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"Primum non nocere"

"Primum non nocere", era quanto raccomandava Ippocrate (460-375 a.C. circa) e "Phàrmakon" veniva definita, nei primi poemi omerici, qualunque sostanza che, se introdotta nell'organismo, poteva divenire, in base al suo dosaggio, un rimedio, un medicamento, oppure un veleno. E' da questa ambivalenza, da un equilibrio tra "morte" e "vita", tra superstizione e scienza che l'umanità seppe costruire farmaci per contrastare i morbi che la affliggevano.

<<L'ingegnosità dell'uomo l'ha portato sempre ad appassionarsi nel cercare di variare forme e combinazioni di medicamenti>> affermava, nel 1875, William Withering, medico inglese, a cui si deve la prima valutazione clinica, con i relativi dosaggi, della digitale: pianta notevolmente tossica, ma che contiene importanti sostanze utili nella terapia dell'insufficienza cardiaca. Gia' molti secoli prima, però, Crateva, medico e "farmacologo" di Mitridate, re del Ponto (132-66 a.C.), aveva elaborato un medicamento che si basava sull'equilibrio tra veleni e contravveleni. Tale medicamento, composto essenzialmente da piante medicinali e da carne di vipera, veniva chiamato Teriaca (dal greco tàraca, dove tar significava salva, o leva da pericolo). La Teriaca è stata utilizzata per diciotto secoli, fino a quasi tutto l'ottocento.

E' importante sapere che non tutte le piante sono innocue, che non esistono piante buone o cattive, dipende dall'uso che se ne fa. E' dunque necessaria una corretta informazione per evitare spiacevoli inconvenienti per la nostra salute; a fronte delle piante medicinali pericolose ve ne sono moltissime di indubbia efficacia e innoquita'. E' fondamentale, per la corretta preparazione  dei rimedi vegetali, stabilire il giusto dosaggio di ogni pianta nelle varie forme farmaceutiche, per ottenere la massima efficacia e per evitare fenomeni tossici. Bisogna, inoltre, tener presente che tra le cause di tossicità si deve tenere in debito conto la contaminazione ambientale delle zone di raccolta, l'interazione tra le diverse piante, le sofisticazioni, ecc.

Vi sono piante che pur essendo pericolose, se ingerite, possono fornire alcuni principi attivi di valido aiuto per molte gravi patologie. Il tasso (Taxus baccata; fam.: Taxacee), a esempio, conosciuto anche con il nome di "albero della morte", contiene un'importante sostanza: il tassolo, ad azione antitumorale. L'avvelenamento che si ha, ingerendo i semi di questo albero, è grave; il paziente avverte vertigini, disturbi visivi e puo' avere diarrea e vomito. Le pupille possono diventare midriatiche (cioè dilatate) e sulla cute possono comparire ecchimosi. Il quadro clinico si aggrava e, dopo uno stato di eccitazione del sistema nervoso centrale, sopraggiunge una fase depressiva. Si puo' quindi instaurare difficolta' respiratoria (dispnea) e bradicardia (rallentamento della frequenza dei battiti cardiaci). Ovviamente il tasso non va prescritto nelle comuni preparazioni fitoterapiche.

L'aconito (Aconitum napellus; fam.: Ranuncolacee) è molto tossico, è da evitare la raccolta i suoi splendidi fiori azzurro-violacei a forma di elmo. Il veleno di questa pianta, infatti, può penetrare attraverso la pelle.

Anche l'edera (Hedera helix; fam.: Araliacee), un rampicante sempre verde che si attacca a tronchi, muri, fessure di rocce con le sue radichette avventizie, è velenosa, in particolar modo i frutti; l'uso per via interna di foglie e rametti è da sconsigliare, mentre può essere adoperata esternamente. La sintomatologia dell'avvelenamento è caratterizzata da nausea, vomito, pallore, eccitamento prima e depressione poi del sistema nervoso centrale, coma e depressione circolatoria.

