Home
Scritti brevi
Saggi
Articoli
Didattica
Tesi

Libri

Links

Altrove

Oltre la ratio instrumentalis: l'azione estetica (1)

Fabio D'Andrea


1. Verso una conoscenza integrata

Ci si trova nuovamente in clima di crisi della sociologia, anche se, stavolta, la disciplina si trova in ottima compagnia. È il caso, perciò, di tentare un superamento dei vecchi scogli contro cui la speculazione si è sempre arenata; di cercare una via attraverso le secche dell'ovvietà che hanno reso per anni tabù la critica di certi capisaldi teorici. Oggi è forse possibile rimettere in discussione il primato della ragione strumentale ed utilitarista, minato alle fondamenta dagli insuccessi cui ha condotto e tentare al tempo stesso di reagire alle forti pressioni che vorrebbero sfruttarne la débacle per accelerare la corsa del pendolo verso l'altra faccia della medaglia: un irrazionalismo nutrito di superstizione ed ignoranza che avrebbe però il pregio di costituire un efficace strumento di potere.

Quel poco che la storia insegna è che ogni reazione ha saputo solamente portare all'eccesso opposto, lavorando inconsciamente per una riaffermazione - nel medio-lungo periodo - dei valori contro cui si batteva: non è quindi svalutando unilateralmente la ratio instrumentalis che sarà possibile elaborare un'uscita dall'attuale dedalo, né tantomeno continuando imperterriti a proclamarne i trionfi, indifferenti alla loro pressoché totale mancanza di significato (1). Con uno sforzo di umiltà e di saggezza è piuttosto il caso di prendere atto, una volta per tutte, che l'avventura occidentale - pur affascinante - rappresenta solamente una parte dell'esperienza possibile, quella che il Tao chiama con felice espressione "conoscenza convenzionale" (2); mentre esistono immensi territori - né migliori, né peggiori, ma diversi - dove la mentalità europea non ha saputo inviare che sparuti esploratori e la cui frequentazione è tuttavia fondamentale per un equilibrato sviluppo spirituale e culturale (3).

Sorokin elabora una distinzione epocale che esprime e tematizza l'alternanza proposta: esisterebbero periodi "sensualisti", in cui prevale un'ispirazione conoscitiva che privilegia i dati sensibili, l'intuizione e l'immaginazione, e periodi "razionalisti" (4). Maffesoli riprende l'ipotesi, sfumandone però la radicalità: come nel famoso simbolo orientale in cui un cerchio è diviso in due zone - una bianca, una nera - che però contengono al proprio interno un punto del colore opposto; in ogni periodo storico la supremazia di un modo di pensiero è tendenziale, sopravvivendo l'altro in settori marginali della società. Ogni forma predominante subisce poi un processo di "saturazione" (5) per cui esaurisce il proprio slancio, diviene troppo ingombrante per il corpo sociale e viene sostituita dall'altra, prendendone il posto nei terrains vagues della cultura. Ci si troverebbe ora, secondo il sociologo francese, in una fase di ritorno del pendolo verso un'epoca "tattile" (6) o "estetica" (7), dove si potrebbe perfino ipotizzare il superamento del "regime schizofrenico" (8) proprio del razionalismo post-illuministico, che ha comunque caratterizzato da sempre il pensiero giudeo-cristiano ed ha - per il suo tramite - intimamente compenetrato la cultura occidentale (9); superamento verso "una composizione tra ragione e passione", una "logica della conoscenza sensibile" che veda nei sensi "il motore essenziale della "costruzione sociale della realtà" (10) ed attribuisca ad ogni strumento il giusto campo di utilizzo. Meglio, impieghi le due visioni complementari per giungere ad una migliore descrizione della realtà.

Ad un simile esperimento giova senz'altro un'apertura interdisciplinare, un respiro che sappia cogliere lo Zeitgeist nelle sue molteplici manifestazioni, delineando quella che Maffesoli chiama "ambiance" (11). Si applicherà tale approccio ad un abbozzo di analisi della situazione del soggetto nell'ipercomplessità, suggerendo di ampliare la tradizionale categorizzazione weberiana dell'azione sociale con un nuovo tipo che permetta di prendere in considerazione anche comportamenti finora sfuggiti all'osservazione.

