Da tempo si attende che il Parlamento assuma le sue responsabilità
legislative e regoli una buona volta la materia.
La carta di soggiorno riconosciuta dalla
Questura di Reggio Emilia a un cittadino uruguayano sposato in Spagna con un
italiano, è la diretta conseguenza della sentenza del Tribunale che ha
annullato il diniego inizialmente opposto.
Il Tribunale ha affermato che il diritto dell’Unione europea, che ha tra i
suoi fondamenti la libertà di circolazione nei Paesi membri, implica il
diritto a veder tutelata l’unione familiare, così come formatasi nel Paese
di provenienza. Il Tribunale ha confermato che la questione del matrimonio
tra persone dello stesso sesso è di competenza dei parlamenti nazionali. Il
diritto dell’Unione però disciplina aspetti specifici che sono di sua
pertinenza e tra questi quello della libertà di circolazione. La sentenza
ricostruisce il diritto dell’Unione e quello italiano conseguente e limita
la sua portata ad un aspetto specifico: quello degli effetti sulla nozione
di famiglia di un matrimonio (come quello omosessuale ammesso dalla Spagna),
in funzione della libertà di circolazione dei cittadini europei nell’ambito
dell’Unione. Benché importante, si tratta di questione delimitata.
Ma il Tribunale chiude la sua motivazione con un richiamo che va ben oltre
il caso specifico, osservando come «lungi dall’attuare un riconoscimento
dello status matrimoniale, la soluzione adottata appaia comunque conforme
all’esigenza di dare attuazione al "diritto fondamentale di vivere
liberamente una condizione di coppia" riconosciuto all’unione affettiva tra
due persone dello stesso sesso dall’articolo 2 della Costituzione». Un
diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale con una sentenza del 2010 e
in linea con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti umani.
Quest’ultima ha confermato che appartiene agli Stati ammettere o negare i
matrimoni omosessuali, ma che le unioni omosessuali (come d’altronde le
unioni di fatto eterosessuali) danno luogo a una vita di famiglia, che va
rispettata e protetta. Nello stesso senso si è recentemente espressa la
Cassazione italiana sviluppando la motivazione di una sentenza con la quale
ha negato la possibilità di trascrivere in Italia un matrimonio omosessuale
celebrato all’estero. La Cassazione ha affermato che quel tipo di unione,
indipendentemente dalla forma matrimoniale che il diritto italiano
attualmente non ammette, merita il riconoscimento che deriva dal fatto che
essa costituisce una famiglia. E la Carta dei diritti dell’Unione ha voluto
espressamente considerare che esistono modi diversi dal matrimonio di
costituire una famiglia.
La Costituzione, come la Convenzione europea dei diritti umani e la Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, vieta ogni discriminazione
sulla base, tra l’altro, del sesso. Il divieto di discriminazione non
equivale però al diritto a un trattamento per ogni aspetto eguale. Ma ogni
differenza deve essere fondata su una differenza rilevante della situazione
disciplinata. Larga è in proposito la discrezionalità di cui il legislatore
può far uso, ma non senza limiti. Vegliano a che non ne abusi la Corte
Costituzionale e la Corte europea.
Ecco allora che la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia rivela un respiro
che va ben oltre il limitato caso concreto. I giudici nazionali ed europei
adottano ormai una linea univoca: che le unioni omosessuali siano o no
riconosciute come una forma legittima di matrimonio, è certo che esse non
possono essere trattate come un fatto irrilevante. Una serie di aspetti
della vita di coppia sono già presi in conto dalle leggi italiane. Il
Tribunale cita ad esempio il risarcimento dei danni derivanti dalla morte
del compagno, il trasferimento del contratto di locazione, il diritto del
convivente omosessuale di astenersi dal testimoniare. Altri diritti verranno
fatti valere davanti ai giudici, che dovranno giudicare tenendo presente che
in linea di principio il rispetto della vita familiare non può aver
contenuto diverso se si tratta di coppia omo o eterosessuale. Giudicheranno
interpretando le leggi in vigore, fin dove è possibile farlo in coerenza con
i principi affermati, oppure rinvieranno alla Corte Costituzionale l’esame
della costituzionalità di quelle leggi. E poi, se i ricorrenti non avranno
avuto soddisfazione vi sarà magari anche il ricorso contro l’Italia davanti
alla Corte europea dei diritti umani.
I Parlamenti spesso si dimostrano inclini ad evitare di prendere posizione
in materie sensibili, che dividono e suscitano emozioni profonde, radicate
nella tradizione e nell’abitudine secolare. I giudici invece non possono
sottrarsi all’obbligo di decidere le cause che vengono loro presentate. Un
poco per volta emerge un orientamento; nel nostro caso un orientamento
omogeneo in sede nazionale ed europea. Ma le decisioni dei giudici
riguardano ogni volta la sola questione posta e rischiano di non essere
costanti e univoche. Da tempo si attende che il Parlamento assuma le sue
responsabilità legislative e regoli una buona volta la materia. Piuttosto
che piccole specifiche disposizioni, è il momento della disciplina organica.
Comunque le si voglia chiamare, si tratta di riconoscere e disciplinare le
unioni omosessuali.
di Gustavo Zagrebelsky
tratto da
http://www.lastampa.it del
27/3/2012
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