è più semplice, possono bastare pochi mesi perché una novità sia totalmente capita e chi la utilizza sia chiaramente consapevole di che cosa sta usando e perché. In questo, no: perché il concetto generico di "telematica" (che si tratti di internet, intranet, extranet o qualche altro termine che qualcuno inventerà) comprende un gran numero di servizi, prestazioni e possibilità del tutto diverse; di cui alcune, probabilmente, sono ancora da scoprire. La turbinosa evoluzione in corso nei sistemi di telecomunicazione contribuisce a complicare il quadro. Pochi giorni fa, ho rimesso le mani su un vecchio computer. Senza entrare in dettagli tecnici... ha un ventesimo delle prestazioni, un ventesimo del hard disk, un decimo di velocità del modem rispetto a un computer di oggi. Qualsiasi ragazzino, che volesse usare i giochi dell'ultima generazione, lo guarderebbe con profondo disprezzo. L'ho dato alla figlia di amici miei, che lo usa per motivi di studio e (per fortuna) ha idee chiare su che cosa le occorre davvero. Con un minimo di prudenza (come non caricare funzioni superflue) abbiamo installato tutto il software che le serve - compresa una serie di giochi poco ingombranti ma molto divertenti. Funziona. Certo... non è una soluzione definitiva. Verrà un giorno in cui le esigenze di quella ragazza cresceranno. I suoi genitori saranno costretti a comprarle un computer più potente (e mi restituiranno il vecchio arnese, che troverà ancora qualche impiego utile). Ma quel giorno la figlia saprà esattamente quello che vuole; la sua famiglia spenderà molto meno di quello che spenderebbe oggi, a parità di prestazioni - e farà un acquisto più intelligente e più "giusto". Sembra ovvia la "morale della favola": il 99% delle imprese e delle persone potrebbe soddisfare le sue esigenze con una frazione della potenza installata e con software meno barocchi (e perciò meno fragili): e così non solo risparmiare soldi, ma anche parecchio downtime dovuto ai capricci di programmi inutilmente complessi - e parecchi dispiaceri dovuti a conflitti e malintesi fra persone e tecnologie. Questo è vero. Ma se è inutilmente costoso e rischioso correre troppo in avanti con le tecnologie, presto o tardi sarà necessario adeguarsi agli "standard" del mercato, che (ci piaccia o no) si evolvono velocemente. Il punto centrale, secondo me, è un altro. Il vero problema è che troppo spesso si investe "a priori" in macchine e in tecnologie e si trascurano i due fattori essenziali: una definizione chiara e flessibile delle proprie esigenze, e l'acculturazione delle persone (che non si ottiene con trattamenti d'urto come corsi di formazione esageratamente tecnici e quasi sempre un po' ostici, ma con un graduale sviluppo di abitudini e di confidenza). Così ci si "chiude" prematuramente in un sistema, che poi non è facile cambiare; e spesso poi ci si accorge, troppo tardi, che non era la soluzione più adatta per noi. Ci sono anche molte situazioni in cui le soluzioni adottate sono "potenzialmente" giuste, ma non funzionano; perché nessuno (cominciando, spesso, dai dirigenti dell'impresa) le ha davvero capite e condivise; chi si sente costretto a usare tecnologie "imposte dall'alto" oppone ogni sorta di resistenze; i tecnici si trincerano nelle loro "isole di potere" e non sanno comunicare in modo comprensibile e motivante con le altre persone... si precipita in quella che uno dei migliori specialisti che conosco definisce "un'autentica emergenza culturale". A questo andazzo pericoloso e disorientante contribuisce anche il rozzo marketing dei fornitori. In infiniti convegni, congressi e presentazioni di ogni sorta si ripete lo stesso scenario. «Compra il raffinatissimo sistema Ultrabusiness - dice il fornitore - e come d'incanto tutto nella tua impresa funzionerà a meraviglia». Questo non è mai vero. Come è sempre falsa la promessa di chi dice «Lascia che ti metta in piedi una homepage, il mondo busserà alla tua porta e ti coprirà d'oro». È poco credibile anche la minaccia di chi vende sicurezza: «Se non installi il mio sistema di protezione orde di sabotatori paralizzeranno la tua organizzazione, torme di spie ruberanno i tuoi segreti e la banda Bassotti ti porterà via i soldi». Il mio consiglio alle imprese (o persone, o professionisti) è semplice. Non ascoltate i Dulcamara che vi assediano con i loro elisir miracolosi e le loro soluzioni "buone per tutti". La sequenza logica è problema-soluzione, non soluzione-problema. La gerarchia è macchine al servizio delle persone, non viceversa. Prima di tutto