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Oltre la ratio instrumentalis: l'azione estetica (2)

Fabio D'Andrea


3. L’azione estetica

Sembra possibile, sulla scorta di queste considerazioni, proporre l’aggiunta alla tradizionale ripartizione weberiana di un altro tipo di azione: l’azione estetica, intesa come azione volta ad instaurare quel "contatto (reliance)", quello "stare-insieme" che è probabilmente, nell’idea di Maffesoli, una Geselligkeit (46) più calda. "L’intelligenza finalizzata alla vita sociale è diversa da quella necessaria per cavarsela nel mondo materiale" (47) ed anch’essa ha bisogno di esprimersi in azioni, che si tratti della catarsi di un megaconcerto rock o dell’apparente abulia davanti al bar, dei lunghi silenzi al telefono o delle altrettanto lunghe chiacchierate a notte fonda. Riconoscere a questi comportamenti, sovente stigmatizzati, lo stesso status delle azioni tradizionalmente accettate può essere un primo passo per inserire nella teoria sociologica la materia viva che dovrebbe essere il suo oggetto; a ciò dovrebbe far seguito l’accettazione dell’esistenza di ruoli non sanciti normativamente e tendenti arazionalmente a soddisfare bisogni anch’essi arazionali, istintuali, emozionali. Ruoli il cui unico scopo sia il dissimulare l’essenziale differenza che ognuno cela nelle proprie profondità e che, per complesse dinamiche psicologiche, risulterebbe, nella sua terribile nudità, insopportabile all’altro. "Tutto ciò che è profondo ama la maschera," ha scritto Nietzsche, perché solo così può entrare senza traumi nel gioco del sociale e può trarne le energie e le sensazioni di cui ha bisogno.

Simmel, in uno dei passaggi più alti della sua speculazione, ha definito il mysterium fascinans et tremendum (48) che si cela in ogni uomo un "punto di individualità più profondo" (49), dal cui ignoto disordine scaturisce l’infinita complessità che costituisce il mondo attuale, in una dinamica "contraddittoriale" (50) tra ruolo ed "oltre da", come da lui teorizzati in Come è possibile la società? (51). Nietzsche, avendo rinunciato agli strumenti razionali per esplorare queste regioni, esprime lo stesso concetto in un aforisma tra i più belli della sua sterminata produzione: "Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. Io vi dico: voi avete ancora del caos dentro di voi" (52).

Secondo Simmel solo l’approssimazione più o meno empatica può permettere al soggetto di superare l’abisso costituito da questo grumo di caos, in un contatto il più delle volte labile ed effimero. Altri autori, più recenti e meno legati – nonostante tutto – a certi pregiudizi, indicano vie più creative e possibili a questo superamento, nella riscoperta e rivalutazione di altre forze che sembrano anch’esse aver lasciato il purgatorio: "L’accesso alla mente di un’altra persona richiede un atto di immaginazione da parte nostra," (53) afferma Humphrey e sempre più comuni sono accenni a questa tematica da più parti e discipline. La componente immaginale e creativa dell’intelletto umano sembra la sola che possa permettere ai pionieri dell’ipercomplessità di vincere una sfida pericolosa, ma affascinante: "L’accelerazione del mutamento rende vitale la flessibilità, la capacità di adattarci e di trovare nuove risposte a nuovi problemi. La stessa differenziazione che caratterizza i processi di cambiamento accelerato moltiplica le sfaccettature della realtà, rende inadeguate le soluzioni già sperimentate in contesti precedenti e ci richiede risposte creative" (54).

In questo si nascondono però rischi notevoli. Da una parte l’impossibilità di trattare l’argomento alla stregua di quelli cui secoli di predominio razional-utilitaristico hanno abituato la gran parte degli uomini; dall’altra la spaventosa mole di lavoro che una simile svolta culturale imporrebbe, sia a livello di sensibilizzazione che di superamento di fattori oggettivi di resistenza: "Un’educazione relativista non cercherebbe di eludere la sociocultura, ma le restituirebbe la sua giusta dimensione: quella di un modo imperfetto, temporaneo, di vivere in società. Lascerebbe all’immaginazione la possibilità di trovare altri modi, e nella combinatoria concettuale che potrebbe risultarne l’evoluzione delle strutture sociali potrebbe forse accelerarsi, come la combinatoria genetica rende possibile l’evoluzione di una specie. Ma questa evoluzione sociale è appunto il terrore del conservatorismo" (55).

