Il Mercante in Rete
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Numero 29 - 18 dicembre 1998 |
Sembra che i "grandi mezzi" di informazione, dopo aver passato anni a dire
tutto il male possibile dellinternet, siano presi da un improvviso amore per la
rete. Non che sia diminuita la quantità di sciocchezze pubblicate su questo argomento, ma
prevalgono i discorsi entusiastici. Ci sentiamo raccontare (specialmente in televisione)
che questo natale sarà tutto elettronico; che si regaleranno non solo videogiochi e
telefoni cellulari ma anche computer e collegamenti internet. Se è vero o no, lo sapremo
dopo che sarà passata la bagarre natalizia. Grandi quotidiani e periodici
pubblicano supplementi dedicati alla rete, probabilmente attratti dallidea che siano
buoni "contenitori di pubblicità" (con qualche preoccupazione, credo, per gli
editori delle riviste di settore, che si erano moltiplicate a dismisura ma stanno in parte
scomparendo). È probabile che questo cambiamento nasca dalla convergenza di parecchi fattori diversi. Non ultima, credo, la "benedizione" papale che ha riconosciuto i valori umani e civili della rete, probabilmente lasciando un po interdetti molti dei suoi detrattori. Un fatto assai meno solenne, ma molto vistoso, è lintensa pubblicità della Telecom per la vendita di collegamenti alla rete. Non possiamo ancora avere una misura dellinvestimento, ma si tratta di cifre importanti, paragonabili a quelle per la telefonia cellulare o alle decine di miliardi sprecati alcuni mesi fa nella sfortunata campagna sul "prefisso". Continuano anche forti spinte promozionali. La campagna (specialmente nella versione televisiva) è stata oggetto di molte critiche; qualcuno lha anche denunciata per scorrettezza. Non è casuale, credo, che questa forte spinta venga proprio nel momento in cui lassociazione degli internet provider ha promosso uniniziativa presso lautorità garante per la concorrenza e il mercato (la cosiddetta antitrust) contro la "posizione dominante" della Telecom. E ha dedicato a questo tema il suo convegno annuale che si è svolto a Napoli il 27 novembre, in cui si è parlato di "emergenza internet" non solo per quella distorsione del mercato ma anche perché si è preso atto di un problema più generale: larretratezza italiana in rete. Per chi volesse approfondire i temi di quel convegno, cè un mio articolo sullargomento. Ma indipendentemente dal tono e dai contenuti è probabile che questo vistoso impegno pubblicitario, unito alle diffuse iniziative di vari gruppi editoriali, abbia contribuito a creare una nuova fase di "moda" della rete presso i mass media. Vedremo nei prossimi mesi se questo si tradurrà in un aumento delle "utenze private" (larea in cui lItalia è più debole) e potrà contribuire a diminuire un po la nostra arretratezza (che rimane preoccupante, come dimostrano anche le cifre più recenti vedi il punto 2). Non posso non condividere le critiche, diffuse fra le persone più esperte e attente, sulla superficialità dellenfasi e sullinfondatezza di certe affermazioni ("questanno, dice la RAI, seguita dal solito coro ripetitivo, gli acquisti di natale saranno fatti online"; dimenticando che il "commercio elettronico" in Italia deve ancora nascere). Ma spero che anche da questa confusione possa nascere qualcosa di utile, se contribuirà a diffondere la percezione della rete come un mezzo di comunicazione utile a tutti e non riservato solo a qualche appassionato di tecnologia. Non è, come ci stanno raccontando, il "paese dei balocchi"; ma forse anche chi comincia un po per gioco può poi scoprire valori più interessanti e meno grossolani. Rimane, naturalmente, da svolgere il compito più importante: diffondere una cultura autentica e umana, meno banale o tecnofantastica, sui valori della comunicazione interattiva. Come ho detto molte volte, ma sembra ancora necessario ripetere. |
Se scrivessi come fanno alcuni giornalisti un po superficiali, direi: "il
popolo della rete è in fremente attesa dei nuovi dati sul hostcount". Ma non
sono così stupido. So che non esiste alcun "popolo della rete", che anche chi
si occupa seriamente dellinternet non dedica ai "numeri" generali più
interesse di quanto meritano; e soprattutto che le oscillazioni dei dati in due o tre mesi
non sono molto significative. Tuttavia so che queste informazioni interessano ad alcuni dei lettori più attenti; e poiché nei mesi scorsi si erano visti i segni di una possibile nuova tendenza, può valer la pena di seguirne landamento in questo periodo. Purtroppo i segnali rimangono abbastanza confusi. In settembre avevamo visto interrompersi quella crescita vivace in Italia che poteva aprire la strada a un recupero della nostra arretratezza. In ottobre e novembre landamento rimane incerto. È ancora difficile capire quale possa essere la tendenza di "medio periodo". Questa analisi è basata sui dati pubblicati da RIPE (Réseaux IP Européens) il 7 dicembre, per i primi 22 paesi in Europa e nellarea mediterranea:
Si nota una tendenza verso lequilibrio per aree. È comprensibile la staticità della Finlandia (che rimane al secondo posto nel mondo, superata solo dallIslanda, per densità rispetto alla popolazione) e della Norvegia. Ma è interessante la crescita nellEuropa settentrionale: larea che sta intorno al Mare del Nord e al Baltico tende a diventare più omogenea. Rimane debole lEuropa meridionale (dove però Francia, Spagna e Grecia hanno un indice di crescita superiore allItalia). LItalia ha una crescita inferiore alla media europea; dovrebbe almeno raddoppiare la velocità per poter recuperare lo svantaggio nei prossimi anni. Vediamo un aggiornamento del grafico di andamento del hostcount in Italia:
Se le oscillazioni fra luglio e novembre fossero dovute a fattori tecnici, come squilibri temporanei nei metodi di controllo, la tendenza di crescita dovrebbe collocarsi, più o meno, nel senso della linea tratteggiata. In questo caso non sarebbe sufficiente per recuperare quota rispetto ai paesi (europei e non) più avanzati; per ottenere quel risultato avremmo bisogno di una crescita più simile alle tendenza che sembrava esserci il luglio-agosto. Ma le oscillazioni mensili (che si notano anche in altri paesi) non sono facilmente interpretabili e possono essere dovute a vari fattori, anche tecnici. Solo gli andamenti su periodi più lunghi sono significativi. Dovremo aspettare i dati dei prossimi mesi per capire meglio qual è la tendenza. Che ci sia un andamento discontinuo è confermato dai dati di registrazione di nuovi domain pubblicati dalla registration authority italiana; ma purtroppo le loro statistiche sono aggiornate solo fino al luglio l998. Questo è un grafico che si trova su nic.it
Questo è landamento di crescita dei host internet in Italia e in Europa dallinizio di questanno:
Vediamo ora in forma grafica landamento italiano in confronto a quello europeo.
Purtroppo non risulta confermata la tendenza che sembrava rivelarsi fra aprile e agosto di questanno. La percentuale di host italiani rispetto allEuropa rimane al di sotto del "massimo storico" dellagosto 1997 (era allora il 5,2 per cento, oggi è il 4,7). Qualcuno pensa che la scarsa crescita di host italiani sia dovuta al fatto che alcune nostre imprese e organizzazioni si presentano con domain "americani" (.com o .org o .net). Questo secondo alcuni è dovuto alle difficoltà burocratiche dellautorità di registrazione italiana, secondo altri alla tendenza di imprese italiane a "travestirsi" e "vergognarsi della loro origine". Non credo che la dimensione di questo fattore sia tale da poter influire in modo significativo sullanalisi del hoscount in confronto ad altri paesi; in ogni caso non mi sembra che questo si possa considerare un fenomeno "sano", ma semmai come un ennesimo sintomo della nostra debolezza. Per concludere questa "parentesi numerica", vediamo un quadro aggiornato della densità della rete in 24 paesi europei:
La parte verde delle barre indica la crescita in un anno dal novembre 1997 al novembre 1998. La parte gialla della barra riguardante la Francia è una stima approssimata del fattore minitel. Non ci sono grandi cambiamenti rispetto al passato. Avevamo già notato nei mesi scorsi una forte crescita della Danimarca, dellOlanda e del Belgio. La Germania rimane, anche se di poco, al di sotto della media dellUnione Europea. Fra i "grandi paesi" si conferma il predominio della Gran Bretagna. LItalia è stata di nuovo superata dalla Spagna. In Francia è ancora limitato il trasferimento dellattività telematica dal minitel allinternet. |
Non vorrei ritornare sul tema delle campagne scandalistiche intorno allinternet,
di cui si è già parlato ampiamente nei numeri precedenti
di questa rubrica e in diversi altri articoli. Sembra che
le "crociate" contro la rete si siano un po calmate, almeno per il
momento; ma continua a circolare un curioso pregiudizio: e cioè che un tema dominante
nellinternet (o addirittura "il tema" più importante in assoluto) sia il
sesso. Sarebbe molto strano se un tema così diffuso e discusso in tutta la storia
dellumanità, e così onnipresente (anche a sproposito) nei "grandi mezzi"
di comunicazione tradizionale fosse assente nel mondo della rete. Sarebbe altrettanto
strano se nei dialoghi in rete non ci fossero anche schermaglie amorose e tentativi
