Riportiamo il testo di uno dei primi contatti che abbiamo registrato dopo l’apertura del nostro blog. Lo mettiamo in evidenza perché non lo consideriamo solo lo sfogo di un militante deluso, ma perché, pur non volendo aprire un discorso” specialistico” sull’attuale validità di questa o quella tesi marxiana, richiama giustamente l’attenzione sulla debolezza culturale delle elaborazioni politiche dei partiti della sinistra d’oggi, i quali dovrebbero pur avere iscritto nel loro DNA il richiamo ai capisaldi della visione marxiana del capitalismo.
Da vecchio militante dell’ex partito comunista ricordo che nello statuto di quest’ultimo era chiaramente detto che l’adesione allo stesso non comportava necessariamente la professione di idee marxiste. Oggi, a sentire i discorsi ed il ragionare degli esponenti dei partiti che hanno nella loro denominazione il termine “comunista” o sono gli eredi diretti o indiretti di quell’esperienza politica, viene talvolta il sospetto che, se non negli atti fondativi di tali formazioni, almeno nella loro ispirazione culturale sia contenuto addirittura un “divieto” a riferirsi a detto patrimonio di idee. E’ un’impressione infondata? Citazione di nomi o di testi? Sarebbe operazione abbastanza facile, ma inutilmente provocatoria. Ciò che interessa è la risposta alla prima domanda ed al riguardo mi appassionerebbe leggere contributi di altri osservatori interessati al problema.
Quando parlo dei vuoti riscontrabili nei discorsi e nel ragionare degli esponenti dei partiti di “discendenza” comunista mi riferisco non certo alla mancanza in essi di citazioni di Marx (delle quali non si sente certo il rimpianto, ricordando che con tale metodo, specie dal dogmatismo sovietico, sono state vendute panzane colossali), ma intendo una debolezza culturale di fondo nella capacità a)di individuare i termini reali dei fenomeni, in atto e di tendenza, che caratterizzano l’evoluzione del capitalismo contemporaneo, b)di dare alla propria identità una chiara connotazione alternativa alle scelte da esso seguite, c) di costruire, infine, una chiara prospettiva di azione coerente con tali premesse. Nell’opera di Marx è contenuto un lascito teorico ed analitico di irrinunciabile ricchezza sulla nascita e sullo sviluppo del sistema capitalistico di accumulazione. Rinunciare o, peggio, opporsi a valorizzare tale lascito nell’impostazione e nella formulazione delle strategie politiche significa condannarsi ad una posizione subalterna che, nell’ipotesi migliore riesce ad inseguire le scelte e gli indirizzi della peggiore deriva capitalistica ed a contrastarla a posteriori, ma più sul piano della denuncia e con ritardi imperdonabili, di fronte a guasti di dimensioni mai raggiunte in passato (vedi, sul piano interno: disuguaglianze economiche e impoverimento relativo di larghi strati sociali; sul piano internazionale: fame nel mondo, mortalità da ecatombe, sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, disastri ambientali di dimensioni planetarie, ecc.). Rifarsi a quel lascito, d’altro canto, non significa certo ignorare i contributi di studio e di analisi che hanno messo in discussione tesi e formulazioni di tendenze contenute nell’opera di Marx, da rivedere, come da parte di molti autorevoli autori sono state riviste, alla luce dell’evoluzione successiva delle realtà socio-economiche. Rifarsi a quel lascito ritengo debba significare far tesoro quantomeno dei suoi principali presupposti teorici; sinteticamente:
- la concezione materialistica della storia:
“Nella produzione sociale della loro vita gli uomini accedono a rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà; rapporti di produzione i quali corrispondono ad un grado determinato dell’evoluzione delle forze produttive materiali. La struttura economica della società è costituita dall’insieme di questi rapporti di produzione, i quali formano la base reale su cui si eleva la sovrastruttura giuridica e politica, cui corrispondono, determinate forme della coscienza sociale…Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma all’opposto, è la esistenza sociale che determina la loro coscienza.”
(da “Per la critica dell’economia politica”; scusate la citazione, ma non voglio dimostrare alcuna panzana, riporto solamente le parole di Marx):
E’ tutto vero quanto affermato in tale tesi, per quanto riguarda le società occidentali più avanzate e all’inizio del terzo millennio? Probabilmente no. E come riscriverlo per queste ultime realtà, scartata ogni interpretazione deterministica? O si deve buttare tutto a mare irrimediabilmente? Io ho un’ opinione e mi piacerebbe discuterne.
- teoria marxiana del processo economico capitalistico: al centro di questa vi è una visione di tale processo come “fenomeno storico”, frutto cioè dell’evoluzione dei rapporti socio-economici preesistenti, esso stesso fattore di cambiamento dei rapporti sociali e quindi esso stesso soggetto ad evoluzione ad opera delle due entità che sono il cuore del suo funzionamento: il capitale ed il lavoro salariato; il cuore del suo funzionamento è anche il cuore della sua contraddizione fondamentale ( tra forze produttive e rapporti di produzione) e dei conseguenti antagonismi sociali ( contraddizione e antagonismi che sono stati al centro dei sommovimenti sociali avvenuti nelle società occidentali dal tempo di Marx ai nostri giorni.) Si tratta di un capovolgimento totale rispetto agli economisti classici, compresi quelli ( Smith e Ricardo) dai quali Marx ha preso spunto, secondo i quali le categorie economiche fondamentali (capitale, profitto, rendita, salario,ecc.), erano da riguardare come l’inveramento delle leggi “naturali” dell’economia, non suscettibili di essere messe in discussione.
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Anche su questi ultimi argomenti il panorama dei fenomeni e delle relative categorie identificabili è oggi assai più complesso e la stessa letteratura marxista ne ha dato e ne dà testimonianza. Ma anche qui è da sottolineare che il lavoro di Marx ci fornisce gli strumenti per impostare correttamente un lavoro di analisi dei caratteri del capitalismo d’oggi. Sempre che si sia veramente convinti che tali caratteri non siano, come si è detto, il riflesso di leggi “di natura” e in quanto tali immodificabili.
Mi ero ripromesso, prima di contattarvi, di scrivere una breve nota, ma mi sono invece lasciato trascinare dall’argomento, forse oltre misura. Grazie per l’ospitalità.
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- (tralascio ogni riferimento all’esperienza del cosiddetto “socialismo reale” che forse avrebbe visto Marx tra i suoi più coriacei contestatori)