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

2. Il soggetto nella tarda modernità

"Un cervello voluminoso, si potrebbe pensare, serve per superare le difficoltà," (12) constata Nicholas Humphrey, psicologo sperimentale e divulgatore scientifico, enunciando in pratica il credo occidentale. Allo stesso modo in cui gli epigoni del razionalismo vorrebbero ridurre la creatività al problem solving (13), al termine "difficoltà" si predica implicitamente l'aggettivo "pratiche": "I gorilla, dunque, dovrebbero essere animali dotati di intelligenza molto spiccata, e i test condotti in cattività lo confermano" (14). Si tratta di un'equazione molto semplice: cervello sviluppato = capacità di superare situazioni pratiche problematiche.

Secondo la teoria evoluzionista, inoltre, gli organi si sviluppano quando ce n'è necessità, in termini di adattamento all'ambiente e competizione per l'accaparramento delle sue risorse. Riunendo questa e la considerazione precedente, si ottiene il seguente ragionamento: se i gorilla hanno un cervello molto più sviluppato di quello delle altre specie animali - da cui ha avuto probabilmente origine, attraverso aggiustamenti e perfezionamenti successivi, il nostro stesso cervello - ciò vuol dire che l'ambiente in cui vivono presenta delle difficoltà pratiche superiori, per risolvere le quali v'è bisogno di uno strumento più raffinato e versatile.

La routine giornaliera dei gorilla è, invece, troppo semplice e prevedibile (15): Humphrey, psicologo e neodarwiniano, recatosi a studiarli in Ruanda insieme a Dian Fossey, ne è profondamente perplesso. Il tran-tran giornaliero non giustifica apparentemente in alcun modo lo sviluppo ipertrofico del loro cervello. In qualche punto del ragionamento precedente si deve nascondere un trabocchetto, perché se la vita dei gorilla non comportasse sfide di un qualche genere, l'intero sistema darwiniano ne verrebbe messo in discussione.

L'ostacolo, come Humphrey scopre di lì a poco, è nell'aggettivo implicito che l'Occidente insiste a predicare di ogni azione: pratica. Mantenendolo nell'argomentazione, questa è insostenibile, perché i gorilla non incontrano mai difficoltà pratiche. Sopprimendolo, viceversa, le tesi di Darwin trovano una brillante conferma, perché i gorilla hanno sviluppato la propria intelligenza e l'organo ad essa deputato per superare difficoltà di un altro genere: "La mia mente," dice Humphrey, "(quando non riflettevo sui gorilla) era affollata da problemi insoluti riguardo ai miei problemi con il prossimo [...] Improvvisamente vidi i gorilla con occhi nuovi e mi resi conto che, anche per loro, i problemi dovevano essere soprattutto sociali" (16).

La necessità di poter mediare l'interscambio - in questo caso perfettamente "estetico", nel senso dello stare-insieme (17) - con abilità, in modo da formare e mantenere un gruppo sociale stabile, è la molla da cui ha probabilmente avuto origine la civiltà; ponendo mente al fatto che "le società umane sono infinitamente più ricche, stabili e psicologicamente impegnative di qualsiasi altra società esistente in natura" (18), si può avere un'idea della maestria interattiva che richiede il semplice farne parte. Una maestria assimilata sin dalla nascita che, essendo uno strumento indispensabile di vita, si cela sotto i panni ovvi del banale, ma non per questo è meno reale e significativa, dalle società più semplici all'ipercomplessità contemporanea: "La società civile, in preda ai venti dell'innovazione venne percorsa da forze apparentemente impersonali quali il denaro, il commercio, la scienza, la religione, la guerra. Ma gli esseri umani nell'occhio di questo ciclone erano una nuova stirpe? Avevano perso quella dipendenza dall'interazione reciproca che caratterizza la vita dei boscimani? Niente affatto [...]. Negli ultimi millenni la storia del consorzio umano è stata la storia di ciò che gli uomini si sono detti l'un l'altro, di ciò che essi hanno pensato l'uno dell'altro, di rivalità, di amicizie, di ambizioni personali e nazionali: con ripercussioni tanto sui mutamenti politici, religiosi e culturali, quanto sull'evoluzione della vita materiale all'interno della società. Il progresso tecnologico non si verifica casualmente, ma germoglia sul fertile terreno dei rapporti sociali" (19).

