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Al vaglio delle Camere la legge su affido congiunto e Mediazione obbligatoria

Editoriale di Fulvio Scaparro sulle peculiarità della nuova legge


Agosto 2004 

Care amiche e amici dell'Associazione GeA,

fermo restando che considero non solo pienamente giustificata ma meritoria l'azione di chi sta operando nel Paese e in parlamento per eliminare o almeno ridurre le enormi storture dei procedimenti di separazione tra genitori, mi soffermo sull'integrazione, recentemente approvata, dell'articolo 709bis del codice di procedura civile: "In tutti i casi di disaccordo le parti hanno l'obbligo di rivolgersi a un centro di mediazione". Non pretendo di detenere il monopolio della verità nel campo della mediazione, ma occupandomene da trent'anni professionalmente e attraverso iniziative concrete a sostegno dei genitori e dei figli nella separazione, posso affermare che condivido il parere di tutti i principali studiosi nel campo delle mediazioni, non solo quella familiare, che la mediazione obbligatoria è una contraddizione in termini.

Negli ultimi congressi della SIMeF, Società Italiana di Mediazione Familiare, e da ultimo in quello di Palermo del 2004, non è mancato chi ha messo in risalto le ombre che accompagnano l'indubbia affermazione nel nostro Paese di uno strumento pacifico di composizione delle gravi conflittualità familiari com'è la mediazione familiare.

Tra i problemi messi in evidenza  ricordo:

-         la necessità di giungere al più presto a una definizione del ruolo professionale del mediatore familiare, alla definizione di standard di formazione e di supervisione della pratica, all'impegno di tutti i mediatori ad attenersi a un comune codice deontologico e al riconoscimento delle scuole di formazione che si sono conquistate nel tempo i titoli necessari per garantire un servizio di mediazione familiare di elevata qualità. Questo per evitare abusi, cattiva pratica, sfruttamento delle crisi familiari, e, soprattutto per contrastare il diffondersi di mediatori improvvisati, privi di cultura e di tecnica. Una riprova di questi rischi è fornita dalla comparsa di alcuni instant books in cui il lavoro di mediazione familiare viene banalizzato, creando l'illusione nel lettore di avere a che fare con una tecnica priva di cultura, facile e rapida da apprendere ed applicare evitando noiosi percorsi formativi;

-         chiarito da più parti che nei teorici e nei pratici italiani della mediazione familiare non c'è alcuna volontà di mettere in discussione il ruolo insostituibile di garanzia del sistema giuridico, resta il fatto che i mediatori più avvertiti non si stancano di denunciare e invocare rimedi alle storture di quel sistema segnalate da tanti genitori separati e confermate da non pochi magistrati e avvocati. Da questo punto di vista, malgrado l'impegno testimoniato da molti autori, il cattivo funzionamento delle procedure di separazione tra genitori in Italia permane tutt'oggi. Ne troviamo memoria in migliaia di fascicoli processuali, ne sono testimoni e vittime migliaia di figli e genitori, ne hanno esperienza i mediatori nel loro lavoro quotidiano. Ridurre la questione ad uno scontro tra chi vuole degiurisdizionalizzare del tutto il diritto di famiglia e chi questa prospettiva rifiuta, non è convincente, tanto più quando in questo scontro finisce con l'andare di mezzo la mediazione familiare che gli uni vorrebbero sostituiva dell'intervento legale e gli altri modesta ancella del sistema legale stesso. La mediazione familiare, almeno nelle convinzioni di molti mediatori, non sostituisce il sistema legale né è ad esso subordinata. Oggi che la mediazione familiare ha conquistato l'attenzione di molti filosofi, sociologi, amministratori pubblici, politici e perfino, con esiti per lo più infausti, la ribalta televisiva, sarà bene rammentare qual'è la sua storia e soprattutto quali sono state, e sono tuttora, le sue finalità, a evitare che essa si snaturi nelle mani di chi non ha la benché minima esperienza pratica, ne ignora le basi teoriche e, malgrado questo, pontifica in materia.

