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paradosso dei contenuti (2): strategie ed esperienze editoriali
alberto
berretti
Il modello
editoriale sembra essere, sulla carta, il piú appropriato:
si paga per quello che interessa e si vuole leggere, senza
avere pubblicità tra i piedi. Eppure si fa strada con
difficoltà sulla rete internet. Eppure la maggior parte
degli esperti, come ad es. Gerry McGovern, considera i contenuti
a pagamento come il futuro della rete.
Ci sono svariate ragioni per cui è difficile profittare
da una impresa editoriale in rete. Da una parte, gli utenti
fin dall'inizio sono stati abituati all'idea che "internet
è gratis", che su internet "tutto è
gratis" e che i contenuti non devono essere pagati; accanto
a questo, vi è l'oggettiva difficoltà di ideare
meccanismi di tariffazione accettabili dagli utenti, soprattutto
se le cifre in gioco sono piccole (ad es. qualche migliaio
di lire). Dall'altra, tutto all'opposto, abbiamo il fatto
che produrre il tipo di informazione "in tempo reale",
"instant", e su base continuativa, ventiquattro
ore su ventiquattro e sette giorni su sette, che la gente
si attende da internet è difficile e costoso. Come
sanno oramai tutti, il grosso del costo di un sito web, anche
piccolo, anche semi-amatoriale, non consiste nel metterlo
su, ma nel suo continuo aggiornamento: ed un sito web non
aggiurnato, pieni di link "morti" che non portano
a nulla, con informazione vecchia ed inutile è quanto
di peggio si possa fare e costituisce una delle migliori "promozioni
in negativo" possibili. Infine anche il costo del personale
e delle tecnologie, per pubblicazioni in internet di qualità
e di buon livello, dirette ad un pubblico ragguardevole, può
essere elevato.
Ma vi sono ragioni piú profonde e piú complesse
da analizzare. Certamente si è realizzata una situazione
di saturazione di fornitori di contenuti che ha portato all'allineamento
verso il basso del loro livello: se, ad es., ogni giornale
va su internet, non si può poi pretendere che tutti
ritrovino, on line, la medesima nicchia che si sono trovati
nel mondo della carta stampata: per la semplice ragione che,
nonostante tutto, il giornale cartaceo è piú
facile da leggere e può essere messo nelle mani di
chiunque, il computer ancora no e probabilmente non lo sarà
mai; ovviamente tale sitazione di saturazione prescinde dalla
qualità dei contenuti proposti, anzi contribuisce al
loro livellamento verso il basso. La saturazione del mercato
dei contenuti, sia pur di basso livello, fa sí che
i costi di marketing salgano e diventino significativi, anche
troppo rispetto alle prospettive di ricavi: si pensi alle
faraoniche campagne pubblicitarie che alcuni grossi nomi del
settore in Italia hanno fatto negli ultimi tempi, con costi
del tutto sproporzionati rispetto alla materia del contendere.
Inoltre, nel mondo della carta stampata, la distribuzione
è anche una forma di pubblicità: il giornalaio
mette letteralmente sotto il naso del potenziale cliente il
prodotto da acquistare. Se la distribuzione del prodotto cartaceo
costituisce un costo, essa costituisce d'altra parte una formidabile
possibilità promozionale. Eliminare gli intermediari
utilizzando internet vuol dire essenzialmente che stavolta
è l'utente che deve farsi completamente carico della
scelta del prodotto: nessuno glielo mette sotto il naso. Internet
ha eliminato i costi della distribuzione fisica insieme ai
suoi vantaggi.