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

Oggi molte voci si levano, da campi disciplinari diversi, a riprendere quello che è stato un leitmotiv della sociologia di Georg Simmel: un'attenzione al soggetto che prescinde, nelle sue argomentazioni, dalle interferenze ed apparenti distorsioni causate dalla considerazione preventiva ed anelastica delle limitazioni imposte al comportamento soggettivo dalla struttura istituzionale sociale; un'attenzione alla microinterazione come fondamento invisibile dell'edificio societario. Di fatto, come Maffesoli ha intuito da tempo, l'azione del singolo è sì limitata da norme e modelli, ma in modo diverso da quello teorizzato sinora: l'attore - l'uomo della strada - oltre a conformarsi al dettato strutturale, utilizza "un'astuzia" (20) innata per aggirarne gli inconvenienti, sottraendosi agli obblighi e navigando nel sociale sotto mentite spoglie. In questo modo egli riesce a preservare una sfera libera da interferenze ed è soggettivamente e socialmente creativo ed immaginale.

Questa intuizione è stata elaborata e smussata di alcune asperità da Mongardini nel suo Saggio sul gioco (21). Mongardini propone di impiegare il concetto di "gioco" per lo studio e la descrizione del sociale contemporaneo in un'ottica che superi l'eccessiva attenzione alla "società" per riportarsi ai processi che la creano e ricreano incessantemente: "Mentre fino alla fine del secolo scorso questo concetto [di 'società'] viene utilizzato con molta cautela, da allora in poi esso diviene dominante. Prima la concettualizzazione si limita a fissare le categorie che consentono di pensare la 'società', poi, a partire dagli anni '20, l'immagine di società e di sistema sociale si afferma come l'interesse dominante della rappresentazione sociologica. Dopo gli anni '50 il concetto rappresenta l'ideologia attraverso la quale l'illuminismo americano impone all'Europa i suoi schemi di pensiero. Infine oggi si può dire che quasi tutte le tendenze totalitarie si raccolgano sotto l'idea di società. Quando si farà la storia di quest'idea, si vedrà quanto essa, muovendo gli interessi conoscitivi su una percezione dell'insieme e dell'unità parzialmente fuori dall'esperienza, abbia impedito la conoscenza di ciò che è propriamente società, cioè dei processi attraverso i quali l'individuo si associa con l'altro e si dissocia dall'altro. Se l'immagine di società ci riporta all'unità, la realtà ci riporta al cambiamento. La società in senso stretto è il processo attraverso il quale mutano le forme associative degli uomini" (22).

Il gioco, dal punto di vista di Mongardini, riesce meglio a render conto di questo aspetto processuale del reale in quanto rappresenta "il margine di libertà dell'attore e l'elemento di indeterminazione come elemento essenziale per la comprensione dei processi sociali" (23). Superando i problemi posti dalle varie teorie della struttura e della strutturazione, il gioco può spiegare il mutamento - tanto evidente ormai da esser anch'esso divenuto banale e quotidiano - incorporando in sé l'aspetto di gioco tra le regole e gioco con le regole: l'utilizzo delle possibilità di azione e non-azione sancite normativamente e la ridiscussione continua ed implicita nel quotidiano della validità di tali sistemi normativi (24).

Al di là degli aspetti più puntuali della teoria di Mongardini, quel che importa in questo contesto è l'accento da essa posto sulla "ambivalenza fondamentale con la quale l'attore si presenta sulla scena" (25): ruolo ed "oltre da" in Simmel, astuzia e ragione in Maffesoli, consenso e dissenso dalle norme in Mongardini. Si tratta di altrettante icone scientifiche che vogliono sottolineare l'aspetto "indescrivibile" del soggetto e della sua azione, rappresentandolo come un gioco di luci ed ombre che non può essere discorsivamente ridotto all'una o all'altra componente, ma che va preso in considerazione, dalle scienze sociali, come un unicum.