Il bosso (Buxus sempervirens; fam.: Buxacee), per i Greci sacro a Plutone (dio protettore degli alberi sempre verdi), è notevolmente tossico. E' un arbusto proprio dele zone mediterranee, anche coltivato come pianta ornamentale e da siepe. Ha foglie molto tossiche (anche per gli animali) e si segnala la possibilità che provochi dermatiti da contatto; può essere utilizzato esternamente.

Pur avendo delle interessanti virtu' terapeutiche, il fico (Ficus carica; fam.: Moracee) contiene, nelle foglie, le furocumarine che hanno azione fotosensibilizzante. Il decotto abbronzante di questa pianta può risultare molto pericoloso per chi si espone ai raggi solari; non va inoltre dimenticata l'azione altrettanto pericolosa del suo lattice che è stato, pero', utilizzato contro verruche e porri.

Felce

Dryopteris filix-mas (L.) Schott. (Disegno di Carmen Basile)

Le furocumarine sono presenti anche nel bergamotto (Citrus bergamia Risso; fam.: Rutacee), si sconsiglia quindi l'uso di prodotti che contengano olio essenziale di questa pianta, poiché è in grado di provocare dermatiti bollose.

Sempre per la presenza di furocumarine, andrebbe evitato l'uso esterno del sedano (Apium graveolens; fam.: Apiacee) che potrebbe provocare dermatiti.

Anche il dittamo (Dictamus albus; fam.: Rutacee), o frassinella, potrebbe provocare fotodermatite tossica per la presenza di psoraleni.

L'Ammi majus (apiacea), localmente utilizzata nel trattamento della vitiligine, è sconsigliata e vietata in cosmesi per il suo contenuto di bergaptene.

L'olio essenziale di limone e di pompelmo presenta il rischio di dare fotosensibilizzazione, così come potrebbero dare lo stesso effetto la Pastinaca sativa, l'angelica, il coriandolo, il levistico, il cumino.

Il prezzemolo, il cui impiego in fitoterapia deve esser fatto con cautela (attualmente ne sconsiglierei l'uso), contiene cumarine e furocumarine nelle foglie.

La drosera (Drosera rotundifolia L.), appartenente alla famiglia delle Droseracee, si diceva fosse usata dalle streghe per i loro sortilegi, è caratterizzata da foglie munite di peli rigidi e rossi che presentano, sull'apice, delle ghiandole digestive secernenti liquido vischioso in grado di attirare e catturare gli insetti. Questi succhi sono uguali alla tripsina, un succo pancreatico presente nei mammiferi. La drosera, che va adoperata con cautela, trova indicazione  come sedativo della tosse, nella bronchite, nella pertosse e come diuretico. Interessante è la sua azione antibiotica attiva soprattutto negli stafilococchi, streptococchi e pneumococchi.

Una trattazione particolare meritano alcune piante appartenenti alla famiglia delle Solanacee, fra cui vi sono melanzane, pomodori, peperoni.

La più magica e misteriosa delle erbe, conosciuta nell'antichità come afrodisiaca, è la mandragora che godeva fama di straordinarie virtù terapeutiche, come ad esempio quella di curare la sterilità femminile. La mandragora, che entrò a far parte della teriaca, mentre Santa Ildegarda  di Bingen la apprezzava come antidolorifico, consumata dalle streghe nei Sabba per dotarsi di poteri eccezionali, era anche in grado di provocare allucinazioni e deliri. Attualmente, la radice di mandragora, dotata di una notevole tossicità, pur contenendo atropina ha una scarsa importanza farmacologica.

Le donne veneziane, nel XVI secolo, per ravvivare la luminosità dello sguardo e dilatare le pupille, usavano la belladonna(Atropa belladonna; fam.: Solanacee). Anticamente questa pianta serviva a preparare la "pomata della strega", utile a rendere insensibile la pelle prima di un intervento. La belladonna è molto tossica, fiorisce in estate con bei fiori rosso porpora; le sue bacche nere e lucenti, definite dai francesi "ciliege della follia", possono essere mortali se ingerite. Contiene atropina, utilizzata in medicina per la sua azione antispasmodica, antiasmatica e midiatrica (provoca dilatazione della pupilla).