analizzate bene le vostre esigenze. Poi scoprite quali sono, all'interno della vostra organizzazione, le persone meglio disposte verso l'innovazione - e più capaci di usare le risorse tecniche che avrete scelto: fate in modo che siano loro a stimolare l'emulazione (con l'esempio e con la naturale famigliarità che si sente verso chi è più "simile" e vicino). Procedete per gradi... la nuova macchina (o il nuovo software) che non installate oggi, perché non ne avete ancora bisogno, fra sei mesi costerà molto meno (o, a parità di prezzo, sarà migliorato, o almeno liberato dai una parte dei bug, delle tarantole che affliggono tutti i programmi e i sistemi - specialmente quelli nuovi). Soprattutto è probabile che nel frattempo avrete capito meglio che cosa vi serve, quindi sceglierete una soluzione diversa e più adatta a voi. E avrete una crescita più fluida e serena, più naturale, della simbiosi persone-macchine: perché saranno proprio le persone, con le loro esperienze concrete, ad aiutarvi a definire le esigenze e a scegliere le soluzioni più "giuste" per loro. Se oggi si sentono coinvolte nelle scelte, domani faranno molto meno resistenza quando dovranno imparare nuovi metodi e nuove applicazioni. Così avrete meno spreco, meno problemi tecnici, meno grattacapi, meno conflitti - e più efficienza. Semplice, vero? Ma è difficile capire perché, ancora oggi, così pochi seguano questa strada. |
Nonostante le diffuse perplessità, sembra che molte imprese vogliano, ancora oggi,
affacciarsi in rete il più velocemente possibile, anche senza aver capito perché o
essersi chieste in che modo è davvero utile usarla. È difficile capire, per esempio, se
il forte aumento del numero di host in Italia
rifletta una crescita fisiologica della rete o una corsa a "occupare posizioni"
senza chiedersi con sufficiente chiarezza a che cosa servano. Questa rincorsa della "moda" mi sembra non solo inutile, ma pericolosa. Può indurre a mosse sbagliate, di cui poi si pagano le conseguenze; può portare a delusioni, e quindi all'abbandono dello strumento prima ancora di averne capito l'utilità. Credo che la scelta giusta debba essere più approfondita e meditata. Basarsi non solo su ristretti obiettivi specifici, ma su un graduale approfondimento di quali valori l'azienda è in grado di costruire, e di esprimere, con un uso intelligente delle nuove possibilità che la rete offre. Il fenomeno (come abbiamo visto e verificato nei numeri precedenti di questa rubrica) è ancora piccolo; ma sta crescendo. È in continua evoluzione, con sviluppi in gran parte imprevedibili. C'è il tempo per imparare e sperimentare... ma è meglio cominciare presto: per arrivare preparati al momento in cui offrirà maggiori possibilità concrete (a noi - ma anche ai nostri concorrenti). I1 primo passo, secondo me, è collocare il problema al giusto livello nella gerarchia delle strategie d'impresa. Uno studio pubblicato nell'ottobre 1996 diceva che in otto casi su dieci se un'azienda disponeva di un sito web l'iniziativa era stata presa dalla funzione EDP; in un caso su dieci dalla direzione aziendale, in tre su cento dal marketing e in altrettanti dalla funzione comunicazione o relazioni pubbliche. Non credo che la situazione, da allora, sia molto cambiata. È un'ennesima conferma di come nelle imprese la gestione dell'informazione in rete sia impostata a rovescio: le tecnologie prevalgono sulle strategie e sulle esigenze umane e organizzative - mentre dovrebbe avvenire esattamente il contrario. Il secondo, e fondamentale, passo è creare il massimo di familiarità e di esperienza; incoraggiare il più possibile le persone (specialmente quelle che si occupano di comunicazione, marketing, servizio ai clienti e relazioni interne ed esterne) ad avere pratica diretta della rete. In più, costruire nuclei dedicati che si occupino esclusivamente del raccordo fra le varie attività aziendali e le possibilità della rete. Con il grave fenomeno di "disoccupazione laureata" che ci affligge, questo sarebbe un modo per offrire opportunità di lavoro a persone giovani e mettere a frutto il loro talento. Ma consiglierei di scegliere persone con una formazione umanistica e di dare priorità assoluta in tutta l'analisi ai fattori umani. Le tecniche sono solo strumenti. Di tecnologia c'è abbondanza; quella che manca è la capacità di usarla in modo efficace. Il compito di questi gruppi di lavoro dovrebbe essere identificare i punti di raccordo fra l'azienda e il mondo (interno e esterno) e i valori di servizio che si possono generare. Verificare le loro deduzioni con tutte le funzioni dell'impresa - e riferirle direttamente ai vertici decisionali. Non riesco a pensare a un'impresa (o organizzazione, pubblica o privata, di qualsiasi specie) in cui un'analisi del genere non possa portare a risparmi rilevanti, a migliore efficienza, e molto probabilmente alla scoperta di nuove strade di espansione. |
