Per il governo l’attuale sistema funziona: più semplice ed economico
Coppie e avvocati chiedono di emendare la legge del 2005
PARIGI — «Vai a divorziare come se
andassi a vendere una macchina, in cinque minuti, mentre hai voglia solo di
piangere». Camille, 34 anni, si è pentita del suo «divorzio-express» da
Bertrand due anni fa. Ci ha pure rimesso dei soldi: «Per crescere i nostri
due figli versiamo la stessa cifra, ma mio marito guadagna più di me. Allora
ero troppo stressata per pensarci...».
Troppo stress, troppa fretta? Quattro anni dopo la legge che ha abbreviato i
tempi del divorzio consensuale, i francesi si interrogano su vantaggi e danni
della rupture facile . Il governo giudica la riforma un successo: «Più
semplice, più economico (un avvocato in due, ndr ), meno conflittuale».
Pubblico e avvocati non sono così sicuri, anzi molti propongono di emendare
la legge. Se ne fa portavoce Jacqueline Leduc-Novi sul quotidiano Libération
: «Il Parlamento dice di aver 'pacificato il divorzio' favorendo le persone.
In realtà ha voluto alleggerire i tribunali».
Alleggerimento riuscito. Lo dice il rapporto presentato in questi giorni dal
ministero della Giustizia: prima della riforma si smaltiva entro l’anno
soltanto il 25% dei casi. Nel 2005 le pratiche chiuse sono salite al 40%. Nel
2007 i divorzi consensuali erano il 55% (su un totale di 134 mila), contro il
41% del ’96 (120 mila casi complessivi). I divorzi «forzati » (per
tradimento eccetera) diminuiscono. Ma si complicano: la Corte di Cassazione
francese ha stabilito che gli sms possono costituire prova (come i diari, le
e-mail), ribaltando una sentenza d’Appello contro una donna che aveva
portato in tribunale un messaggino compromettente trovato sul cellulare
aziendale del marito.
Battaglie legali che si risparmia chi accetta la via «amichevole». Bastano
in media tre mesi (contro i 9 di prima) se ci si mette d’accordo su tutto:
denaro, beni, figli. La vecchia legge prevedeva due incontri davanti al
magistrato, con un «intermezzo di riflessione» fino a 9 mesi.
«Quello previsto dalla legge del 1975 era un intermezzo giusto — sostiene
l’avvocato Franck Méjean, autore di una Guide du divorce et de la séparation
- soprattutto per il bene dei figli. La cosa migliore sarebbe un doppio
sistema: udienza singola per coppie senza figli, due udienze con bambini di
mezzo. Cinque minuti non bastano per decidere la sorte di molte vite».
La pentita Camille sarebbe d’accordo. Il presidente della Repubblica meno.
Nel 2007 in occasione del divorzio lampo tra Nicolas Sarkozy e Cécilia il
portavoce dell’Eliseo dovette assicurare che non c’era nessuna corsia
preferenziale: «Hanno seguito i tempi di legge ».
Legge che non è in discussione. La maggioranza di centrodestra non fa marcia
indietro. Anche se un emendamento del 2008, ancora più «semplificante», è
stato abbandonato. Avrebbe reso possibile divorziare consensualmente davanti
a un notaio anziché davanti a un giudice. «Ma il problema di fondo resta:
il governo vuole far credere alla gente che separarsi è una cosa banale »
attacca l’avvocato Leduc- Novi. Divorziare in Francia come sposarsi a Las
Vegas.
Battaglia «conservatrice »? È Libération , il giornale già bandiera
della sinistra, a dare spazio ai dubbi sul «divorzio facile». Nessuno pensa
di cancellare una conquista della Rivoluzione Francese, poi ristretta da
Napoleone e quindi abrogata con la Restaurazione. «Abbiamo atteso due secoli
per riprenderci quel diritto» scrive Libé in un editoriale. Però occorre
«senza dubbio modulare le procedure». E magari rallentarle.
Michele Farina
In Italia
SI RIDUCANO I TRE ANNI DI ATTESA
di CESARE RIMINI
I tre anni di meditazione che la legge
italiana impone non sono mai serviti per riconciliazioni e nemmeno per
ripensamenti. Le statistiche sugli esiti positivi della riflessione rivelano
numeri praticamente uguali a zero.
L’eccezione conferma la regola, come nel caso di una coppia sposata con
rito concordatario che ha ottenuto l’annullamento del matrimonio e poi si
è risposata e, infine, ha divorziato. Il procedimento, passati i tre anni,
può essere abbastanza breve ma solo se c’è un accordo per un’istanza
congiunta. Se non c’è, la storia diventa infinita. I tentativi per ridurre
i termini di attesa — che sono i più lunghi nei Paesi che prevedono il
divorzio— non hanno finora avuto alcun successo. C’era stato un progetto
per portare il termine a un anno e poi anche per consentire il divorzio «breve»
solo nel caso che non ci fossero figli. La storia è finita nella consueta
contrapposizione tra chi vuol prendere atto della situazione di fatto — una
diminuzione dei matrimoni concordatari, un calo dei matrimoni civili e un
aumento delle coppie di fatto — e chi invece continua a sperare di salvare
il matrimonio con l’ostacolo del termine dei tre anni. Che, come dicevamo,
raggiunge solo lo scopo di impedire una nuova unione a chi ha ancora la
speranza e la fiducia nell’istituzione. È chiaro che il modello francese
apparirà sempre per l’Italia troppo disinvolto ma indubbiamente la
riduzione del termine di attesa e la semplificazione delle procedure, quando
l’accordo tra i coniugi c’è, sono aspirazioni che dovrebbero essere
perseguite, almeno in omaggio allo spirito di concretezza. E non bisogna
dimenticare che anche chi ha avuto un’esperienza matrimoniale negativa ha
pur sempre il diritto di guardare al suo futuro. Ciò non toglie naturalmente
che chi riesce a realizzare il sogno di un matrimonio indissolubile— per
ragioni religiose o civili — resta il simbolo dell’ottimismo, della
speranza ed anche oggetto di un po’ d’invidia.
Articolo
pubblicato sul Corriere della Sera, del 19 agosto 2009
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