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LA MEDIAZIONE INTEGRATA 

di Fulvio Scaparro
(Direttore scientifico dell’Associazione GeA-Genitori Ancora)

UN PO' DI STORIA

Quando ho cominciato a occuparmi di mediazione familiare, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta,  in Italia, salvo pochi Autori che hanno avuto il merito di portare a nostra conoscenza studi ed esperienze prevalentemente nordamericane, c'era poco altro. Esisteva però, forte e diffusa in un crescente numero di operatori, magistrati, psicologi, alcuni avvocati e, ovviamente, in tanti genitori separati, la sensazione di una procedura di separazione oggettivamente bellicosa, capace com'era di lasciare pesanti e duraturi strascichi di animosità, rancori, sentimenti di ingiustizia e danni permanenti alle relazioni tra genitori e tra genitori e figli.  Nel 1979, con i giudici minorili Moro e Battistacci, con il pediatra Nordio, la psicoanalista Renata de Benedetti Gaddini e il neuropsichiatra infantile Caffo, avevamo fondato l'Associazione Italiana per la Prevenzione dell'Abuso all'Infanzia. In quella sede, avevo perorato la causa dell'introduzione di strumenti pacifici nelle cause di separazione tra genitori, proprio per evitare il crearsi di abusi all'infanzia a causa delle guerre familiari. Nelle mie intenzioni non c'era alcuna volontà di mettere in discussione "la sopravvivenza stessa del sistema giuridico" ma di denunciare le storture di quel sistema, storture alle quali assistevamo ogni giorno come giudici, avvocati, psicologi e genitori. Quelle storture sono rimaste. Ce n'è memoria in migliaia di fascicoli processuali, ce n'è testimonianza nella vita di migliaia di bambini e genitori, ce n'è esperienza nel nostro lavoro di avvocati, psicologi e magistrati: questo non è allarmismo ma un doloroso dato di fatto. Ridurre la questione ad uno scontro tra chi vuole degiurisdizionalizzare del tutto il diritto di famiglia e chi questa prospettiva rifiuta, non mi convince del tutto, tanto più quando in questo scontro finisce con l'andar di mezzo la mediazione familiare che gli uni vorrebbero sostitutiva dell'intervento legale e gli altri vorrebbero modesta ancella del sistema legale stesso.

La mediazione familiare, almeno nelle intenzioni di alcuni di noi, non è né sostitutiva del sistema legale né sua ancella. La mediazione familiare è un intervento che ottiene migliori risultati quando è il frutto di un’integrazione tra le competenze del mediatore e quelle dei legali delle parti.

RISCOPRIRE LE RESPONSABILITA'

Considero la mediazione uno strumento di pace essenziale per mantenere viva ed efficiente una democrazia, soprattutto perché fa appello alle componenti adulte e responsabili delle parti coinvolte. Per quanto riguarda la mediazione in ambito familiare, occorre premettere alcune considerazioni.

La sopravvalutazione della famiglia come patria comune, la 'voce del sangue', i doveri di lealtà familiare, finiscono con il trasformare la famiglia nel luogo del 'dovere', delle relazioni imposte e burocratizzate, dei ruoli fissi e immutabili come maschere nel tempo. Molto spesso la parola 'responsabilità' evoca immagini plumbee: sacrifici, rinunce, limitazioni di libertà e via soffrendo. In realtà, molti padri e molte madri potranno confermare che la nascita di una figlia o di un figlio li arricchisce, aggiunge senso alla loro esistenza e consente di immaginare un futuro al di là dei limiti temporali della loro vita. A proposito di responsabilità, nessuno ragionevolmente può considerare responsabile di alcunché un neonato: la sua totale dipendenza dagli adulti gli preclude ogni possibilità di scelta. Quella medesima totale dipendenza fa sì che una totale responsabilità ricada sugli adulti dai quali dipende il suo sviluppo fisico e psicologico e, più in generale, su tutti quegli adulti che con lui stabiliscono relazioni. Nel corso dello sviluppo il bambino conquista nuove autonomie, riduce la dipendenza iniziale, altre dipendenze si creano, si riducono e scompaiono, sempre più sarà un individuo che sceglie, che è responsabile, che sul bisogno d'amore cercherà di innestare una scelta d'amore.