La nostra "vetrina" in rete non è su una strada frequentata dai curiosi. È
in un luogo invisibile e inaccessibile a chi non ne conosce l'indirizzo. Quindi... il
problema è farci trovare. La prima cosa che viene in mente, a chi si presenta con un suo "sito", è fare in modo che sia reperibile attraverso i "motori di ricerca". Questo è relativamente semplice... ma i risultati non sono immediati, occorre metodo e attenzione. Se mettiamo le parole giuste nelle nostre pagine, presto o tardi i "motori" ci troveranno. Molti ci mettono a disposizione gli strumenti per segnalare il nostro "sito". I grandi motori "automatici", che segnalano meccanicamente tutto, sono i più facili in cui inserirsi; quelli più selettivi ovviamente non ci segnaleranno se non riusciremo a convincerli che ne vale la pena. Non è facile scegliere bene la parole-chiave con cui desideriamo essere trovati. Mi sembra consigliabile verificare: cioè provare in concreto come e quando i "motori di ricerca" ci trovano, e che cosa trovano con le parole-chiave che abbiamo scelto. Ci sono alcuni metodi che tecnici esperti possono usare per farsi individuare meglio dai "motori di ricerca"; ma in pratica solo l';esperienza e la continua verifica ci possono permettere di migliorare la nostra reperibilità. Ci sono, naturalmente, i banner a pagamento; ma anche questa non è una cosa semplice. Occorre studiare bene, e verificare con l'esperienza, quali sono i siti più adatti: cioè quelli frequentati da persone cui interessa ciò che vogliamo proporre. Ci sono altri metodi, meno elementari, ma più efficaci. Il primo è ovvio, ma vale la pena di ricordarlo. Segnalare l'indirizzo del nostro "sito" in tutte le nostre attività di comunicazione. Non solo nella pubblicità ma nelle comunicazioni al personale e a tutti i nostri interlocutori esterni; metterlo sulla carta da lettere, nel modulo dei fax, nei comunicati stampa, eccetera. Può sembrare un'osservazione stupida, ma è incredibile quanti dimentichino di farlo. Ci sono anche i link. Può essere un lavoro lungo e paziente, ma più riusciremo a convincere "siti" ben frequentati e attinenti al nostro tema a collegarsi al nostro, più traffico riusciremo a ottenere. Alcuni lo faranno a pagamento. Altri perché interessati allo scambio. Il problema è sceglierli bene ed evitare dispersioni. Ci sono riviste e cataloghi (stampati su carta o online) dove è bene essere citati. Ma, che ci si creda o no, l'arma più forte è il contatto personale. Studi e ricerche sono un po' contraddittori. Alcuni indicano che il metodo più usato per trovare un sito è un "motore di ricerca"; altri che è il consiglio personale di qualcuno che si conosce. È probabile che il primo metodo sia prevalente per ricerche generiche e occasionali, il secondo per approfondimenti più mirati. Ma, comunque sia, un "sito" di successo è quello che stabilisce relazioni costanti con visitatori abituali. Una persona che ha trovato interessante il nostro "sito" non solo ritornerà, ma lo dirà agli amici. La ricerca in rete è difficile e dispersiva; chi cerca qualcosa molto spesso chiede consiglio a qualcuno che conosce l'argomento. Se frequentiamo aree di dialogo attinenti al nostro tema, possiamo cogliere l'occasione favorevole per segnalare il nostro indirizzo (senza fare spamming e senza renderci importuni). Soprattutto... ci vuole pazienza e un impegno continuo che duri nel tempo. Gradevoli sorprese sono sempre possibili; ma è più prudente e ragionevole non aspettarsi risultati immediati. L'arma più forte è costruire vere relazioni, non con "tutti", ma con le persone più interessate al nostro argomento. Un lavoro lento, paziente, che consuma tempo e energie; ma l'arma più forte per costruire una presenza duratura. La rete è piccola, ma crescerà; un buon seme gettato oggi nel giusto terreno può diventare domani una pianta rigogliosa e un punto consolidato di vantaggio rispetto a chiunque altro voglia poi entrare nel nostro territorio. |
Il terzo censimento Nasa WebSites della Nielsen (i dati non sono disponibili in rete)
rileva 4764 "siti" di organizzazioni italiane sulla World Wide Web, con
un incremento abbastanza vivace (ma in rallentamento):