Infine, si sono nutrite troppe illusioni, troppe aspettative
su come sarebbe andato il mercato dei servizi internet: l'idea
era che bastava iniziare in qualche modo, magari conquistando
posizioni su qualsiasi terreno un po' alla cieca a forza di
acquisizioni, ed alla fine il modo di far soldi sarebbe emerso
- magari in borsa. Chi pensava di realizzare incassi plurimiliardari
vendendo bresaola on line si è dovuto ricredere (mentre
il negozietto di Pienza che pubblicizza il suo pecorino on
line vende tranquillamente anche all'estero, con un reach
infimo del suo sito ed un giro d'affari modesto, ma sufficiente
per far quadrare i conti). Da questo punto di vista, tutto
quello che è successo in borsa a partire dal 2000,
e cioè lo scoppio di quella che oramai è universalmente
stata chiamata dagli esperti finanziari la "bolla speculativa"
dei titoli tecnologici, ha avuto la funzione di un sano "reality
check", aiutando a separare il grano dal loglio.
Severissimo è stato il giudizio di George Colony, "Chief
Executive Officer", vale a dire Direttore Generale, e
Presidente del Consiglio d'Amministrazione della prestigiosa
società di consulenze americana Forrester Research.
In un articolo pubblicato sul sito internet della sua società
nell'aprile 2000 dal titolo "hollow.com", come dire
"stupido punto com", Colony attacca pesantemente
le schiere di dilettanti allo sbaraglio che sono state le
prime vittime della "crisi" della cosiddetta "New
Economy" che ha caratterizzato il 2000. "La maggior
parte dei dirigenti delle società puntocom mancano
di profondità, di esperienza e del comune senso degli
affari", è stato il giudizio senza pietà
dell'analista americano. L'unica dinamica che sembra aver
guidato tali dirigenti è stata quella del rapido arricchimento,
portando le loro società alla valutazione del mercato
(leggi in borsa) senza preoccuparsi minimamente del loro valore
reale, l'unica cosa che conta sul lungo periodo: società
"built to flip", costruite per essere vendute al
primo offerente per una manciata di liquidità. E si
sta parlando degli Stati Uniti: la principale differenza con
l'Italia è che da noi è mancato il senso critico
di un George Colony.
Certamente nessuno ha trovato ancora il modo di sviluppare
un modello di business per l'impresa editoriale in rete che
funzioni a colpo sicuro: occorrerà sicuramente sperimentare
ed accettare perdite e fallimenti. Ma occorre anche provare,
con quel sano senso critico ed autocritico che permette di
imparare dai propri errori.
Certamente le piattaforme interattive alternative (wireless,
televisione digitale interattiva) offrono maggiori possibilità:
chi usa il telefonino, ad esempio, non è abituato ad
avere "tutto gratis" come, apparentemente, su internet
(pagando qualche centinaio di lire ad es. per un SMS che all'operatore
costa poche lire). Gli utenti possono essere facilmente convinti
a pagare qualche lira per avere previsioni del tempo, o notizie
fresche, sul telefonino, e la piattaforma permette anche di
realizzare facilmente forme di micropagamento, come abbiamo
visto nel capitolo precedente. Questo vale maggiormente in
un paese come l'Italia in cui vi è ancora una certa
diffidenza verso l'uso della carta di credito, mentre praticamente
tutti sono abituati alla rituale "ricarica" del
telefonino.
Inoltre, l'apparire del modello editoriale può essere
facilmente anticipati in settori specialistici dell'informazione,
come ad es. quella economico-finanziaria o tecnico-scientifica,
in cui il costo d'accesso viene visto come una spesa necessaria
per la realizzazione di un progetto preciso.
Infine, non è detto che i contenuti di qualità
debbano necessariamente essere "originali": riassumere,
commentare, recensire, elencare, raccogliere informazioni
altrimenti sparse in decine o centinaia di siti è una
attività - talvolta definita "open source intelligece"
- sicuramente utile per cui molti sarebbero disposti a pagare.