di seduzione, che sono così spesso presenti in ogni comunità od occasione di incontro. Abbiamo sentito dire e ripetere allinfinito che "sesso e pornografia" (come se fossero la stessa cosa) sono i contenuti più diffusi in rete, o più spesso cercati da chi la frequenta. Chi ha approfondito largomento sa che non è vero. Parlavo di questo problema in un articolo più di due anni fa; il tempo è passato, ma la situazione non è migliorata. Sono state citate diffusamente sui giornali statistiche del tutto immaginarie... il 40 per cento (un po enfaticamente qualcuno ha scritto 80 per cento) della rete dedicata a "sesso e pornografia". Le analisi fatte da alcuni "motori di ricerca" dicono che le richieste con parole-chiave basate su "sesso" sono circa il 2 per cento: un indice sorprendentemente basso. Ho voluto personalmente verificare questa situazione e ho chiesto ad alcuni provider, che (in seguito a varie campagne scandalistiche e minacce di sanzioni) avevano chiuso laccesso ai newsgroup dedicati ad argomenti "sessuali", di quanto è diminuito il traffico dopo questa decisione. Se la frequentazione fosse stata quella di cui si parla, avrebbero necessariamente registrato una caduta immediata e chiaramente visibile. La risposta è stata "nessuna diminuzione rilevabile". Insomma anche questa, benché infinitamente ripetuta, è quella che in gergo giornalistico si chiama una "bufala". Qualcuno potrebbe chiedersi perché mi soffermo su un argomento apparentemente "futile". I motivi sono due. Il primo è che abbiamo una verifica precisa che ci permette di misurare la falsità di ciò che è stato detto e ripetuto e questo ci dice quanto poco attendibili siano molte "informazioni" diffuse, su qualsiasi argomento ma specialmente su cose nuove e poco capite come la rete. Il secondo è che la presenza di materiale ritenuto "indecente" è il pretesto più diffuso per tenere le persone (specialmente le famiglie) lontane dalla rete; e per proporre regole e censure che ne possono limitare la libertà. |
Come ho già detto, molto spesso le voci di
persone concretamente attive nella rete dicono semplici verità che non affiorano nei
congressi o nelle pubblicazioni più o meno trionfalistiche. Non sempre queste
affermazioni sono scritte; e non sempre ottengo il permesso di pubblicarle. Ringrazio Nicola Salvi per
avermi autorizzato a citare queste sue interessanti e sincere osservazioni.
Ho poco da aggiungere. Che nessuno abbia esperienza, è ovvio: questo è un fenomeno troppo nuovo perché chiunque possa definirsi "esperto" ed è in continua evoluzione. Limportante è capirlo e ammetterlo; perciò agire con quella pazienza e quella volontà di sperimentazione che è necessaria in un nuovo territorio. Se le imprese sono confuse e diffidenti, non è solo perché molti venditori propongono formule semplicistiche e ripetitive (quindi, per ipotesi, sbagliate) ma anche perché da "pulpiti" molto solenni si predicano certezze che nessuno può avere. Lunico modo per uscire dal circolo vizioso è ripartire da zero. Quali sono le esigenze dellimpresa? Quali le possibilità di migliorare la sua efficienza e la sua capacità competitiva con gli strumenti di comunicazione resi possibili dalle nuove tecnologie? Quali i valori di servizio? Quali le sinergie? Questa analisi è molto meno complessa in pratica che in teoria (il numero delle variabili teoriche tende allinfinito, nella realtà di ogni singolo caso si riduce a pochi fattori ben identificabili). La cosa sconcertante è che non viene fatta quasi mai. Le imprese si sentono dire "devi mettere su un sito web", senza una definizione chiara di come o perché; e poi ci si mette a infarcire il sito di "cose qualunque" per giustificarne lesistenza. Lovvia conseguenza è che esitano a farlo, perché non capiscono a che cosa serva; e se lo fanno i risultati sono deludenti. Per seguire il percorso corretto (che è esattamente il contrario) non è necessario avere unesperienza che praticamente nessuno ha, né conoscenze tecniche molto complesse. Basta una forte dose di buon senso. Ma devo dire che anche le imprese si comportano in modo bizzarro. Chi mai metterebbe su una vetrina senza uscire per strada e vedere che effetto fa? Come si spiega che qualcuno mi chieda "dimmi che cosa pensi del mio sito web" quando mi basta una rapida occhiata per accorgermi che nessuno, in quellazienda, è mai andato sul sito guardandolo con gli occhi di un visitatore? Perché alcune grandi imprese, che offrono informazioni interessanti, hanno dato al loro sito una struttura così barocca da renderlo inesplorabile, così che se proprio si vuole trovare qualcosa è meglio andar fuori e tentare con un motore di ricerca esterno? Perché una signora intelligente, che ho incontrato ieri sera in casa di amici, mi dice che la sua azienda sta per andare online e quando le chiedo perché mi risponde "Non lo so, ma dicono tutti che devo avere un sito"? Dovrà pur venire il giorno in cui smetteranno le fanfare trionfalistiche e le imprese si sentiranno dire la semplice verità: non fare nulla in rete, né con linformatica, se prima non hai stabilito bene che cosa vuoi fare e perché e se non hai definito come controllerà, passo per passo, i risultati. |
Un interessante articolo pubblicato recentemente da Clay Shirky, Dont believe the
hype, mette vigorosamente e spiritosamente laccento sulla continua
proliferazione di "innovazioni tecniche" mirabolanti quanto inutili. Eccone una
sintesi.
