Potenza Da una settimana senza contatti con la famiglia. Il Tribunale: scelta
difficile. L'appello di maestre e compagni di classe
Bimba di 8 anni portata in un istituto
dalla polizia. «Sindrome di alienazione parentale»
Un medico che ha visitato la minore: è
in profondo stato di prostrazione, chiede che la mamma la porti via
ROMA — Raccolta di firme. Appelli al capo dello Stato, al ministro della
Giustizia Alfano e al Csm. Gruppi di sostegno su Facebook. Una città intera,
Potenza, si mobilita in difesa di una bambina di 8 anni che lunedì 12 è
stata prelevata a scuola dalla polizia e dagli assistenti sociali e portata
in un istituto di suore. Neanche il tempo di salutare sua mamma, Marilena C.,
43 anni, laureata in chimica con doppio master universitario e una buona
posizione economica, alla quale è affidata dalla nascita. Da quel momento
non ha più potuto né vederla né sentirla per telefono. A disporlo
un'ordinanza del presidente del Tribunale dei minori dei Potenza, Pasquale
Andria.
Ma perché? Tutto nasce dal «no» della bambina a seguire nei weekend il
padre, Ugo B., professore universitario a Roma, già condannato per lesioni
nei confronti della madre della bimba. Dal maggio scorso, al ritorno da una
trasferta a Roma con il padre, la bambina, turbata, non vuole più saperne di
restare sola con lui. Sostiene di essere stata sgridata, picchiata e chiusa
fuori di casa. Ma il padre, determinato a far valere il suo «diritto »,
presenta un provvedimento di esecuzione mobiliare ottenuto dal Tribunale
civile e la va a prendere con la forza pubblica. Lei, aggrappata alla madre,
mentre i poliziotti tentano di portarla via si sente male, ha un forte rush
cutaneo, difficoltà respiratorie e finisce all'ospedale, ricoverata per
cinque giorni.
Il Tribunale dei minori di Potenza interviene e dispone una perizia. I periti
scrivono che «le figure genitoriali non presentano disturbi psichiatrici ».
Ma «la madre sta manifestando con chiarezza di esercitare sulla minore una
influenza alienante nei confronti del padre, da cui lei si difende come fosse
un nemico ». E la «condizione psicologica della minore è caratterizzata
dalla piena espressione di una sindrome di alienazione parentale». È la Pas:
una sindrome che può insorgere durante separazioni conflittuali se il
genitore affidatario attua una sorta di lavaggio del cervello al bimbo contro
l'altro. Un disturbo descritto per primo da Richard Gardner, psicologo morto
suicida a 72 anni, molto noto in Usa perché testimoniò (quasi sempre in
favore dei mariti) in oltre 400 cause di separazioni e divorzi, con
l'onorario di 500 dollari l'ora. E si attirò le accuse delle femministe di
aver inventato uno strumento ad uso dei padri e dei loro avvocati per
combattere in tribunale la propria ex moglie ed ottenere l'affidamento dei
figli.
«Dovrebbe essere proprio un mostro questa madre per far subire un tale
trauma alla bambina — contesta Emilia Costa, ordinario di Psichiatria
dell'Università La Sapienza - . Bisogna essere più cauti, perché la Pas
non ha basi scientifiche attendibili. Ci sono false diagnosi, che scambiano
per Pas un rifiuto a volte motivato del bambino. E metterlo in istituto gli
provoca un trauma maggiore. Meglio semmai affidarlo ai nonni ».
Ma il presidente del Tribunale dei minori di Potenza riconosce la Pas «non
tanto nel lato della bambina», «ma della madre» e dispone che la piccola
sia portata «in uno spazio neutro che funzioni da luogo di transizione verso
un nuovo assetto del sistema di relazioni». Il giudice Andria assicura che
si è trattato di «una scelta ponderata e difficile » e avverte che «il
clamore non fa bene alla bambina». Ma le maestre, i piccoli compagni di
classe, gli amici e i conoscenti gridano all'errore giudiziario. E, sostenuti
da tutta la città, si mobilitano al grido di «Liberatela».
Intanto la piccola sta male. Un medico inviato da sua nonna che l'ha visitata
ha dichiarato al giudice di averla trovata in un profondo stato di
prostrazione. Chiede della mamma e le scrive per implorarla: «Vienimi a
prendere».
Virginia Piccolillo
(Fonte: Corriere della Sera - NAZIONALE - Cronache -
data: 2009-01-20 a pag: 27)
Agire prima per evitare
traumi
Sono purtroppo frequenti i casi di
bambini, figli di genitori separati, collocati presso la madre che si
rifiutano di andare dal padre nei giorni e nei periodi concordati o fissati
dal giudice. La ipotesi contraria è invece rarissima e i padri separati
vivono questo rifiuto con dolore e con un senso di impotenza.
A volte questo rifiuto assume la connotazione di «sindrome di alienazione
genitoriale», una diagnosi difficile. Insomma il rifiuto del bambino è
visto come manifestazione di una vera e propria patologia e costituisce
l'effetto di una manipolazione, di un plagio che la madre compie in modo
sofisticato, senza mai dire al bambino «tu non devi andare dal papà».
L'operazione è molto più sottile, il rifiuto è un rifiuto indotto.
È chiaro che un atteggiamento così dannoso nei confronti di un bambino va
sanzionato duramente. La misura estrema e traumatica è la collocazione del
minore in un istituto, in una struttura che dovrebbe proteggerlo. Ma sarebbe
auspicabile che l'azione del giudice fosse preventiva con provvedimenti
sanzionatori da assumere prima che il danno si verifichi.
Cesare Rimini
(Fonte: Corriere della Sera - NAZIONALE - Cronache -
data: 2009-01-20 a pag: 27)
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