Un esempio interessante è quello del motore di ricerca
Northernlight prima che diventasse un sito di information
brokering a pagamaento. Come tutti i motori di ricerca, il
suo uso era gratuito, ed erano presenti i classici bannerini
pubblicitari. Ma Northernlight aveva una particolarità,
fra le altre, che lo distingueva dalla concorrenza: le reicerche
avvenivano non solo in siti web pubblici e gratuiti, ma anche
in database a pagamento accessibili via internet (la cosiddetta
"deep web", la galassia lontana dei siti professionali
per specifiche comunità di utenti, in genere "chiusi"
ed a pagamento), con cui la società che gestisce il
motore di ricerca aveva ovviamente stipulato un accordo. Quando
veniva effettuata una ricerca, alcuni documenti reperiti provenivano
da siti gratuiti e potevano essere consultati direttamente
come in un normale motore, mentre dei documenti provenienti
da archivi a pagamento veniva dato il riassunto, la lunghezza,
e la fonte: ovviamente dando il proprio numero di carta di
credito si poteva accedere al documento originale, per una
spesa tipicamente di qualche dollaro. Qual'è il vantaggio
per l'utente, dove sta l'affare per la società che
lo gestisce? Il medico di professione sarà abbonato
ad un servizio on line a pagamento per avere informazioni
mediche via internet, il matematico sarà abbonato ad
un servizio simile per le informazioni matematiche, e cosí
via: ma l'utente "comune" che vuole avere accesso
ad informazioni specializzate "una tantum" e non
su base continuativa si trova di fronte alla barriera dei
costi elevati di accesso a simili banche dati professionali;
quello che Northernlight faceva era una operazione di intermediazione:
loro si abbonano ad una (lunga) serie di banche dati, e rivendono
i singoli pezzi richiesti dagli utenti su base individuale,
permettendo ai suoi utenti di accedere sporadicamente a riviste
specializzate di ogni genere senza svenarsi. Un'idea semplice
quanto utile, purtroppo abbandonata dal momento in cui la
società ha deciso di focalizzarsi su settori di utenza
professionale.
Un altro esempio. Stratfor è una società americana
che nasce in un ambito estremamente specialistico, come società
di consulenze nel settore degli affari internazionali, creata
da persone provenienti dal mondo accademico e da quello dell'intelligence
americano. Stratfor compie il "salto" nel web nel
1999; il sito (www.stratfor.com) nasce nel tentativo di rispondere
alla domanda: al pubblico interessano solo le notizie "in
tempo reale", con la tempestività di internet,
oppure al di là del senso di immediatezza e di realtà,
spesso falso, che la televisione ed internet danno all'informazione,
esso è anche alla ricerca di analisi approfondite dei
fatti nel loro contesto storico e geografico? Il primo banco
di prova per Stratfor è stato la guerra in Kosovo (del
cui impatto sull'informazione on line parleremo piú
avanti in questo capitolo): nelle undici settimane di bombardamenti,
con pubblicità e sforzi di marketing praticamente nulli,
il sito ha avuto oltre due milioni di utenti, mantenendo un
flusso di informazioni oggettive ben al di là della
retorica con cui le parti in causa avevano circondato gli
eventi, raccogliendo informazioni ed analisi altrimenti sparse
tra decine difonti piú diverse e fornendo analisi originali
sulla base di esse. Alla fine della guerra, il sito ha capitalizzato
sul suo successo di pubblico, in un settore pur cosí
specialistico, coprendo dapprima altre aree di crisi (Timor
Est, Cecenia) e poi tutto il mondo, ed aggiungendo una newsletter
spedita via email. Il modello seguito fino a questo punto
è stato quello televisivo, cioè il finanziamento
mediante banner pubblicitari.