Il fatto interessante è che questo numero, per quanto modesto possa essere rispetto allo sviluppo in altri paesi, non è "piccolo" rispetto alla realtà italiana (della cui generale debolezza abbiamo già parlato). Per esempio (anche se il confronto è fra due fenomeni sostanzialmente diversi) la Nielsen osserva che non sono più di 5000 le imprese italiane che investono in pubblicità in misura "rilevabile". Inoltre, probabilmente questo dato è "sottostimato". Mentre, come abbiamo visto, altri dati sulla rete appaiono molto esagerati, in questo caso è probabile (come notato anche dalla Nielsen) che il numero delle presenze censite sia inferiore al reale: perché non sono comprese quelle imprese italiane (poche per numero, ma probabilmente rilevanti per impegno) che hanno indirizzi "americani" (come .com anziché .it) - né quelle che sono "ospitate" presso siti altrui. Il quadro diventa meno incoraggiante se si analizza la natura di queste presenze. Secondo il censimento Nielsen, il 76% dei siti ha una funzione commerciale, o comunque rappresenta imprese e non istituzioni; le "funzioni" rilevate sono:
Per settore merceologico, le prime dieci categorie sono:
Alcune di queste categorie sono "generiche" e non facilmente classificabili (per esempio "servizi" è una definizione un po' vaga; "industria" comprende tutto ciò che non è classificato in "grandi" categorie specifiche -- in pratica si tratta soprattutto prodotti venduti da industrie ad altre industrie o imprese, cioè rientra prevalentemente nella categoria business to business). È ovvio il predominio dell'informatica; ma se consideriamo quanti siti (in totale) vendono beni o servizi, e quanti offrono servizi post-vendita, se ne deduce che perfino in questo settore così attinente le presenze attive sono poche... più del 70% dei siti di informatica non offre né prodotti, né servizi, né assistenza in rete. Significativa anche la scarsa presenza di altri settori (fra cui molti che sono rilevanti nell'economia ma non compaiono in questa lista dei "primi dieci"). Insomma è il profilo di un mercato ancora molto immaturo. |
In una conferenza stampa il 10 luglio a Milano la Nielsen ha presentato WebAudit: un metodo di certificazione dei
"contatti" che si ottengono con la "pubblicità" in rete. Senza
entrare nei complessi dettagli tecnici, è un sistema di rilevazione indipendente per
misurare il numero di "accessi": che spesso rappresenta il criterio in base al
quale viene pagata la presenza di un banner. Questa iniziativa riguarda l'Italia: a
lungo termine, naturalmente, si pensa a un sistema internazionale, ma per il momento il
progetto viene sviluppato autonomamente in ciascun paese. Nulla da eccepire, mi sembra, sulla serietà del metodo adottato (anche se ogni soluzione tecnica potrà sempre essere discussa da chi pensa di averne una migliore). Vorrei solo dire che questa verifica, che può essere utile a chi vuol controllare come spende i soldi (e soddisfa la notoria "ansia numerica" di molti funzionari di grandi imprese) è basata sulla concezione della pubblicità tradizionale "a senso unico" e si limita a contare i "contatti" raggiunti. Sono diversi, ovviamente, i criteri di valutazione per un'attività interattiva: che sono, d'altro canto, direttamente verificabili da parte dell'impresa in base ai risultati che ottiene. In quell'occasione si è accennato anche alla dimensione del mercato "pubblicitario" in rete. C'è consenso generale su due fatti: sono cifre piccole e non c'è ancora un metodo per misurarle. Non è sorprendente che il principale "inserzionista" in rete, anche in Italia, sia la Microsoft (che "si dice" abbia investito circa 100 milioni). Una stima "pifometrica", cioè a "lume di naso", arriva in totale a "forse" un miliardo di lire. Circa lo 0,01 % degli investimenti pubblicitari in Italia... e probabilmente è una stima esagerata, come vedremo poco più avanti dal confronto con altri paesi. Si conferma ciò che sapevamo: i mezzi tradizionali hanno, almeno per ora, assai poco da temere; chi si è presentato in rete con edizioni elettroniche di giornali, o con altre attività finanziate dalla pubblicità, ha fatto una scelta strategica importante ma difficilmente potrà avere in tempi brevi un adeguato "ritorno sull'investimento". Se il problema è chiaro e noto, negli Stati Uniti... come confermato anche in un recente articolo sul Sole 24 Ore... figuriamoci da noi. Secondo uno studio di Jupiter Communications riportato da Cyberatlas, il 98 per cento degli investimenti "pubblicitari" in rete si riversa su "siti" americani.