Usato nel Medioevo per confezionare filtri magici in grado di evocare il demonio (per questo era chiamato anche "erba del diavolo"), il giusquiamo (Hyoscyamus niger; fam.: Solanacee) è una pianta erbacea velenosa. Secondo Scribonio era anche chiamato altercum poiché coloro che ne mangiavano perdevano di lucidità e razionalità, e per un nonnulla davano inizio ad alterchi anche violenti. Contiene alcaloidi, L-josciamina, joscina, atropina, scopolamina. La medicina utilizza la scopolamina  per la prevenzione della sintomatologia del mal di mare, del mal d'auto e aereo; ha dunque un potente effetto anticinetosico (così come l'atropina). Le preparazioni farmaceutiche sono cerotti che si applicano dietro l'orecchio, per far assorbire piccole quantità di scopolamina. Tali preparazioni sono indicate in somministrazione singola, in brevi viaggi.

La morella o solatro (Solanum nigrum; fam.: Solanacee) è usata come narcotico, analgesico e spasmolitico; ha foglie simili a quelle del pomodoro, ma bisogna far attenzione: tutte le parti verdi e le bacche sono velenose.

Veleni dunque, ma anche contravveleni che, se opportunamente estratti e adoperati, ai giusti dosaggi e nelle opportune forme farmaceutiche, possono essere impiegati nella pratica medica.

Nel 1862 Fraser scoprì la capacità di contrarre la pupilla, fu invece merito di Jobst ed Hesse, nel 1864, l'ever isolato la fisostigmina.  Si sta parlando della Fava di Calabar che, secondo la Storia Naturale Medica <<[...] si sa che è un veleno potente e che molte persone  sono morte per aver mangiato l'embrione di questo seme>>. La moderna farmacologia, partendo dalle scoperte del secolo scorso, utilizza la fisostigmina (o eserina) in oculistica come miotico nel glaucoma; adoperata per via endovenosa è antagonista dell'atropina, ed è in grado di agire sul sistema nervoso centrale, poiché la fisostigmina può penetrare nell'encefalo.

<<[...] vale la decottione delle radici per mollificare le giunture indurite per dislocagione [...] mollifica le durezze, e l'enfiagioni, e ristaura le rotture dell'ossa>>. Così scriveva il Mattioli (1500) dell'agrifoglio (Ilex aquifolium; fam.: Aquifoliacee), arbusto o piccolo albero sempreverde molto longevo, diffusissimo in Italia. L'agrifoglio, coltivato nei giardini per la bellezza delle sue foglie verde cupo, presenta delle bacche (frutti) di colore rosso che maturano in autunno, e durano tutto l'inverno. Sono proprio le bacche che rappresentano la parte tossica; mentre le foglie, utilizzabili in terapia, lo sono in misura minore. L'ingestione di alcuni frutti è in grado di provocare  uno stato infiammatorio, di notevole gravità, dell'apparato gastrointestinale. Si potrebbero avere diarrea o addirittura fenomeni convulsivi; mentre l'ingestione delle foglie, non solo provoca un'azione lassativa, ma anche un aumento della diuresi. Interessante è l'applicazione terapeutica delle foglie (che abbiano almeno un anno di vita però) che vengono utilizzate in tintura negli stati febbrili, come antireumatiche e diuretiche.