Dalla fine del 2000 il sito è a pagamento, con un costo
di 80 dollari l'anno. Esso mantiene ancora la newsletter,
cosí come un paio di articoli di particolare rilievo,
gratuiti. D'altra parte, per l'utenza professionale ed aziendale
Stratfor fornisce analisi specifiche di una particolare area
geografica, flussi aggiornati di notizie su argomenti specifici
a richiesta del cliente, e produzione di contenuti speciali
su richiesta come profili di paesi, di organizzazioni, biografie,
profili di settori industriali ecc. Il modello utilizzato
è appunto quello della "Open Source Intelligence":
Stratfor non mantiene sedi distaccate, né manda inviati
in aree di crisi, cose certamente costosissime; utilizza fonti
pubbliche, gratuite o a pagamento, e offre all'utente interessato
a sapere tutto su un argomento di politica internazionale
(sia un semplice cittadino che vuole informarsi seriamente
o un'azienda che ha bisogno di informazioni del genere per
pianificare investimenti all'estero) il valore aggiunto di
una analisi di una messe di informazioni che altrimenti resterebbero
disperse ed inanalizzate nelle loro correlazioni. La "napsterizzazione"
dei contenuti
Ogni tentativo di far pagare i contenuti su internet (come
piú in generale i contenuti in formati "digitali")
si scontra però con altri problemi, anzi con un problema,
che possiamo chiamare la perdita di controllo del contenuto
digitale. Una rivoluzione nelle tecnologie di riproduzione
e distribuzione dei contenuti può avere infatti una
influenza molto profonda nel modello economico utilizzato
per commercializzarli, ed addirittura nella "sfera creativa".
Un esempio classico, e d'altri tempi, è l'influenza
che ha avuto la diffusione del disco fonografico sulla popolarità
della riduzione pianistica di brani sinfonici o d'opera: prima
del disco fonografico, l'unico modo di ascoltare le novità
del momento per un amante della musica che non poteva permettersi,
per ragioni economiche o geografiche, la frequentazione assidua
del teatro era l'ascolto delle riduzioni pianistiche, che
appunto hanno proliferato per tutto l'ottocento ed il primo
novecento.
Nel mondo "tradizionale", i contenuti - soprattutto
se di valore - sono genericamente difficili da replicare,
e l'accesso ad essi può essere piú o meno difficile.
Ne segue che si può guadagnare, e fondare la propria
ragione d'essere economica, mediante la replicazione dei contenuti
in quantità sufficiente a soddisfare le necessità,
e distribuendoli fino all'utente finale. La digitalizzazione
rende banale la replicazione dei contenuti, e realizza la
pratica indistinguibilità tra originale e copia.
Le difese tipiche sono state di due tipi. La prima è
stata sostanzialmente una forma di "information overload",
di sovraccarico informativo: c'era una volta in cui era facile
copiare i due-tre dischetti di un videogame, ma copiare un
intero CDROM era un'impresa riservata ai professionisti con
milioni e milioni da spendere; tutt'oggi la duplicazione di
un intero film in formato digitale con una qualità
decente (di livello DVD) non è economicamente fattibile,
e conviene comprarsi il DVD originale (ma ancora per quanto?).
Il problema è che sta diventando sempre piú
facile duplicare quantitativi sempre piú grandi di
informazione, come lo straordinario successo dei CDR (gli
attrezzi per scrivere CD, comunemente noti come masterizzatori)
sta a testimoniare: ed i DVD-R, per scrivere DVD a costi ragionevoli,
sono dietro l'angolo.