La stessa fonte stima che il totale di online advertising revenue sia inferiore al milione di dollari in Gran Bretagna e in Germania - paesi la cui "presenza" in rete è quattro volte quella italiana. Se pensiamo che l'uso più promettente della rete (per l'Italia come per molti paesi europei) è rivolto all'esportazione, è probabile che anche in futuro la maggior parte degli investimenti non sia dedicata al paese d'origine, ma ai paesi di destinazione - o ai sistemi (prevalentemente americani) che gli utenti di tutto il mondo usano per orientarsi nella "navigazione". |
Su un argomento che mi sta a cuore (le possibilità "globali" che si aprono
alle imprese italiane con un uso efficace della rete)
ho trovato interessante l'articolo di Paolo Sylos Labini pubblicato sul supplemento
"Affari e Finanza" di Repubblica del 7 luglio. Purtroppo non posso
offrire un "link" ai miei lettori, perché Repubblica (come molti altri
giornali) mette a disposizione in rete solo una parte dei contenuti e per un periodo
limitato. Ma ecco alcune citazioni:
Queste considerazioni mi sembrano interessanti. Ma non vorrei che ci fosse una limitazione di prospettiva. Innovazione "con la tecnologia", secondo me, non significa soltanto "prodotti tecnologici". Certo ci sono imprese italiane, fra cui molte medie e piccole, che hanno dimostrato forti capacità competitive nell'area delle "tecnologie avanzate"; e sarebbe meglio se ce ne fossero molte di più. Ma credo che sarebbe pericolosamente restrittivo pensare che sia solo questo lo spazio di sviluppo che si offre alle nostre imprese. Come spero di essere riuscito a dimostrare in molte osservazioni precedenti, le nuove tecnologie di comunicazione offrono ampi territori di successo anche a imprese i cui prodotti o servizi potrebbero essere definiti "tradizionali" (o "artigianali"). Anche per queste si aprono orizzonti sempre più vasti di diffusione nel mondo - se sanno, o sapranno, usare la comunicazione con autentica e dinamica innovazione di marketing e di servizio. |
Mi sembra che abbia avuto scarsa eco, sulla stampa e anche in rete, la dichiarazione diffusa dopo un incontro di ministri europei, e
rappresentanti di altri paesi fra cui gli Stati Uniti e il Giappone, che si è tenuta a
Bonn dal 6 all'8 luglio. Si può pensare che un ennesimo proclama di "buone intenzioni" non sia, in sé, una grande notizia. Ma questa dichiarazione merita di essere letta, anche se è piuttosto lunga. Entra infatti con una certa precisione (anche se solo a livello di princìpi e criteri generali) in una serie di temi specifici. Descrive con chiarezza (per quanto è possibile in un documento di questa natura) le prospettive economiche e sociali della "società dell'informazione". Alcuni aspetti della "Dichiarazione" possono essere discutibili; per esempio nell'area della libertà di opinione dei cittadini è ambigua e risente di posizioni di compromesso. Ma è chiara nell'area business e mette in evidenza alcuni fattori importanti: fra cui una ripetuta accentuazione del ruolo delle piccole e medie imprese nel mondo delle Global Information Network. Sembra tuttavia essere un po' sfuggito ai grandi Soloni europei, come al professor Sylos Labini e a molti altri osservatori, un fatto fondamentale: le prospettive di affermazione delle imprese (e quindi di crescita economica e di occupazione) offerte dalle reti non riguardano solo i settori direttamente inerenti, come la tecnologia e la produzione di "contenuti" cuturali, informativi o di spettacolo. |