-         il rischio che si legiferi in materia di mediazione familiare senza consultare i mediatori familiari più esperti e competenti, con la conseguenza, purtroppo non ipotetica, che si giunga a proposte in radicale contrapposizione con i principi di base della mediazione; questo avviene, ad esempio, quando si auspica l'obbligatorietà della mediazione familiare o si viene meno al ferreo principio della totale riservatezza o, ancora, si prevedono uffici di mediazione familiare situati presso i Tribunali;

-         l'esigenza di un maggiore coordinamento tra le principali scuole di ricerca, formazione e intervento italiane;

-         l'urgenza di rendere più incisiva la partecipazione dei mediatori italiani alla costruzione della normativa europea in materia di mediazione familiare;

-         la volontà di stabilire rapporti di maggiore collaborazione, anche attraverso iniziative di formazione comune con le organizzazioni dei genitori separati e con i magistrati, gli avvocati, gli operatori dei servizi pubblici e privati,  per meglio definire i rispettivi ruoli nell'opera di pacificazione dell'iter separativo;

-         la necessità di diffondere la cultura della mediazione nell'opinione pubblica attraverso contatti più efficaci con i giornalisti e iniziative di informazione nelle scuole.

I primi maestri della mediazione ricordavano, qualche decennio fa, le caratteristiche essenziali del mediatore sufficientemente buono. Jean-François Six, ad esempio, nel suo Le temps des médiateurs indicava con semplicità le qualità del mediatore ma profetizzava anche cosa sarebbe potuto avvenire della mediazione se fosse stata affidata nelle mani di persone impreparate, senza cultura, spinte soltanto dalla brama di potere e di denaro. Queste sue parole non sono purtroppo inattuali:  "L'apprendimento [della mediazione] non è un colpo di fulmine col quale si riceve un'illuminazione improvvisa e radicale; abbiamo viste certe "formazioni" alla mediazione, o sedicenti tali, consistenti in un breve viaggio negli Stati Uniti o in Canada nel corso del quale ci si è immersi per cinque o sei giorni in una sorta di fiume sacro, una comunità di mediatori, fiume dal quale si emerge toccati dalla grazia, aureolati dal dono della mediazione; rientrati [in patria] ci si dichiara mediatori come altri si dichiarano 'medium', si apre una scuola di mediazione come si aprirebbe una scuola per prestigiatori. Meglio ancora, ci si presenta come 'guru guaritori' che risolvono i problemi in un batter d'occhio; poi si guarda dritto negli occhi di questo o quello e gli si dice che sì, anche lui o lei ha con tutta evidenza il dono del mediatore. E si impongono sull'allievo le mani. Non si tratta purtroppo di una caricatura. La questione diviene ancora più grave quando la paura e anche il desiderio di aggiungere facilmente qualche freccia in più al proprio arco, portano certi professionisti della psicologia e del diritto a darsi in quattro e quattr'otto il titolo di mediatori a partire da una pseudo formazione di pochi giorni. Questa manovra non è soltanto definibile come concupiscenza carismatica ma come frode; nello stesso tempo, si corre anche il grande rischio che, per procurarsi rapidi guadagni, si realizzino mediazioni rapide e frettolose, o ancora che si estorcano surrettiziamente mediazioni non necessarie, imponendo servizi a chi non li sollecita. […]"

    Se definiamo la mediazione, ogni mediazione, come "l'attività svolta da un terzo, tra persone o gruppi liberamente consenzienti e partecipanti a cui appartiene la decisione finale, destinata a fare nascere o rinascere tra di esse relazioni nuove o a prevenire o meglio gestire relazioni disturbate", le strutture fondamentali sono le seguenti:

1.      La mediazione presuppone l'intervento di un terzo, qualcuno che non appartenga per nessun aspetto alle due parti che si vuole mettere al tavolo del negoziato. La relazione triangolare è già di per sé apertura; abbozzo di soluzione. Lo schema ternario sostituisce al rozzo e brutale schema binario, il gioco più complesso dei tre elementi. Questa umanizzazione delle relazioni oggi incontra gravi ostacoli in un mondo in cui lo schema binario, la contrapposizione manichea, e la tendenza all'eliminazione o all'assoggettamento dell'avversario è dominante nei micro- e macro-conflitti;