Gia' conosciuto come medicamento da Galeno e Dioscoride, noto ai Germani dell'antichita', considerato sacro dai Druidi,, cosi' come Plinio riferisce, il vischio (Viscum album; fam.: Lorantacee) è una pianta semiparassita che, per mezzo degli "austori" (simili a radici), vive sui tronchi di altre piante. Predilige vivere sul pino silvestre, sull'abete bianco e sui pioppi. Assume i contorni di un cespuglio, presenta foglie coriacee, persistenti e arrotondate alla base; i frutti sono bianco-perlacei e dalla polpa gelatinosa. E' una pianta tossica va, quindi, usata con molta cautela; è indicata in terapia come ipotensivo e diuretico, ma si segnala anche un'azione emostatica. E' usato in estratto fluido e in tintura madre; la sua tossicita' è dovuta soprattutto alle bacche e l'intossicazione si manifesta con diarrea sanguinolenta, vomito e sete. Come nell'intossicazione da digitale, si può manifestare bradicardia (rallentamento del battito cardiaco). La situazione può aggravarsi fino ad arrivare a un quadro di shock; si puo' anche avere ipotensione.

L'Euphorbia pulcherrima, che appartiene al genere delle Euforbie, che comprende circa 680 specie, è conosciutissima con il nome di stella di Natale e, pur non avendo virtu' terapeutiche, merita un cenno particolare poiché risulta notevolmente tossica. Pianta molto bella che nei paesi tropicali (suo habitat originario) può anche raggiungere le dimensioni di un albero, la stella di Natale è molto tossica; le sue foglie, se ingerite, possono addirittura risultare mortali e la sintomatologia è a carico dell'apparato digerente e si manifesta con nausea, vomito e diarrea. Successivamente potrebbe sopraggiungere uno stato convulsivo e perdita della coscienza. Anche il lattice del frutto, al contatto della pelle e delle mucose, provoca fenomeni infiammatori.

Caffe'

Coffea arabica L. (Disegno di Carmen Basile)

Un'altra pianta legata alla tradizione natalizia è il rusco (Ruscus aculeatus; fam.: Liliacee); è una pianta protetta il cui frutto è una bacca sferica e rossa. E' utilizzabile nella terapia delle varici venose, delle emorroidi, dell'insufficienza venosa, delle flebiti. La pianta trova ottima indicazione come antinfiammatorio e come antiedemigeno. Occorre però fare attenzione alle bacche (che contengono saponine) e la cui ingestione provoca alcuni disturbi gastrointestinali (vomito, diarrea). Si deve a William Withering la prima valutazione clinica, con relativi dosaggi, della digitale, pianta che, sia pur dotata di notevole tossicita', contiene importanti sostanze che la rendono utilizzabile nella terapia dell'insufficienza cardiaca e come cardiotonico.

Per la preparazione del farmaco chiamato "digitale", l'industria farmaceutica utilizza la Digitalis lanata (fam.: Scrofulariacee) che contiene importanti sostanze cardioattive quali la digitossina e il lanatoside C, che sono i digitalici naturali usati nella preparazione di farmaci impiegati in terapia. La digitale rappresenta il principale farmaco utilizzato nella terapia dell'insufficienza cardiaca acuta e cronica; i farmaci digitalici, inoltre, agiscono anche a livello del sistema nervoso centrale e della muscolatura dei vasi. Anche la Digitalis purpurea (fam.: Scrofulariacee), digitale rossa o purpurea, è utilizzata come cardiotonico e nell'insufficienza cardiaca; è caratterizzata da fiori porporini, dalla forma a ditale, da cui le deriva il nome.

La brionia, o zucca matta, che i botanici chiamano Bryonia dioica (fam.: Cucurbitacee), il cui uso purgativo e diuretico è stato del tutto abbandonato, era già presente nel Supplemento al Dizionario di sanità (1784) nella classe <<De purganti primari>>. Se si ingeriscono le radici o le bacche di questa pianta si possono avere gravi fenomeni di intossicazione che inizialmente si manifestano con disturbi gastrointestinali e, in seguito, con crisi convulsive, abbassamento della temperatura e coma.