La famiglia è dunque anche questo: un luogo in cui apprendere a convivere con il conflitto, con le differenze, dove imparare che la fertilità - quanto cioè di più vicino alla felicità l'essere umano possa conquistare in questo mondo - è possibile nella relazione tra diversi, che l'identità si conquista con il confronto e anche con l'opposizione, che non c'è nulla da temere nel riconoscersi differenti.

RAFFORZARE LA COMPONENTE ADULTA

La mia esperienza di lavoro con genitori in guerra mi ha insegnato che responsabilità, democrazia, accettazione del diverso, diventano 'belle parole' quando la vita ci mette alle strette. E un'idea, cantava Gaber anni fa, "finché resta un'idea, è soltanto un'idea, una semplice astrazione" che rende ancora più frustrante la nostra impotenza a uscire dal vicolo cieco della prova di forza.

L'EMERGENZA FAMILIARE

Vediamo, in estrema sintesi, come la mediazione familiare può essere utilizzata efficacemente, valorizzando le componenti adulte dei genitori, nelle separazioni altamente conflittuali (cioè in presenza di interruzione del dialogo tra genitori e quando ogni altra forma di comunicazione è, di fatto, veicolo di ostilità).

1. La famiglia 'intatta' 

Semplificando al massimo una situazione complessa come quella familiare proviamo a isolare un'ipotetica 'famiglia intatta', un'unità di affetti e di interessi economici che si riconosca come tale e condivida dunque un comune progetto di sviluppo. Una famiglia intatta è normalmente conflittuale essendo composta da diversi (per sesso, età, esperienze di vita, cultura, sogni, desideri). Non mancano tensioni e bisticci, ma non manca nemmeno la ricerca del recupero e del mantenimento di un flusso equilibrato di relazioni tra i diversi componenti del gruppo familiare.

2. La famiglia 'spezzata'

Quando le relazioni tra padre e madre si guastano al punto da non riconoscersi più in un progetto familiare comune, il conflitto tende a irrigidirsi  e a trasformarsi in guerra (vittoria o sconfitta, amico o nemico, mors tua vita mea). Il forte squilibrio conseguente all'interruzione di relazioni costruttive e normalmente conflittuali tra padre e madre pone un indebito sovraccarico sui figli.

3. La mediazione familiare come intervento di emergenza

Qui può intervenire la mediazione familiare, che si presenta come intervento di emergenza  tanto più efficace quanto più è tempestivo oltre che, com'è ovvio, messo in atto da operatori competenti. Nella formazione dei mediatori familiari, faccio spesso riferimento alla mia esperienza nel campo della protezione civile. Si immagini, ad esempio, la piena di un fiume che ha travolto un ponte interrompendo le comunicazioni tra le due sponde e creando gravissime difficoltà ad un'ampia area densamente popolata. Sappiamo bene che l'uomo ha spesso pesanti responsabilità nei disastri naturali: in questo caso possiamo ipotizzare che l'incuria per l'ambiente naturale, lo sfruttamento dissennato delle rive del fiume, il disboscamento delle montagne e tanto altro ancora (fino ai difetti di progettazione e costruzione del ponte) siano all'origine del disastro. Tutto questo dovrà essere certamente affrontato al più presto senza guardare in faccia a nessuno ma, nell'immediato, si impone un intervento di emergenza per ridurre gli effetti del disastro. Un buon servizio di protezione civile interverrà con la massima tempestività per ristabilire le comunicazioni interrotte (poniamo, con un ponte di barche), soccorrere le popolazioni colpite e metterle al più presto in condizioni psicologiche ed economiche tali da essere protagoniste della ricostruzione . Non è suo compito indagare sulle cause e sulle responsabilità civili e penali del disastro, perseguire e punire i colpevoli, curare le vittime al di là del pronto soccorso o degli interventi di emergenza.  E' quello che si propone un intervento di mediazione familiare: creare un ponte provvisorio tra madre e padre e attivare le loro risorse per ricostruire su basi solide e durature le loro relazioni post-separazione alleggerendo in tal modo il sovraccarico che grava sui figli per la guerra tra genitori.