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Agli educatori ed agli studiosi dovrebbe toccare il compito di educare le nuove generazioni alla flessibilità ed alle caratteristiche intellettuali che più possono esser loro utili per muoversi nei nuovi scenari: "Si tratta allora di favorire lo sviluppo delle risorse personali che facilitano il processo creativo: la capacità di accogliere il rischio, l’indeterminabile, la sospensione, piuttosto che quanto è già noto, classificato, deciso; la possibilità di superare l’inibizione e l’insicurezza verso noi stessi, per aprire la mente e allargare lo sguardo. La creatività non può dunque che contare sulla nostra capacità di meraviglia" (56).

Non molto rimane del Soggetto moderno: probabilmente solo quel che l’ha sempre costituito e che è rimasto nascosto per secoli da veli ideologici e da contenuti esperienziali di cui i nuovi ritmi esistenziali mostrano ora la vanità. Gli resta la consapevolezza di sé come agente nelle infinite possibilità vitali, di cui solo una parte può definirsi "azione razionale"; la consapevolezza e la responsabilità delle sue azioni, ad essa eticamente correlata. Siccome questo soggetto si costituisce in percentuale significativa nel rapporto con l’Altro – di cui gli altri sono solo un aspetto – appare necessario un nuovo interesse alle modalità di questo rapporto, in un approccio in cui lo strumento classico del ruolo può forse essere ancora di qualche utilità, ma senz’altro non l’utensile privilegiato, se non addirittura esclusivo, che è stato sinora. Ad una soluzione di questo interrogativo è preliminare l’adattamento teorico del ruolo alle nuove fattezze dell’attore sociale tardomoderno, in cui problemi che erano già affiorati teoricamente nell’ultima stagione del Soggetto moderno sono esplosi in tutta la loro rivoluzionaria virulenza (57).

Il clima generalizzato di crollo delle certezze implica l’autoattribuzione di finalità esistenziali – che nulla vieta siano contingenti – e la necessità di orientarsi autonomamente nei panorami sterminati della realtà oggettuale e culturale, da cui ogni punto di riferimento o di assegnazione di priorità è scomparso. La non facile opera di selezione degli oggetti e delle tematiche vitali che possano essere utili in questo percorso giustifica appieno l’attuale ambivalenza teorica dello status di "soggetto": se da una parte se ne piange la scomparsa, dall’altra se ne saluta il ritorno (58). Perché? Il tramonto delle visioni riduttive e specialistiche dell’attività umana (i vari homines) comporta necessariamente la fine delle costruzioni teoriche che ad esse si rifacevano; tra le loro macerie, intanto, il pensiero più avvertito – in tante discipline che vengono scoprendo la loro fondamentale interconnessione – riscopre l’esistenza di un nucleo umano, di cui si era in qualche modo persa la coscienza. Un nucleo non etichettabile, né riducibile a rigidi enunciati razionali, caldo delle passioni che non vi si sono mai spente, imponderabile ed imprevedibile nel suo mistero e nella sua creatività immaginale. Jauss tratteggia bene le circostanze culturali di questa riscoperta: "Alla riabilitazione del lettore, dell’ascoltatore, dello spettatore (del ‘recipente’) nella teoria della letteratura corrisponde l’apertura della linguistica testuale a una pragmatica degli atti linguistici e delle situazioni comunicative, l’allargamento della semiotica a un concetto culturale di testo, la rinnovata questione intorno a soggetto, ruolo e mondo circostante nell’antropologia sociale, intorno ad animale ed ambiente nella biologia, il ritorno della sociologia comprendente con le teorie divenute attuali dell’interazione e l’esser soppiantata della logica propedeutica (o dialogica)" (59).

L’attore senza specifiche è oggi impegnato in un difficile compito di autocostruzione (60) che non ha nulla a che vedere con l’ingegneria e le progettazioni razionali e richiede doti di immaginazione e creatività piuttosto rare, ma forse meno di quanto si creda: "Sembra che l’identità postmoderna tenda sempre più ad essere costruita sulla base di immagini del tempo libero e del consumo e tenda ad essere più instabile e soggetta al cambiamento [...]. Mentre ciò produce un’erosione dell’individualità ed un’aumentata conformità sociale, esistono tuttavia alcuni potenziali positivi nel ritratto postmoderno dell’identità come un costrutto artificiale. Poiché una tale nozione di identità suggerisce che si possa sempre cambiare la propria vita, che l’identità possa sempre essere ricostruita, che si sia liberi di cambiare e produrre se stessi a propria scelta" (61).