Altra pianta che potrebbe risultare mortale è il ricino (Ricinus communis; fam.: Euforbiacee); è originaria dei paesi caldi dove puo' raggiungere anche i dieci metri di altezza. Il frutto (si raccoglie in novembre) di questa pianta è una capsula che contiene un seme liscio e rossastro; la parte velenosa è data proprio dai semi, l'ingestione, infatti, di tre o quattro di essi è in grado di provocare la morte di un bambino. L'intossicazione acuta, di solito, si manifesta a distanza di alcune ore dall'ingestione ed è caratterizzata da sintomatologia gastrointestinale con vomito, intensi dolori addominali e diarrea con perdite ematiche. L'olio di ricino, pero', deve essere considerato un purgante innocuo, ma è controindicato nella stipsi cronica; lo si ottiene mediante torchiatura a freddo dei semi, privandolo della ricina: sostanza altamente tossica. Molto interessante, inoltre, è l'uso che nell'Assam (India nord-orientale) si fa, ancora oggi, delle foglie di ricino per alleviare i dolori delle mestruazioni (tale pratica terapeutica, però, è comunque sconsigliata). La ricetta indiana prescrive due o tre foglie di ricino da scaldare sul fuoco e da applicare sulla pelvi; le foglie debbono essere tenute calde e cambiate dopo breve tempo.

Mango

Mangifera   indica L. (Mango) Disegno di Carmen Basile

Cinnamomum camphora (fam.: Lauracee) è il nome latino della canfora, albero della Cina e del Giappone, diffuso in India, Skry Lanka, Indonesia e nelle aree dal clima mite dell'Europa. Si racconta che anticamente i monaci, per alleviare il voto di castita', portassero un po' di canfora cucita in sacchetti poiché, secondo il Regimen sanitatis, <<la canfora attraverso le narici rende frigidi, con il suo odore, i maschi>>. Distillando il legno di quest'albero si ottiene una sostanza chiamata canfora, che viene impiegata come antitarme in tavolette allo stato solido, o in soluzione oleosa, o alcolica al 10% per frizioni o massaggi muscolari. La canfora però è, anch'essa, notevolmente tossica; l'ingestione di circa un grammo puo' provocare avvelenamento mortale nei bambini; dosaggi più alti sono letali anche negli adulti.

Altra pianta particolare è l'assenzio (Artemisia absinthium; fam.: Composite), pianta molto aromatica, dal sapore amarissimo, che presenta foglie ricoperte da peluria biancastra, che dona a tutta la pianta un caratteristico colore argenteo. Dioscoride racconta che l'assenzio era usato contro le tarme, le cimici, le pulci e i topi; mentre nel secolo scorso lo si riteneva utile contro le febbri intermittenti e come antielmintico. L'assenzio, pero', contiene una sostanza molto tossica, il thujone (presente anche in altre piante); si sono avute, infatti, intossicazioni molto gravi in seguito all'ingestione di decotti molto concentrati, utilizzati a scopo abortivo, di questa pianta. E' risaputo, inoltre, che i vermut contengono thujone e, nel 1981, un comitato di esperti FAO-OMS ha stabilito, per gli additivi alimentari, il massimo quantitativo di thujone che per le bevande non puo' superare 0,5 mg/kg e per gli amari 35 mg/kg.

 

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LA TOSSICITA'

 

Compito della tossicologia è lo studio degli effetti dannosi che una determinata sostanza provoca sugli organismi viventi. La tossicità delle piante può interessare l'organismo nelle seguenti maniere.

 

Tossicita' locale

Per contatto con alcune erbe e piante si possono avere lesioni, che interessano le mucose e la cute, di tipo irritativo e/o caustico. Frequenti sono le dermatiti allergiche e da contatto (eruzioni cutanee, bollose). L'intolleranza al pomodoro si puo' accompagnare anche a stomatite. Esistono anche dermatosi provocate dall'esposizione alla luce solare, in persone che hanno in precedenza usato sostanze quali: bergamotto, o prodotti contenenti furocumarine, come a esempio il fico (Ficus carica L.), le cui foglie rivestite di peli e ricche di lattice possono essere irritanti. Non bisogna dimenticare l'ortica (Urtica dioica L.) per il suo contenuto di istamina, e l'ananas (Ananas sativus) di cui è riportato, in letteratura, un caso di dermatite bollosa causata dal succo del frutto.