La mediazione familiare è un intervento limitato nel tempo di straordinaria importanza come lo sono gli interventi di protezione civile. Tende a trasformare il vissuto di fine-del-mondo spesso presente nei protagonisti di una separazione bellicosa in vissuto di fine-di-un-mondo, apre cioè prospettive costruttive per il post-separazione, riattiva risorse individuali e comuni a entrambi i genitori e rimette in moto processi vitali che rischiano di spegnersi nella logica di muro contro muro. I figli non hanno bisogno di un genitore vittorioso e di uno sconfitto, ma - salvo eccezionali casi di indegnità o di forza maggiore - di entrambi i genitori che continuano ad essere corresponsabili dei loro figli anche dopo la cessazione della relazione coniugale.  

COSA NON E' LA MEDIAZIONE FAMILIARE

Partiamo da una delle definizioni correnti di mediazione familiare:

“La Mediazione Familiare (MF) è un percorso per la riorganizzazione  delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio: il mediatore familiare, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall' ambito giudiziario, si adopera affinché i partner elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sè e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale.”  

E’ mia opinione che questa definizione debba essere integrata con l’aggiunta di questa precisazione:

“Il mediatore ha l’obiettivo di promuovere e facilitare l’autonoma negoziazione tra le parti per agevolare il raggiungimento di accordi condivisi e durevoli. I genitori potranno così sperimentare un metodo di composizione dei conflitti che potrà essere riutilizzato nel futuro”.

Ritengo opportuno che la mediazione familiare mantenga la sua caratteristica di intervento di emergenza e non venga confusa con altri interventi pur apprezzabili ma con premesse e obiettivi ben diversi. In particolare, la mediazione familiare:

  • non è psicoterapia, anche se un buon intervento di mediazione familiare può avere effetti terapeutici, come di solito avviene quando si riceve un aiuto efficace nei momenti di grave crisi.

  • non è 'soluzione' di conflitti . Malgrado una diffusa opinione, la mediazione familiare non è un mezzo per 'risolvere' i conflitti né per stabilire chi ha ragione. Essa punta invece a mettere le parti in condizione di uscire da situazioni di impasse che le vede bloccate in stallo, ad evitare o ridurre gli effetti di un conflitto distruttivo

  • è indipendente dal sistema giudiziario. In particolare, anticipo qui il mio dissenso sulle  proposte di 'mediazione coatta', cioè imposta dal giudice ai genitori: perché se una mediazione vuole davvero condurre a una reale assunzione di responsabilità, non potrà non svolgersi all'insegna del massimo rispetto della libertà propria e altrui. Benché contrario alla 'mediazione coatta', sono invece molto favorevole a prevedere per legge la possibilità di usare questo strumento di pace, la definizione del profilo professionale del mediatore familiare e gli standard minimi della sua formazione. Almeno finché la materia della separazione e del divorzio sarà di loro competenza, mi auguro che i magistrati esigano una buona volta che sul loro tavolo arrivino proposte per il periodo post-separazione elaborate in comune dai genitori.

  • non è un arbitrato ma, soprattutto, non è consulenza legale, finanziaria, psicopedagogica o comunque 'tecnica'. Il mediatore non è un consulente al quale rivolgere domande per ottenere risposte sui problemi che affliggono e/o dividono i genitori. Il mediatore è invece un facilitatore, un animatore (o rianimatore) della comunicazione tra le parti. I problemi posti sul tappeto dai contendenti possono essere di varia natura, e di solito aspetti affettivi, legali e finanziari sono intrecciati. Il mediatore darà il suo contributo, aiutando le parti a lavorare  attorno a uno o più di questi problemi, ma non si sostituirà in alcun modo ad avvocati, giudici, medici, consulenti finanziari, psicologi e psicoterapeuti.

Non è facile fare il mediatore familiare. Un buon mediatore familiare si adopererà quindi per mantenere  adulti e responsabili i genitori in ogni fase della mediazione. Il mediatore familiare dovrà dunque richiedere a se stesso e ai genitori con cui lavora la massima autonomia e indipendenza perché gli accordi presi in mediazione familiare in una materia tanto delicata come un progetto di ridefinizione delle relazioni familiare post-separazione non può che essere il frutto di una libera e consapevole scelta, senza vinti né vincitori, senza sopraffazioni né umiliazioni. Appare evidente da quanto ho detto quanto sia importante la formazione del mediatore familiare, impegnato com'è in un'area di conoscenze che la letteratura anglosassone definisce crisis intervention. Il mediatore familiare dovrebbe essere consapevole della propria vulnerabilità emotiva affinché possa riconoscere, accettare e affrontare eventuali difficoltà psicologiche personali in una materia tanto coinvolgente come una crisi familiare. Si tratta del momento più difficile del percorso formativo. In questa fase, imparare significa per gli operatori non solo acquisire nuove cognizioni, ma anche mettere in gioco ruoli e identità professionali, relazioni organizzative, atteggiamenti e sistemi culturali. La conoscenza degli agenti stressogeni presenti nel lavoro di mediazione familiare e la capacità di identificare le conseguenze dello stress, fornisce al mediatore familiare gli strumenti per scoprire e controllare atteggiamenti personali e sociali non adattivi. La percezione dello stress subìto amplifica il grado di consapevolezza acquisibile intorno al modo di essere nel lavoro.  Porre attenzione ai risvolti psicologici dell'agire proprio e altrui diviene un'occasione di riflessione e confronto con se stessi, un fare dentro di sé che precede qualunque fare nella realtà esterna.