L'affermarsi di questo punto di vista presso esponenti di rilievo della sociologia contemporanea è al tempo stesso segno ed agente del crollo delle granitiche certezze moderne relative al Soggetto: "L'epoca conclusiva della modernità effettua la dissipazione di questa principale categoria portante del moderno, che viene mostrata "s-fondata" (priva di fondamento) e "s-paesata" (priva di patria) [...] Riassumiamo il tutto con la nota affermazione di Nietzsche (padre privilegiato del postmoderno): "L'Io è divenuto, una favola, una finzione, un gioco di parole" (26). Sono intuizioni che l'arte ha tratto dal reale con considerevole anticipo, come sottolineano i sempre attuali aforismi nietzscheani e come ricorda la celeberrima formula di Rimbaud, "Je est un autre"; col tempo e col variare delle cose, comunque, anche la sociologia si trova a dovervi fare i conti. Le tante, screditate certezze sono ora viste come prodotti della cultura; idee elaborate dagli uomini per rispondere al bisogno di un punto fermo di fronte all'instabilità della condizione umana; strumenti che dovrebbero aiutare a far fronte agli aspetti che più rivelano l'impermanenza della vita (27).

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

Per Morra il loro crollo riverbera una situazione di apatia e di inconsistenza generalizzata della realtà, che si trasforma nella sua immagine discorsiva e poi svanisce nel flusso infinito ed ipnotico delle interpretazioni (28). La tarda modernità è il non-luogo della cultura dell'istante, il quale tuttavia, in questa nebulosa, subisce una crudele trasformazione: per Nietzsche, padre putato del postmoderno, esso significa la possibilità di sentire in modo non storico, il presupposto dell'azione e della felicità: "Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dell'attimo dimenticando tutte le cose passate, chi non è capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cosa sia la felicità, e ancor peggio, non farà mai alcunché che renda felici gli altri" (29). Niente di rinunciatario, né di paralizzato nelle fulminazioni del filosofo. Tutto diverso è invece il discorso per Morra: l'istante postmoderno deriva esattamente dall'etimo latino, da instare; esso è "il tempo presente e incombente, che preme e minaccia: un tempo, dunque, che va colto e consumato, anzi 'ammazzato'" (30).

Altri punti di vista sono decisamente meno pessimisti, sembrano anzi riscoprire la vena entusiasta del Nietzsche profeta. Prandstraller, ad esempio, tratteggia nel suo ultimo lavoro, L'uomo senza certezze e le sue qualità, l'identikit del nuovo abitante dell'instabile: è un tipo problematico da amministrare per i vecchi sistemi di dominio fondati "sulla gestione dell'immutabile, dell'eterno, del conclusivo", perché pare abituato a pensare all'esistenza "senza fondamenti assoluti" (31). Sembra di conseguenza incorporare una certa carica rivoluzionaria, ponendosi come "l'individuo geniale" (32) di Tarde nella sua vivente dimostrazione della possibilità e positività del "privare di rilievo la veste funzionale" della certezza; se ne configura quindi un probabile "acuto contrasto" (33) con coloro che, manipolando certezze, godono di potere su chi non ha ancora compreso la loro illusorietà.

Per l'uomo senza certezze "l'individuo ha uno statuto estremamente incerto e un destino interamente consumabile; è un'accidentalità evanescente, effimera. E priva della possibilità di riconoscere un senso obiettivo al proprio esistere" (34). Deve perciò darsi dei fini e trascorrere la vita costruendosi e guardandosi cambiare con ironia, consapevole dell'insufficienza ed inadeguatezza di qualsiasi definizione. Quest'ironia, che Prandstraller ritiene una delle migliori qualità dell'uomo senza certezze, si applica, però, a tutto tranne che all'ideologia produttivistica che sembra la materializzazione degli errori finali della modernità. L'uomo di Prandstraller continua a ritenere che la scienza sia il metodo privilegiato di conoscenza e considera questa nuova conoscenza cangiante che viene accumulando essenzialmente come un mezzo di produzione (35). Il rivoluzionario di pocanzi diventa così, per una strana alchimia, un perfetto ingranaggio di quel sistema cui era parso inizialmente una terribile minaccia, un forzato alle prese con un'infinita partita con il sapere: "Le culture dell'incertezza devono placare, quotidianamente e senza requie, questo bisogno [di sapere] che non esenta nessuna età, né la più acerba, né la più tarda. Non è difficile intendere quale significato assuma questo fatto appena lo si mette in relazione con l'idea che il sapere è un mezzo di produzione capitale: vuol dire semplicemente che il confronto cognitivo non ha soste, che la sua stessa natura contiene gli ingredienti d'una certa spietatezza" (36). Immagini dantesche che fanno sospettare che il superamento della necessità della certezza sia più che altro una pia illusione: se l'incertezza genera un tale, sconvolgente bisogno di sapere significa che, alla Certezza, Prandstraller ha sostituito tante piccole certezze effimere e che al suo uomo, in loro balia, rimane poco tempo per vivere questa "vita-flusso" in cui dovrebbe - concretamente - dedicarsi al perseguimento di "benessere" e "felicità" (37): in pratica non restano che le briciole avanzate allo schiacciante processo di aggiornamento perpetuo - i pochi secondi della corsa del masso che preludono alla rinnovata ed inutile fatica di Sisifo.