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Già i materiali vituperati dell’industria culturale vengono utilizzati per la costruzione di percorsi di vita inediti ed originali, dove il fattore estetico gioca di nuovo un ruolo di primo piano e le ferree leggi economiche perdono l’importanza soffocante che molti si ostinano ad attribuir loro. In tempi di crisi, contro le teorizzazioni razionali, i consumi "voluttuari" subiscono sì un calo, ma non nella proporzione prevedibile: "La moda è invincibile," scrive Ferrarotti, "e tutti i movimenti che si sono formati contro la moda si sono prontamente convertiti in altrettante mode", poiché è "l’espressione di un’attrattiva di gruppo, di una imitazione che è anche partecipazione , di una élite che è anche apertura, clin d’oeil, spiraglio nel segreto, invito e seduzione" (62). Si tratta sì di un superfluo dal punto di vista dell’utilità, ma di un essenziale esteticamente parlando: l’homo oeconomicus dei trattati di economia non esiste, perché nessuno ormai – nell’epoca della comunicazione onnipresente – imposta le proprie scelte d’acquisto sui criteri da essi predicati. Più importante della massimizzazione dei profitti è l’ottenimento di un particolare irrinunciabile nella costruzione della propria immagine come della propria identità.

Non è detto poi che il ritorno della dimensione estetica non debba portar con sé nuove forme di etica che sostituiscano quella attuale estenuata: "In una visione d’insieme può aversi sinergia tra l’etica e l’estetica [...]. In questo modo si può giungere ad apprezzare numerose attitudini, esperienze, situazioni come maniere di 'costruire se stessi come soggetti etici', per riprendere l’espressione di M. Foucault. È chiaro l’interesse sociologico di una tale prospettiva: dal suo punto di vista molti atteggiamenti considerati come frivoli o immorali, al di là di qualsiasi giudizio normativo, possono essere riconosciuti come tecniche di autocostruzione, o che hanno una funzione 'etico-poetica' (Plutarco)" (63).

È insomma nell’approfondimento – o se si vuole, riscoperta – dell’interazione fondatrice tra "essere membro" ed "essere per sé" (64), tra principio di realtà e principio di piacere, tra utile ed estetica che può scorgersi una via d’uscita all’ennesima crisi che scuote l’intera cultura occidentale. L’ipotesi di comportamenti che abbiano in sé il proprio unico fine revoca in dubbio gli assunti che troppo a lungo hanno fondato il nostro approccio alla vita e restituisce il diritto di cittadinanza in questa società alla qualità. L’esame delle possibilità insite nell’interscambio tra ragione ed emozione e quindi nell’ottenimento di una conoscenza integrata può forse condurre al traguardo che Melucci auspica ad un rinnovato uomo moderno: "diventare culturalmente natura" (65).

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Note

(46) Sul concetto di Geselligkeit, vedi G. Simmel, Forme e giochi di società, Milano, Feltrinelli, 1983, pp.75-93. Torna al testo.

(47) N. Humphrey, L'occhio della mente, op. cit., p.38. Torna al testo.

(48) Cfr. R. Otto, Il sacro, Milano, Feltrinelli, 1984, pp.19-69. Torna al testo.

(49) G. Simmel, Sociologia, Milano, Edizioni di Comunità, 1989, p.30. Torna al testo.

(50) "Per riprendere un neologismo coniato dal fisico S. Lupasco, questa miscela obbedisce ad una logica 'contraddittoriale' che non intende superare le contraddizioni in una sintesi perfetta, ma le mantiene al contrario in quanto tali", M. Maffesoli, Au creux des apparen-ces, op. cit., p.16. Torna al testo.

(51) G. Simmel, Il conflitto della cultura moderna, Roma, Bulzoni, 1976, pp.15-38; id., Sociologia, op. cit., pp.26-39. Torna al testo.

(52) F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., p.11. Torna al testo.

(53) N. Humphrey, L'occhio della mente, op. cit., p.167. Torna al testo.

(54) A. Melucci, Il gioco dell'io, op. cit., p.144. Torna al testo.

(55) H. Laborit, Elogio della fuga, Milano, Mondadori, 1992, p.57. Torna al testo.