L'altra forma di difesa è stata lo sviluppo di tecnologie
di controllo digitale dei diritti d'accesso: su quest'ultima
linea vengono investite dalle majors del settore notevoli
quantità di denaro. In realtà, tali tentativi
sono destinati a fallire, impallinati dalla frustrazione degli
utenti legittimi, che percepiscono qualunque limitazione alla
fruizione di contenuti per cui essi hanno pagato come una
imperfezione tecnologica, quando va bene, o piú realisticamente
una truffa (provate a spiegare allo zio Luigi che non può
fare taglia-e-incolla del brano che ha appena letto su un
e-book per spedire via email la citazione a suo fratello Gilberto...),
dalla scarsa fattibilità politica della faccenda (pensate
alle conseguenze in termini di pubbliche relazioni che potrebbe
avere portare i sedicenni in tribunale per aver duplicato
un e-book, o, come ebbero a dire alcuni congressmen americani
in occasione della vicenda del programma di condivisione di
file musicali Napster, "anche gli utenti Napster sono
elettori"), e da un altro piccolo, banale ma importante
fatto. E cioè che tutti i contenuti digitali, per essere
fruiti, da qualche parte devono diventare analogici, e lí
non c'è protezione digitale che tenga: il contenuto,
sia pure con qualche perdita di qualità - di cui tipicamente
alla maggior parte degli utenti non importa nulla, vedi il
successo del formato MP3 per la musica - può essere
ri-digitalizzato senza alcuna protezione ed ulteriormente
riprodotto.
Non vogliamo prendere in considerazione la terza forma di
difesa, e cioè leggi come il famigerato DMCA (Digital
Millennium Copyright Act) americano, che proibiscono anche
solo pubblicare risultati che possono essere utilizzati per
aggirare le protezioni dei contenuti digitali ostacolando
di fatto la stessa ricerca nel settore, e che il governo americano
applica anche in modo extraterritoriale (ad es. arrestando
un programmatore russo che ha svolto, in Russia, ricerca legale
su come forzare le protezioni degli e-book non appena messo
piede negli USA per un convegno di esperti di informatica).
Fortunatamente la Comunità Europea si sta muovendo
su linee dettate dal buon senso e non dalla cieca volontà
repressiva, alla lunga nociva agli interessi che si vorrebbero
difendere.
Non tutte le imprese produttrici di contenuti sono colpite
dal problema allo stesso modo. L'industria cinematografica
troverà - anzi sta già trovando - nuove forme
di guadagno nella distribuzione televisiva, ed in particolare
nella Pay-TV, nella Pay-per-View e nel Video on Demand. Il
settore dei giochi troverà nella natura stessa del
gioco on line la possibilità di vendere non solo un
cd dentro una scatola, ma accessi a servizi on line per condurre
giochi interattivi.
Maggiori rischi sono quelli che corrono il settore musicale
e quello editoriale. Qui la duplicabilità dei contenuti
è elevata, la dimensione (in termini di byte) dei contenuti
è ragionevole e non fa a pugni con le possibilità
concrete della rete, e sia i brani musicali che i testi diventano
facilmente oggetti da collezione o dei "cult", da
avere a tutti i costi, aumentando le tentazioni. I prossimi
anni probabilmente vedranno il tentativo da parte delle aziende
in questi settori verticali di mantenere il controllo sui
contenuti che hanno tradizionalmente avuto, ed il loro fallimento
ad opera dei napster e dei bookster di turno, nonché
delle difficoltà tecnologiche poste dai sistemi "DRM"
(Digital Rights Management) che tenteranno di mettere in opera.
Gli editori, di libri e musica, hanno davanti a loro una finestra
di oppportunità da non perdere: esporre il loro autentico
valore, e cioè i servizi. Quali? favorire lo sviluppo
di artisti ed autori, aiutandone la crescita; concentrarsi
sui servizi editoriali e di produzione di buona qualità;
fornire agli utenti strumenti di navigazione, che permettano
di distinguere contenuti di buon livello dal ciarpame cosí
frequente in un mezzo dalle barriere di accesso cosí
basse come internet; promuovere gli artisti, che di qui a
qualche anno cominceranno a chiedersi se hanno ancora davvero
bisogno in editore per rendere pubbliche le loro opere. Abbracciando
le opportunità delle nuove tecnologie piuttosto che
irrigidendosi nella difesa dei privilegi garantiti dai meccanismi
di replicazione e distribuzione dell'informazione tradizionali
gli editori avranno sicuramente maggiori chances per il futuro.
Alberto Berretti berretti@berretti.org
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