Per sfuggire a questo infausto destino c'è probabilmente bisogno di nuovi strumenti. Senza ulteriori aggiunte, tuttavia, questa frase ricorda troppo un assioma finora indiscusso che sembra aver preso alla lettera il famoso detto "datemi una leva e vi solleverò il mondo"; da troppo tempo la fiducia occidentale è rivolta esclusivamente a mezzi esterni d'azione, la cui innegabile utilità si è così viziata secondo quella che ormai può definirsi come una dinamica tendenziale di quest'approccio culturale: si tratta di ciò che Horkheimer e Adorno hanno chiamato "dialettica dell'illuminismo", il meccanismo per cui quel che la ragione strumentale divisa per il progresso dell'uomo, si ritorce - nel medio-lungo periodo - contro di lui: "Il male non è nel ritardo degli individui sulla società o sulla produzione materiale [...]. Viceversa l'adattamento alla potenza del progresso - o al progresso della potenza - implica sempre di nuovo quelle formazioni regressive che convincono il progresso del suo contrario. La maledizione del progresso è l'incessante regressione" (38).

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

Una teoria che non tenga nel debito conto quanto di utile e positivo comporta la ricerca scientifica e tecnologica può forse rivelarsi uno sprone utopico, ma non serve certo ad orientarsi nei nuovi panorami che - come Sirene - attraggono e minacciano l'uomo. È più utile, in tali circostanze, un atteggiamento che apprezza e teme, un'ambivalenza che la sociologia attuale è giunta a considerare costitutiva della natura umana (39); che è stata in primis teorizzata ed esemplificata nell'opera di Simmel e che sovente, durante il "purgatorio", gli è stata imputata come peccato capitale: "Di fronte alla modernità, ed al denaro, l'atteggiamento di Simmel appare assai ambivalente, egli è nello stesso tempo attratto e respinto dalla modernità. E non si tratta soltanto di un'ambivalenza tra sentimenti e ragione, l'ambivalenza si insinua all'interno dei sentimenti e dei ragionamenti e solo il mantenimento di un certo distacco e di una certa distanza dall'oggetto consentono a Simmel di giostrare nell'ambivalenza e, addirittura, di utilizzarla come un principio euristico" (40).

In Melucci si ritrova lo stesso modo di porsi dinanzi al reale: senza preclusioni, ma in guardia, conscio che in tutto si cela il suo contrario e che quel che sembra indispensabile può trasformarsi in una droga velenosa che dà apatia ed assuefazione. Per la nuova avventura è indispensabile una nuova mente e nuovi occhi che sappiano leggere segni per un lungo periodo derisi e svalutati; che sappiano osservare la realtà senza imporle veli più o meno coscienti, utili - forse - nel breve periodo, nella prospettiva miope che ha caratterizzato gli ultimi anni, ma alla lunga pericolosi. Può darsi che la cultura occidentale, vittoriosa come Pirro sui panorami mondiali, debba infine recitare un dovuto, sebbene intempestivo, mea culpa e tornare a cercare saggezza nella soffitta dei tanti saperi economicamente inutili, ma umanamente fondamentali che ha per troppo tempo rimosso e squalificato: "Per poter vivere la discontinuità e l'eterogeneità dei tempi e degli spazi ci è richiesta una capacità di unificazione dell'esperienza che non può essere solo quella della razionalità strumentale. Il passaggio da un tempo all'altro, la frammentazione, l'imprevedibilità sfuggono al sapere per cause e connessioni, ai criteri dell'efficienza, alla logica del calcolo razionale. Richiedono invece lo sviluppo di qualità di percezione immediata, di consapevolezza intuitiva, di immaginazione, che sono state patrimonio delle culture tradizionali. L'interesse contemporaneo per la saggezza di queste culture è, al di là della moda, un segno significativo del bisogno di unificare l'esperienza su un registro che non sia unicamente quello della razionalità diretta allo scopo" (41).