(56) A. Melucci, Il gioco dell'io, op. cit., p.146. Torna al testo.

(57) "Nella modernità esiste ancora una struttura interattiva con ruoli disponibili e socialmente definiti, norme, costumi ed aspettative, dei quali alcuni vanno scelti, appropriati e riprodotti per ottenere un'identità, in un complesso processo di riconoscimento reciproco […]. Nella modernità, perciò, l'identità diviene un problema al tempo stesso teorico e personale. Appaiono tensioni nell'individuo, come fra teorie dell'identità […]. Nella cultura postmoderna, l'individuo si è disintegrato in un flusso di intensità euforiche, frammentate e disconnesse, il Sé postmoderno non soffre più di ansia, né possiede la profondità, sostanza e coerenza che era l'ideale ed occasionale realizzazione del Sé moderno", D. Kellner, Popular Culture and the Construction of postmodern Identities, in S. Lash, J. Friedman (eds), Modernity and Identity, Oxford UK & Cambridge USA, Blackwell, 1992, pp.142; 144. Traduzione mia. Torna al testo.

(58) Le tesi che hanno proposto il ritorno del soggetto come caratteristica saliente degli anni '80 hanno tuttavia impostato tale discorso in modo tradizionale, indicandolo come fase successiva allo strapotere del concetto di società, comunque ricompresa nell'ambito ideologico moderno. Secondo Touraine, ad esempio, per la prima sociologia "l'attore sociale è inteso prima di tutto come un cittadino, il suo sviluppo personale è inseparabile dal progresso sociale. La libertà dell'individuo e la sua partecipazione alla vita collettiva appaiono indissociabili". Dopo la crisi della Seconda Guerra Mondiale, "la corrispondenza fra analisi del sistema e degli attori" viene ancora rinsaldata: "La sociologia fu saldamente edificata sulle nozioni complementari di istituzione e socializzazione, tenute insieme dal concetto centrale di ruolo", A. Touraine, Il ritorno dell'attore sociale, Roma, Editori Riuniti, 1988, p.28. Ora tutto questo è finito: l'attore si è impegnato "nella ricerca della propria identità, sia isolatamente, sia in seno a piccoli gruppi di coscienza e di espressione […]. Si impone la necessità di sostituire a quella della sociologia classica un'altra rappresentazione della vita sociale" (p.29). Questa rappresentazione non tiene però in alcun conto le problematiche riconducibili al concetto di "oltre da" simmeliano; non supera i limiti della cultura occidentale: "I percorsi che rifiutano l'analisi delle relazioni intercorrenti fra attori sociali sono estranei, o addirittura antagonistici, alla sociologia" (p.101). Questo significa "studiare la relazione, non l'attore", poiché la sociologia non è assolutamente riducibile "allo studio delle interazioni": essa deve spiegare il sociale alla maniera di Durkheim, attraverso il sociale. Suo compito attuale è "di individuare i nuovi rapporti ed i nuovi conflitti sociali che si formano in un campo culturale profondamente trasformato" (p.103). Torna al testo.

(59) H. R. Jauss, Estetica della ricezione, Napoli, Guida, 1988, p.140. Torna al testo.

(60) "Nell'ordine post-tradizionale della modernità, e contro lo sfondo di nuove forme di esperienza mediata, l'identità (self-identity) diviene un'impresa riflessivamente organizzata. Il progetto riflessivo del sé, che consiste nel mantenimento di narrazioni biografiche coerenti - anche se continuamente riviste - ha luogo nel contesto di scelta multipla filtrato da sistemi astratti. Nella vita sociale moderna la nozione di lifestyle acquista un significato particolare", A. Giddens, Modernity and Self-Identity, Cambridge, Polity Press, 1991, p.5. Traduzione mia. Torna al testo.

(61) D. Kellner, Popular Culture and the Construction of postmodern Identities, op. cit., pp.153-154. Traduzione mia. Torna al testo.

(62) F. Ferrarotti, Premessa, in A. M. Curcio, La moda: identità negata, Milano, F. Angeli, 1990, p.11. Torna al testo.

(63) M. Maffesoli, Au creux des apparences, op. cit., p.37. Traduzione mia. Torna al testo.

(64) G. Simmel, Il conflitto della cultura moderna, op. cit., p.32. Torna al testo.

(65) A. Melucci, Il gioco dell'io, op. cit., p.29. Torna al testo.

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