 

DIALOGO (IMMAGINARIO) CON IL LEGISLATORE

Quanto sopra esposto spiega, forse, perché io e Irene Bernardini, che con me ha fondato l'Associazione GeA, siamo così critici nei confronti di chi propone la mediazione familiare obbligatoria e collocata all’interno dei tribunali  Scorrendo queste proposte mi è tornata in mente l'ingiunzione paradossale: "Siate felici! E' un ordine!" nota ai conoscitori della scuola di Palo Alto o, più modestamente, del Bonvi di Sturmtruppen. Solo che qui l'ordine impartito ai genitori è di "andare d'accordo". Con tanti saluti alla mediazione familiare che finirà per diventare obbligatoria con relative sanzioni per gli inadempienti e rischi facilmente prevedibili:

  1. l'obiettivo, ovviamente condivisibile, di tutelare i minori vittime dell'alta conflittualità tra genitori in separazione e di garantire loro un maggiore equilibrio tra le figure genitoriali, viene perseguito in maniera sostanzialmente coercitiva, intrusiva e autoritaria. Senza che si mettano in atto parallelamente efficaci azioni positive in termini di politiche sociali e culturali per le famiglie, finalizzate a sensibilizzare e costruire dal basso una consapevolezza tra i cittadini, la cultura della cogenitorialità e della responsabilità nei confronti dei figli, ogni atto legislativo che intimi  di seguire la via della condivisione ai genitori in conflitto rischia di generare ulteriori contrasti a danno dei figli e degli stessi genitori 

  2. aumenta così il rischio della burocratizzazione delle relazioni affettive, della ulteriore deresponsabilizzazione, infantilizzazione, passivizzazione e patologizzazione degli adulti, messi sotto la tutela di una pletora di giudici, avvocati, assistenti sociali, psicologi, pedagogisti e sedicenti mediatori, da cui i genitori dovrebbero passare e ripassare per confezionare il loro affidamento congiunto obbligatorio. Esattamente il contrario di quello che serve a un bambino: poter contare su genitori autonomi e responsabili. Esattamente il contrario di quanto una buona mediazione dovrebbe cercare di ottenere 

  3. chiunque abbia un minimo di esperienza di mediazione familiare sa che il problema non sono tanto gli accordi o i provvedimenti, ma l'effettiva esecuzione e la durata nel tempo delle misure prese e prescritte. Per questo occorrerebbe consenso e un margine di intesa reale e autentica tra le parti. E' esperienza comune che un affidamento congiunto imposto e subìto, si traduce in uno stillicidio quotidiano di microconflittualità, nella paralisi decisionale o nel trionfo della legge del più forte tra i genitori 

  4. l'invio d'ufficio della coppia genitoriale in conflitto  a servizi variamente denominati al fine di costruire l'affidamento congiunto è il passaggio più ambiguo e gravido di pericolosi equivoci. L'obbligatorietà del percorso prescritto, l'obbligatorietà per gli operatori di relazionarne al giudice l'esito, in un caso addirittura la collocazione dell'équipe presso il Tribunale o il Giudice Tutelare, priva questo passaggio di ogni seria potenzialità di elaborazione del conflitto. 

