Lorenzo Salvia - dal Corriere Della Sera del 12 gen 2010
Riparte la discussione in Parlamento
interrotta nel 2003
ROMA — Le proposte sono tre, identiche nella sostanza ma con qualche
variazione sul tema. Vogliono accorciare il tempo minimo che deve passare tra
la separazione e la richiesta di divorzio. Tre anni secondo la legge in
vigore, anche se poi in tribunale spesso diventano il doppio. Un anno secondo
queste tre proposte che, dopo il fallimento di sei anni fa, portano di nuovo
in Parlamento il cosiddetto divorzio breve. Oggi ne comincerà a discutere la
commissione Giustizia della Camera, la stessa che si occupa del legittimo
impedimento.
I tre disegni di legge arrivano sia dalla maggioranza che dall’opposizione.
Il più semplice è quello della Pd Sesa Amici. Il periodo minimo di
separazione, che scatta dal momento in cui marito e moglie vanno dal
presidente del tribunale, viene tagliato da tre ad un anno in tutti i casi.
Più morbido il testo firmato da Maurizio Paniz, deputato Pdl sponda Forza
Italia. Il termine scende ad un anno solo se non ci sono figli minori.
Altrimenti resta a tre anni, come adesso. Ancora più articolata la proposta
che arriva da Marcello De Angelis, anche lui Pdl ma sponda An: un anno se ci
sono figli con meno di 14 anni, sei mesi se i figli non ci sono oppure hanno
più di 14 anni. Al di là delle differenze, il ragionamento dei tre deputati
è lo stesso. Il periodo tra la separazione e il divorzio non funziona da
pausa di riflessione, come nelle intenzioni del legislatore di 40 anni fa.
Anzi, spesso si trasforma in un supplemento di veleni e rancori, quando il
matrimonio è già finito ed è solo la legge a considerarlo ancora in piedi.
«Il nostro obiettivo non è certo attentare alla stabilità dell’istituto
matrimoniale» dice l’onorevole Paniz che oltre ad aver firmato una delle
tre proposte è anche il relatore in commissione e quindi guiderà il
dibattito. Come spiega la relazione che accompagna un altro disegno di legge,
quello firmato da De Angelis, l’intenzione è «non aggravare le situazioni
personali di chi, a volte anche non per propria scelta, è nelle condizioni
di dover intraprendere questo difficile cammino». Più o meno sono le stesse
parole che nel 2003 usò Elena Montecchi, la deputata Ds che firmò la prima
proposta sul divorzio breve. Allora finì con un nulla di fatto. Dopo
l’accordo trovato in commissione, in Aula arrivò su richiesta di Forza
Italia il voto segreto su un emendamento di Lega e Udc che cancellava la
sostanza del disegno di legge.
L’emendamento venne approvato con l’appoggio dei cattolici dei due
schieramenti, con un’alta percentuale di assenze bipartisan. E con la
solita coda polemica. Rutelli: «Nell’agenda delle priorità italiane il
divorzio breve è al 500/mo posto»; Fassino: «Era meglio quando c’era la
Dc»; Alfredo Biondi (Fi): «Tutta colpa della ricompattazione dei guelfi».
Il tutto mentre la Lega accusava l’Udc di «voler il monopolio della
battaglia contro il divorzio breve». Possibile che stavolta vada
diversamente? Il relatore Paniz è prudente: «Ci sono segnali positivi. In
fondo è solo una questione di civiltà» |