Essenziale alla riuscita di questo difficile processo di riconquista del reale è, una volta di più, la maestria sociale. L'interazione assurge, infatti, in questa concezione, al posto più alto tra i valori sociali. Motore della vita in comune, essa è anche la fucina nella quale si forgia la propria immagine di se stessi e, d'altro canto, il luogo di una tensione irrisolta ed irrisolvibile che - come un nucleo d'uranio - non smette di irrigare e conferire energia al sociale. Si tratta del fenomeno che già Simmel aveva esaminato nel suo breve saggio su La moda (42), a dire l'inestricabile commistione, nel singolo, di esigenze di imitazione e differenziazione; categorie che ricompaiono nel Saggio sul gioco di Mongardini come "rischio" e "sicurezza istituzionale" (43) e nello scritto di Melucci come "autoidentificazione" ed "identificazione che viene dall'esterno" (44). Si tratta dei due vettori comportamentali, sincronicamente operanti, per cui da un lato ci si uniforma più o meno consciamente ad alcune istanze sociali; dall'altro si gestisce questa base comune per ribadire il più possibile la propria fondamentale unicità (45). Questo vale per l'azione sociale come per l'azione razionale orientata ad un fine.

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi Vai alla seconda parte Continua saggio

Note

(1) C. Mongardini, La cultura del presente, Milano, FrancoAngeli, 1993, pp.83-90. Torna al testo.

(2) Cfr. A. W. Watts, La via dello zen, Milano, Feltrinelli, 1993, pp.20-21. Torna al testo.

(3) "La generale tendenza della mentalità occidentale è di ritenere che noi siamo in grado di capire veramente solo ciò che possiamo rappresentare, ciò che possiamo comunicare, per mezzo di segni lineari - per mezzo del pensiero [...] Se vogliamo trovare una spiegazione a tale caratteristica del pensiero [di tradurre la realtà 'una cosa per volta'] il senso della vista offre una suggestiva analogia. Infatti noi siamo forniti di due tipi di visione: quella centrale e quella periferica. La visione centrale serve per una operazione accurata come la lettura [...] La visione periferica può ammettere molte cose in una volta [...] Non vogliamo dire che gli occidentali non si servono addirittura della 'mente periferica' [...] ma ciò non è degno di considerazione da un punto di vista accademico o filosofico. Noi abbiamo a malapena co-minciato a renderci conto delle possibilità della mente periferica e di rado ci sovviene che uno dei suoi usi più significativi riguarda quella 'conoscenza della realtà' che ci ingegniamo di ottenere con incomodi calcoli di teologia, metafisica e deduzione logica", ivi, pp.24-26. Torna al testo.

(4) Cfr. P. Sorokin, Social and Cultural Dynamics, Boston, Hopkins, 1957, pp.24-28. Torna al testo.

(5) M. Maffesoli, Au creux des apparences, Paris, Plon, 1990, p.64. Cfr. anche id., Il tempo delle tribù, Roma, Armando, 1988, pp.14; 50; id., Révolution et socialité: d'un imaginaire à l'autre, in C. Mongardini - M. L. Maniscalco (a cura di), L'Europa moderna e l'idea di rivoluzione, Roma, Bulzoni, 1990, p.142. Torna al testo.

(6) M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, op. cit., p.50. Torna al testo.

(7) Cfr. M. Maffesoli, Au creux des apparences, op. cit., pp.25-38. Torna al testo.

(8) G. Durand, Beaux-arts et Archétypes, Paris, PUF, 1989, pp.18; 246; 250. Torna al testo.