  5. Continuo a pensare che il processo decisionale dovrebbe vedere protagonisti, dunque responsabili, i due genitori che, se opportuno, dovrebbero essere aiutati a dialogare da un mediatore competente il cui intervento integra e facilita il compito degli avvocati e dei magistrati. Il mediatore assicura ai due genitori uno spazio di dialogo, la sua competenza nel facilitare il dialogo stesso, si astiene dall'entrare nel merito dei temi in discussione, mantiene un'assoluta riservatezza nei confronti di chiunque su quanto avviene in mediazione, ma è interesse dei genitori stessi che quanto da loro liberamente deciso in mediazione non sia privato delle garanzie che solo il sistema legale, attraverso i loro avvocati e il magistrato, può assicurare  com'è noto, alcune proposte sulla mediazione familiare sono ispirate e sostenute dalle associazioni di padri separati. Ad alcune di queste associazioni va riconosciuto il merito di aver fatto di tutto per recuperare valore e legittimazione al ruolo paterno e aver contrastato efficacemente alcuni pregiudizi anti-paterni correnti nelle aule giudiziarie. Personalmente ho fatto del suo meglio per sostenere i padri in questa giusta battaglia. Va però detto che si corre il rischio, non voluto dalle migliori di queste associazioni, di introdurre un punto di vista troppo maschile, nel senso deteriore del termine, quando si invoca l'intervento della legge, dei giudici, dei servizi sociali e degli psicologi per riparare un danno che ha ben più profonde radici nel costume e nelle trasformazioni della famiglia. Non si rischia così facendo di dare vita a nuove lobbies, poniamo quella - che sarebbe potentissima - delle 'madri separate', finendo così con il trasformare un conflitto potenzialmente fertile in una guerra di potere tra i sessi, con conseguenze deleterie per gli interessi dei figli e degli stessi genitori? 

Quando la rappresentanza degli interessi del bambino è sottratta a sua madre e a suo padre insieme e assunta così massicciamente dalle istituzioni quel bambino rischia di avere idealmente dalla sua parte giudici, avvocati, magari un curatore speciale, assistenti sociali, psicologi, pedagogisti, forze dell'ordine, ma di aver perso ciò che più conta: l'autonomia e l'autorevolezza dei suoi genitori. La mia esperienza di mediatore familiare, di componente privato della Corte d'Appello, Sezione Minori e Famiglia, di giudice onorario del tribunale per i Minorenni e di consulente tecnico di ufficio del Tribunale, mi insegna che più il conflitto tra genitori si espone alla valutazione esterna e istituzionale, anche se il giudizio si maschera da relazione d'aiuto, più esso si radicalizza e si avvelena, e più la percezione dei figli come bene comune, impallidisce e si dilegua. 

DUE DOMANDE

  1. L’attuale istituto dell'affidamento - effettivamente inadeguato, almeno nella sua applicazione - riposa sul concetto di potestà parentale e di esercizio esclusivo o congiunto della stessa: perché non spostare l'attenzione dall'idea di potestà-potere-possesso al concetto di comune responsabilità genitoriale, meglio definita nei diritti e nei doveri che comporta? 

  2. E' possibile introdurre nella procedura dei dispositivi che incentivino e premino la ricerca e il rispetto da parte dei genitori di accordi equilibrati e condivisi, rinunciando all'automatismo e alla coattività, attivando nel contempo, a livello di politiche sociali e culturali, interventi a sostegno della genitorialità e della responsabilità di cura? 

Terza domanda su Re Salomone e l'udienza presidenziale 

Non è il caso che tutti noi, magistrati, avvocati, cittadini, riflettiamo sulle opportunità che potrebbe offrire un'udienza presidenziale ben condotta? Io credo che un giudice autorevole ed esperto potrebbe riempire di contenuti e prospettive pacifiche e costruttive il rito della comparizione presidenziale. Un tale giudice è ancora ascoltato con attenzione e rispetto e potrebbe prospettare ai genitori e ai loro avvocati i vantaggi derivanti dal far pervenire sul suo tavolo, prima che si avvii il procedimento davanti al giudice istruttore, una proposta di regolamentazione delle relazioni post-separazione elaborata in comune da padre e madre. Questo, ovviamente, è ben altra cosa rispetto al rituale invito alla conciliazione, punta alla responsabilizzazione dei genitori e avrebbe come ulteriore effetto un alleggerimento del carico emotivo che grava su magistrati e avvocati quando si decide in maniera superficiale e affrettata del destino di figli e genitori. All'inizio degli anni Ottanta, avevo promosso un incontro tra magistrati, avvocati e psicologi sul tema 'La difficile convivenza: cultura giuridica e cultura psicologica a confronto in tema di tutela dell'infanzia e della famiglia in crisi'. In quell'occasione avevo rammentato il noto passo dell'Antico Testamento (I Re, Cap. 3, 16-27) che poi ho ripreso più di recente in un libro dedicato a padri e madri:

"Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: "Ascoltami signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco - la tua schiava dormiva - e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino, mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. Lo ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io". L'altra donna disse: "Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto". E quella al contrario diceva: "Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo". Allora il re ordinò: "Prendetemi una spada!". Portarono una spada alla presenza del re. Quindi il re aggiunse: "Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra". La madre del bambino si rivolse al re, poiché le sue viscere erano commosse per suo figlio e disse: "Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo!". L'altra disse: "Non è né mio né tuo; dividetelo in due!". Presa la parola il re disse: "Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre".

In Salomone c'è dunque una saggezza che fa apparire improprio l'uso dell'aggettivo 'salomonico' per indicare, come reca un dizionario della lingua italiana, il giudizio "che pone fine a una disputa dividendo esattamente a metà il danno o il vantaggio che ne deriva, con imparzialità". In realtà, Salomone ha soltanto minacciato di porre fine alla disputa in quel modo. Ha reso giustizia con il paradosso, minacciando di adottare una soluzione assurda. Vorrei che il giudice dell'udienza presidenziale evitasse di essere il Salomone del dizionario che non smuove le coscienze ma minaccia di dividere esattamente a metà, lavandosi le mani delle ragioni dei contendenti. Vorrei che il giudice dell'udienza presidenziale, avesse invece in mente il Salomone dell'Antico Testamento che mostra la spada perché nella contrapposizione rigida qualcosa si muova e la contesa si manifesti in forma diversa da quella che non permette al saggio re di capire e dunque di decidere a ragion veduta. L'assurdità di una soluzione fifity fifty o, comunque di un ingiusto compromesso, è tale che solo chi è accecato dal proprio interesse, dall'ira, dal rancore, dalla vendetta, può accettarla. Salomone lo sa e aspetta. La sua è una giustizia che viene resa in presenza di tutte le parti coinvolte, neonato compreso; si potrebbe obiettare che questo è un modo primordiale, rozzo, furbesco, bertoldesco di fare giustizia. Ma se i sacri testi, le fiabe, i miti, le leggende fossero da prendere alla lettera, non sarebbero ancora vivi oggi. La Giustizia è tradizionalmente rappresentata con la spada nella mano destra e la bilancia nella sinistra. Almeno quando è in questione il destino della famiglia e dei figli, sarebbe bene che la mano destra della Giustizia restasse a riposo. Ricordava Franco Fornari che 'prendere una decisione' significa sempre de-caedere, tagliare, scegliere una cosa e non un'altra. Quest'ultima è in qualche modo perduta e dunque ogni scelta comporta anche una perdita, un lutto. Per di più, la scelta diventa particolarmente luttuosa quando è impossibile prevedere cosa avverrà in base alla decisione presa. L'incertezza sull'esito delle proprie decisioni provoca angoscia.

In tema di separazione e divorzio, le previsioni circa le conseguenze di una decisione e quindi la funzione di ridurre l'ansia decisionale, sono spesso un compito che il giudice attribuisce al perito, al consulente, al giudice onorario del Tribunale per i Minorenni o al componente privato del Tribunale ordinario. Spesso questi specialisti non si sottraggono al gravoso onere di fungere da aruspici, mentre meglio farebbero se aiutassero il magistrato a comprendere i fatti oggetto del giudizio, a usare la bilancia e non la spada. Anch'essi tentano di sfuggire all'ansia decisionale ricorrendo alla rassicurazione dei propri riferimenti teorici preferiti, all' 'oggettività' dei test o al conformismo di ciò 'che è pacifico, assodato', come quando forniscono una veste 'scientifica' ai più vieti stereotipi e pregiudizi della comune opinione in materia di relazioni familiari e di 'interesse' del bambino. Altrettanto dicasi per l'ansia decisionale, più che motivata, presente nei genitori in via di separazione. Anche in questo caso esiste il rischio concreto, aggravato dalle conseguenze del fallimento del progetto coniugale e dall'iter legale della separazione, che altri decidano al posto dei genitori oppure che prevalga la logica della vittoria dell'uno sull'altro.

 Milano, 1999