Ananas

Ananas sativus L.

 

Tossicita' sistemica

Si stabilisce in rapporto alle qualita' e caratteristiche del principio attivo; è opportuno ricordare che nei semi di mandorle amare (Prunus amygdalus varieta' amara), e anche nelle ciliegie, albicocche, pesche, prugne e nel lauroceraso, sono contenuti i glucosidi cianogenetici. Particolarità di questi glucosidi è quella di leberare, per idrolisi, acido cianidrico, sia a opera degli enzimi contenuti nelle piante, ma anche nel corso della digestione nello stomaco. L'intossicazione si manifesta per il fatto che lo ione CN- riesce a bloccare gli enzimi ossidativi preposti alla respirazione; ne consegue una grave forma di anemia isotossica. Le caratteristiche e le qualità del principio attivo contenuto nelle piante condiziona il carattere sistemico della tossicità; alcuni principi attivi possono risultare mortali anche se assunti in dose piccolissima.

 

Tossicita' limitata ad alcuni apparati

La tossicita' che riguarda le specie vegetali puo' interessare l'organismo o con carattere locale, o con carattere sistemico. Le piante medicinali, inoltre, possono subire contaminazioni esterne da parte di numerose sostanza, quali a esempio i pesticidi, le tossine microbiche, i gas, elementi radioattivi, metalli e microrganismi. E' da segnalare la possibile contaminazione con sostanze farmacologiche di sintesi (FANS, cortisonici, benzodiazepine), con ormoni tiroidei e con altre droghe vegetali, che possono risultare molto pericolose; a esempio: la digitale, la belladonna, il colchico, e la Rauwolfia serpentina, e piante medicinali contenenti gli alcaloidi pirrolizidinici. Per quanto riguarda le reazioni avverse (effetti indesiderati), queste possono essere cosi' schematizzate:

  • effetti collaterali;

  • effetti secondari;

  • reazioni allergiche;

  • reazioni parallergiche;

  • reazioni idiosincrasiche;

  • malattie iatrogene.

Le reazioni idiosincrasiche rappresentano una risposta molto particolare in quanto non sono allergie, né parallergie.

 

 

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Principali costituenti tossici

Tra i principali costituenti tossici delle piante medicinali si ricordano gli alcaloidi pirrolizidinici, i tannini, il safrolo, il b-asarone, i lattoni sesquiterpenici, l'estragolo, l'antecotulide, gli antrachinoni e gli ossalati.

 

Alcaloidi pirrolizidinici

Sono contenuti in diverse piante e tra queste: Alkanna tinctoria, Borrago officinalis, Crotolaria, Eupatorium cannabinum, Heliotropium, Lithospermum officinalis, Petasites, Pulmonaria, Senecio, Symphytum, Tussilago farfara. Gli alcaloidi pirrolizidinici hanno dimostrato un notevole grado di epatotossicità (in alcuni casi ben documentati nell'essere umano) con cirrosi epatica e ascite. Tale situazione viene attualmente definita con il termine VOD o "senesciosi" o malattia veno-occlusiva. Fortemente sospettati di indurre tumori epatici, questi alcaloidi sono tossici anche per il sistema nervoso centrale, per i polmoni ove possono provocare ipertensione polmonare, e anche per il cuore dove è possibile l'insorgenza di una ipertrofia del ventricolo destro. Piante contenenti alcaloidi pirrolizidinici non debbono mai essere somministrate  in gravidanza o nell'allattamento.

 

Tannini

Alcuni estratti di piante contenenti tannino hanno evidenziato un'attività cancerogena, e sotto osservazione sono le piante contenenti tannino come l'amamelide, l'uva ursina, la vite rossa, ecc. Anche i tannini del tè estratti e concentrati hanno evidenziato attività cancerogena. E' però opportuno precisare che tale osservazione non riguarda la pianta del tè in "toto", bensì solo un suo componente isolato. Le piante contenenti tannini vanno usate lontano dai pasti.