(9) "Dal punto di vista [del pensiero taoista e confuciano] la diffidenza occidentale nella natura umana (sia teologica che tecnologica) appare come una specie di schizofrenia [...] Per quanto religiosamente 'emancipata', la mente tecnologica mostra di aver ereditato la medesima discriminazione ai danni di se stessa quando tenta di assoggettare l'intero ordine umano al controllo della ragione cosciente", A. W. Watts, La via dello zen, op. cit., pp.37-38. A parziale superamento delle stereotipate obiezioni che si rivolgono ai tentativi di utilizzo di materiali provenienti da tradizioni di pensiero così diverse dall'occidentale, si propone la considerazione di un aforisma nietzscheano: "Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami 'spirito', un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione. 'Io' dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non vuoi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non dice 'Io', ma fa 'Io'", F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Milano, Adelphi, 1991, p.34. Il "concreto più estremo" (Benjamin) è il concreto al di là di ogni resa verbale, che prescinde radicalmente da ogni definizione dualizzante e di cui si può avere solo un'esperienza diretta ed estetica: "Varie risposte sono state date da differenti maestri alla domanda 'che cosa è il Budda?'... Nessuna, comunque, può superare quella di T'ung-shan, 'Tre libbre di lino,' nella sua irrazionalità che annulla ogni passaggio speculativo", D. T. Suzuki, cit. in A. W. Watts, La via dello zen, op. cit., p.140. Torna al testo.

(10) M. Maffesoli, Au creux des apparences, op. cit., p.65. Traduzione mia. Torna al testo.

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

(11) M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, op. cit., p.7 e sg. Si intende in questo caso applicare il metodo definito da Durand "convergenza": "La convergenza ritrova delle costellazioni d'immagini, simili termine a termine, in domini diversi del pensiero. La convergenza è un'omologia più che un'analogia. L'analogia è del tipo A sta a B come C sta a D; mentre l'omologia è più simile a A sta a B come A' sta a B'. In questo ancora ritroviamo il carattere di semanticità che è alla base di ogni simbolo e che fa sì che la convergenza giochi maggiormente sulla materialità di elementi simili piuttosto che su di una semplice sintassi. L'omologia è più equivalenza morfologica, o meglio strutturale, che non equivalenza funzionale", G. Durand, Les structures anthropologiques de l'imaginaire, Paris, Dunod, 1990, pp.40-41. Traduzione mia. Torna al testo.

(12) N. Humphrey, L'occhio della mente, Torino, Instar Libri, 1992, p.33. Torna al testo.

(13) "Più che alla soluzione dei problemi, dove la risposta si trova già all'interno del problema stesso, ci è già oggi richiesto di applicare le nostre capacità creative alla formulazione di nuove domande. La tendenza ad identificare la creatività col problem solving rischia di mettere in ombra che la produzione creativa non comporta necessariamente la soluzione di problemi, mentre richiede sempre una ristrutturazione del campo a livello dell'interrogazione", A. Melucci, Il gioco dell'io, Milano, Feltrinelli, 1992, pp.145-146. Torna al testo.

(14) N. Humphrey, L'occhio della mente, op. cit., p.33. Torna al testo.

(15) "Al mattino, mai troppo presto, essi si alzano dal giaciglio che avevano preparato per la notte e cominciano a nutrirsi di rampicanti, germogli di bambù o sedano selvatico, quindi si avviano per uno dei sentieri abituali, lungo il quale trovano cibo in abbondanza. Di tanto in tanto si riposano al sole appisolandosi e rimuginando i propri pensieri, poi compiono un altro breve tragitto, si fermano di nuovo per mangiare e alla fine cercano un luogo adatto a costruirsi un nido di rami e foglie dove trascorrere comodamente la notte. Non è certamente una brutta vita. Anzi, si direbbe una vita molto facile. Poco da fare, a prima vista, se non nutrirsi, dormire e giocare", ivi, pp.32-33. Torna al testo.

(16) Ivi, p.36. Torna al testo.

(17) M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, op. cit., p.112. Torna al testo.

(18) N. Humphrey, L'occhio della mente, op. cit., p.39. Torna al testo.

(19) Ivi, pp.48-49. "Le minuscole situazioni concrete […] si congiungono per produrre una vita quotidiana che sfugge sempre più alla tassonomia semplificatrice alla quale ci aveva abituati un certo positivismo riduttore. La loro sinergia produce una società complessa che merita, a sua volta, un'analisi complessa", M. Maffesoli, Il tempo delle tribù, op. cit., p.26. Torna al testo.