Queste osservazioni mi sembrano interessanti. I punti fondamentali, secondo me, sono tre. Che molte presunte "innovazioni" tecnologiche sono inutili, se non dannose. Che le soluzioni aperte e compatibili sono molto meglio dei sistemi chiusi. E soprattutto che la rete è fatta di persone; tecnologie e servizi sono utili soltanto se soddisfano le loro reali esigenze. |
Il problema della scarsa diffusione della rete in Italia è arrivato anche
allattenzione delle autorità politiche. Si parla di "incentivi" e di
"agevolazioni". Non vorrei ripetere ciò che ho scritto nel numero di dicembre di Web Marketing Tools con il titolo Timeo Danaos et incentiva ferentes, e più ampiamente in un articolo (lo stesso che ho citato allinizio) a proposito del convegno AIIP, in cui si è parlato anche di questi argomenti. Vorrei solo aggiungere che se è giusto cercare di agevolare la diffusione della rete nelluso privato, cioè nelle famiglie (e così favorire lo sviluppo del "commercio elettronico" in Italia) mi sembra che si debba pensare anche al mondo delle imprese, e particolarmente delle "piccole e medie", specialmente per quanto riguarda lesportazione. Nella situazione attuale è probabile che una diffusione degli acquisti in rete vada in gran parte a favore di imprese internazionali (specialmente americane) che hanno più risorse ed esperienza in questo campo. Certo non è giusto porre limiti alla libera concorrenza, ma se da un lato si "agevola" il mercato di importazione mi sembrerebbe giusto non trascurare quegli interventi che possano aiutare le imprese italiane a usare la rete per rinforzarsi e crescere su scala mondiale. È un argomento un po troppo complesso per poter essere svolto qui ma mi sembra che meriti un approfondimento. |
Confesso che non mi ero mai soffermato su questo problema, fino a quando me lha
posto un funzionario di una grande impresa, che segue con particolare attenzione
luso della rete. La domanda non mi sembra irrilevante. È giusto che ci si possa
servire, per uso personale, dellindirizzo e-mail di unimpresa o
di un ente pubblico o di qualsiasi altra organizzazione? Secondo me la risposta è no. È abitualmente consentito usare per motivi personali il telefono dellufficio. Ma non credo che questo criterio si applicabile alle-mail: perché si tratta, appunto, di posta. Cioè è come scrivere una lettera privata sulla carta intestata dellufficio. Meglio quindi avere due mailbox diverse. Questo, fra laltro, risolve anche un problema di privacy: perché è legittimo che unimpresa legga e controlli la posta dei suoi dipendenti quando si tratta di cose dufficio, ma non è ammissibile che controlli la corrispondenza privata. Daltro lato, credo che sia molto consigliabile per le imprese incoraggiare i propri collaboratori a fare uso privato della rete, e così imparare a conoscerla meglio. Le soluzioni possono essere semplici e non particolarmente costose. Unimpresa può abbastanza facilmente raggiungere unintesa con un provider per poter offrire a ognuna delle sue persone un doppio indirizzo di posta elettronica. Questo può sembrare un piccolo dettaglio, ma credo che non lo sia. La chiarezza delle identità e il rispetto dei ruoli sono elementi importanti nella civiltà della rete. |