2.      La mediazione presuppone che il terzo non abbia potere. Questo è un punto particolarmente delicato e per lo più incompreso e trascurato, ma essenziale se davvero si vuole preservare in mediazione la libertà e la responsabilizzazione delle parti in conflitto. Si dirà che se il mediatore non deve avere alcun potere, potrà esercitare la sua mediazione soltanto in virtù della sua autorità morale. Ma non è anche questo un potere? Prendiamo i termini per quello che davvero significano. Chi dice 'potere' dice capacità reale di influire sul corso degli eventi, di fare pendere la bilancia da una parte o dall'altra, di forzare le parti in un modo o nell'altro. Nella mediazione siamo invece in un campo in cui nulla può essere obbligatorio e nessuno obbligato. Certo, si spera che si ricorra ad un mediatore anche per la sua autorità morale, ma si ha fiducia in lui proprio perché quella autorità morale implica il massimo rispetto per la libertà di ciascuno e la rinuncia all'utilizzazione della forza, della coercizione e di ogni altro mezzo di pressione. 

3.      La mediazione presuppone che il terzo funga da catalizzatore. "La mediazione è un'azione per catalisi. Con la presenza di un terzo che non ha potere iniziale si produce una reazione. Questa presenza da sola non serve a niente, ma se non c'è non avviene nulla. E' una presenza ancillare, inutile e indispensabile. Alla fine del percorso questa presenza si ritira senza essere stata alterata dalla reazione che ha provocato."

4.      La mediazione presuppone la produzione non di un simulacro di comunicazione ma di uno scambio comunicativo reale, capace cioè - anche se parziale o interrotto - di non lasciare le parti in mediazione nelle stesse posizioni di partenza ma almeno non così sicure di detenere il monopolio della 'verità'. Le tre tappe per produrre una comunicazione reale sono (Six, 164-193):

4.1.           L'ascolto, la capacità del mediatore di entrare in comunicazione con ciascuna delle parti in conflitto e di stimolare questa stessa capacità nelle parti affinché cessi il 'dialogo tra sordi'.

4.2.           Il tempo. Il tempo del mediatore è sempre contato ma non nel senso che deve andare di fretta. Talvolta si tratta di accelerare senza tuttavia forzare alcunché;  talaltra bisogna procedere passo dopo passo, senza precipitare alcunché. L'intento è comunque quello di provocare una libera elaborazione della soluzione da parte delle due parti, senza esercitare pressioni che rischiano di limitare la libertà di una o di entrambe le parti.

4.3.           La conclusione. Il mediatore può e deve proporre un itinerario e una strategia che portino ad una conclusione che non veda una parte vincente e una perdente. Il consenso che accompagna una buona conclusione non nega le differenze ma elabora e diffonde valori comuni il cui rispetto permette la gestione pacifica delle differenze.

         Quello che c'è da sapere è chiaro, quello che c'è da fare e non fare è chiaro, ma come direbbe   l'immancabile saggio cinese,   saper fare é facile; il difficile é fare. Sta a noi non complicare ulteriormente la situazione ricordando che in tempi di crisi, di disorientamento, di confusione e oscuramento dei valori, è bene tornare sia pure provvisoriamente alle origini, ricostruire la nostra storia e recuperare i gli elementi fondamentali del nostro sapere.

La semplicità, la naturalezza, la sicurezza, l'atteggiamento amichevole nei confronti del prossimo derivano dalla padronanza dell'arte e della tecnica della mediazione e dalla consapevolezza che si stanno rispettando gli elementi fondamentali che hanno reso benefica questa forma di soluzione alternativa alle dispute. 

Fulvio Scaparro
Direttore Scientifico dell'Associazione GeA

Questo intervento non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza la citazione della fonte e l'autorizzazione scritta dell'autore e/o dell'Associazione GeA, Genitori Ancora