(20) "Questo giocare d'astuzia non è un atteggiamento di oggi, ma lo si potrebbe definire una struttura antropologica che, attraverso le storie umane, fa da vero e proprio scudo verso le aggressioni del potere esterno", M. Maffesoli, La conquista del presente, Roma, Ianua, 1983, p.69. Corsivo mio. Torna al testo.

(21) C. Mongardini, Saggio sul gioco, Milano, F. Angeli, 1989. Torna al testo.

(22) Ivi, p.13. Torna al testo.

(23) Ivi, p.15. Torna al testo.

(24) Cfr. ivi, pp.22-23. Torna al testo.

(25) Ivi, p.42. "L'atteggiamento duplice sta ad indicare il modo in cui un individuo trasforma il proprio condizionamento per renderlo vivibile", M. Maffesoli, La conquista del presente, op.cit., p.70. Torna al testo.

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi

(26) G. Morra, Il quarto uomo, Roma, Armando, 1992, p.20. Torna al testo.

(27) Cfr. G. Prandstraller, L'uomo senza certezze e le sue qualità, Roma-Bari, Laterza, 1991, p.11. Torna al testo.

(28) "Il pensiero postmoderno […] non è fondativo, ma interpretativo, cioè ermeneutico. Ma interpretativo di che cosa? Non certo della verità, ma solo del senso del discorso e del suo condizionamento ideologico […]. L'ermeneutica è la metodologia dell'istantaneità: essa non serve a capire, serve solo a capire che non si può, anzi non si deve 'capire' […]. Dato che l'essere non è, ma accade e si riduce al linguaggio con cui viene espresso, allora esso può essere solo interpretato", G. Morra, Il quarto uomo, op. cit., p.70. Torna al testo.

(29) F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, Milano, Adelphi, 1991, p.8. Si noti quanto questa concezione nietzscheana sia in armonia con quanto già detto a proposito delle obiezioni Zen al modello di processo decisionale occidentale: vedi supra, pp.10-11. Torna al testo.

(30) G. Morra, Il quarto uomo, op. cit., p.70. Torna al testo.

(31) G. Prandstraller, L'uomo senza certezze e le sue qualità, op. cit., p.8. Torna al testo.

(32) A. Izzo (a cura di), Storia del pensiero sociologico (I), Bologna, il Mulino, 1989, p.347. Torna al testo.

(33) G. Prandstraller, L'uomo senza certezze e le sue qualità, op. cit., p.8. Torna al testo.

(34) Ivi, p.55. Torna al testo.

(35) Cfr. ivi, pp.66-70. Torna al testo.

(36) Ivi, pp.69-70. Torna al testo.

(37) Ivi, pp.57-58. Torna al testo.

(38) M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 1966, p.44. Torna al testo.

(39) Vedi supra, p.7. Torna al testo.

(40) A. Cavalli, L. Perucchi, Introduzione, in G. Simmel, Filosofia del denaro, Torino, UTET, 1984, p.14. Torna al testo.

(41) A. Melucci, Il gioco dell'io, op. cit., pp.57-58. Torna al testo.

(42) G. Simmel, La moda, Roma, Ed. Riuniti, 1985; id., La moda e altri saggi di cultura filosofica, Milano, Longanesi, 1985, pp.29-52. Torna al testo.

(43) C. Mongardini, Saggio sul gioco, op. cit., p.22. Torna al testo.

(44) A. Melucci, Il gioco dell'io, op. cit., p.39. Torna al testo.

(45) La stessa dinamica viene riscoperta da Maffesoli nelle società complesse che "sono evidentemente politeiste, anche se un'atmosfera specifica le caratterizza e secernono uno 'spirito del tempo' particolare. Pur senza avere un'unità, possiedono tuttavia un'unicità certa, [dove] l'unità esprime un'entità chiusa ed omogenea (identità, individuo, Stato-nazione), mentre il concetto medievale di unicità traduce l'apertura, l'eterogeneità (identificazione, persona, poli-culturalismo)", M. Maffesoli, Au creux des apparences, op. cit., p.30. Traduzione mia. Torna al testo.

Torna all'inizio Su Scarica file .zip Scarica il file Torna a Saggi Torna a Saggi