di FULVIO SCAPARRO
La
crescente attenzione della giurisprudenza e della dottrina ai temi della
culpa in educando e della culpa in vigilando, la comune esperienza e la
ricerca internazionale convergono sul ruolo decisivo dei genitori e
dell’ambiente di vita nella crescita dei figli. Il moltiplicarsi di
comportamenti particolarmente odiosi che vedono protagonisti adolescenti in
episodi di violenza sessuale, omicidi e ferimenti, bullismo, rapine e
vandalismo, non può essere contrastato se non si tiene conto del fatto che
un minorenne, proprio perché tale, è, volente o nolente, anche il risultato
dell’azione o dell’inazione di chi ha o dovrebbe avere nei suoi confronti
responsabilità educative e di vigilanza.
La maggioranza dei genitori avverte ed esercita con il massimo impegno la
funzione di guida e di avviamento dei figli al rispetto delle regole di
convivenza, non predica ma dà l’esempio, sa dire di «no» quando è il
caso, accetta gli inevitabili conflitti generazionali. Fanno quello che
possono pur sapendo che il risultato non è sempre garantito perché gli
adolescenti possono essere influenzati negativamente da ambienti, modi di
pensare e stili di vita che instillano nei ragazzi l’idea che sia meglio
prendersi ciò che piace senza tener conto del danno e del dolore che
provocano nelle loro vittime.
Quando però sono accertate le carenze educative di padre e madre che per
negligenza, disinteresse, opportunismo o desiderio di compiacere i figli, non
hanno trasmesso loro nemmeno la coscienza del disvalore della propria
condotta, allora è il momento di richiamare anche i genitori a rispondere
delle conseguenze degli atti dei loro ragazzi.
Il fatto poi che padre e madre siano separati o divorziati e che i figli
convivano soltanto con uno dei genitori non deve in alcun modo, nello spirito
della recente legge sull’affido condiviso, far pensare che il dovere
educativo non riguardi entrambi. Si potrà discutere, caso per caso, sulla
impossibilità per un genitore non convivente di vigilare quotidianamente sul
comportamento dei figli ma, quando questo avviene, è spesso la conseguenza
della cattiva comunicazione tra padre e madre e del sussistere di un
conflitto che impedisce a uno dei genitori di esercitare appieno la sua
funzione educativa e ai figli di avere genitori che, pur separati,
collaborano tra loro.
Se vogliamo aiutare le vittime di questo crescendo di violenza e prevenire
nuovi dolori e nuove offese, non basta riconoscere loro il diritto al
risarcimento morale e materiale per le loro sofferenze, non basta punire i
giovani autori materiali dei reati ma occorre individuare e accertare anche
le responsabilità di chi non ha fatto quanto in suo potere per educare i
propri figli se non all’amore almeno al rispetto del prossimo.
articolo pubblicato sul Corriere Della Sera del 4
febbraio 2010
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