 

Safrolo

E' contenuto nell'olio essenziale di Illicium anisatum L., di Sassafras albidium Nees, Octoea cymbarum, Octoea pretiosa Benthed Hooc. Il safrolo, inoltre, è contenuto nella canfora, nella cannella e nella noce moscata. L'uso prolungato, in particolare a elevati dosaggi, dovrebbe essere evitato. Nel 1960, negli USA, è stato ritirato dal commercio l'olio di Sassafras albidium, utilizzato per aromatizzare delle bevande analcoliche, che aveva dimostrato azione cancerogena. Nell'erba cinese yangl-yangl (Cananga odorata Hook e Thomson) è contenuto un isomero del safrolo, l'isosafrolo, che è risultato cancerogeno, a livello del fegato, nel topo.

 

b-Asarone

L'olio essenziale di calamo aromatico contiene questa sostanza che nel ratto ha dimostrato di poter provocare cancro dell'intestino tenue. Il b-asarone, inoltre, danneggerebbe i linfociti umani e ha attività mutagena sui batteri.

 

Estragolo

Contenuto nel Foeniculum vulgaris e in altre piante; non si dovrebbe somministrare ai bambini.

Passiflora

Passiflora   incarnata L.

 

Antecotulide

Tutti i prodotti usati in cosmetica, o per via topica, non dovrebbero contenere questa sostanza (lattone sesquiterpenico) che può sensibilizzare la cute.

 

Antrachinoni

Viene citato (M. Palmery) uno studio epidemiologico condotto su settecento pazienti che presentavano depressione, anoressia, disturbi della personalità, in cui si evidenziava che circa il 80% di essi faceva un uso non occasionale  di sena, o piante contenenti antrachinoni. In Germania, inoltre, in un altro studio epidemiologico si è evidenziato l'aumento di incidenza del cancro del colon in pazienti che avevano una storia clinica di lassativi antranoidi; il diantrone è stato ritirato dal commercio per un'azione cancerogena nei roditori.

 

Oli essenziali

Nella prescrizione e nella somministrazione degli oli essenziali bisogna osservare diverse precauzioni di carattere generale. Ad esempio è sempre opportuno diluire l'olio essenziale nel caso sia somministrato per via orale; tali diluizioni possono avvenire in miele, tinture madri (1-5%), alcol etilico (80%) e olio vegetale. Se invece l'olio essenziale viene somministrato in aerosol occorrerà diluirlo in soluzione fisiologica (1-3 gocce di olio essenziale in circa 2 ml di soluzione). In pazienti sofferenti di asma bronchiale, o che ne abbiano sofferto, la somministrazione di olio essenziale per aerosol va evitata; ovviamente in pazienti sofferenti di fenomeni allergici, ipersensibili, l'uso degli oli essenziali andrebbe generalmente evitato, e sarà più opportuno verificare la tollerabilità individuale. Anche in caso di applicazione esterna l'olio essenziale, nella quasi totalità dei casi, va applicato diluito, solitamente in olio vegetale (2-5% per gli oli essenziali fenolici, fino al 20% per quelli più dolci). Infine, non si devono iniettate gli oli essenziali, non applicarli puri sulle mucose, osservare una grande attenzione in gravidanza, allattamento, pediatria, valutare sempre la loro tossicità.

 

Lattoni sesquiterpenici

Possono produrre diversi effetti farmacologici: reazioni allergiche (dermatiti da contatto), irritazioni cutanee, reazioni convulsivanti, effetti citotossici. Tra le piante  che contengono lattoni sesquiterpenici: arnica montana, enula, tanaceto, lattuga virosa, alloro, cardo benedetto, girasole, cicoria, piretro.

 

Ossalati

Rapidamente assorbiti dal tubo digerente, gli ossalati si combinano con il calcio serico a formare ossalato di calcio insolubile, con conseguente ipocalcemia e sintomi di privazione di calcio (tetania, tremori, crampi), si avrà anche danno renale (precipitazioni di cristalli di ossalato di calcio nei tubuli renali.

 

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