Storia di Spigno Monferrato Episodio dei farabutti |
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(N.d.r. - Come potrà constatare
il lettore, il manoscritto non ci racconta la storia in modo lineare, ma
procede quasi a flash back, quasi che lo scrittore, arrivando ai nodi cruciali
del racconto, senta il bisogno di introdurre informazioni esplicative per
far meglio comprendere la situazione. Così, per rendere più agevole la
lettura abbiamo inserito nel testo dei collegamenti ipertestuali che consentono
di “saltare” gli “approfondimenti” (che abbiamo
evidenziato con il corsivo) sui personaggi per seguire la trama dei fatti.
Ciò nonostante il dattiloscritto, che abbiamo voluto riportare fedelmente,
a nostro avviso non rispetta la cronologia dei fatti come sono realmente
avvenuti, (se ne renderà conto il lettore attento alle date) per cui aiutandoci
con altre fonti abbiamo risostruito sinteticamente la cronologia dei fatti
sotto descritti in un'altra pagina.)
.......................................................................... Il padre desideroso di dare una buona posizione al figlio ricorse alla Regia Camera di Milano, da cui ottenne in breve tempo il feudo di Spigno a favore del figlio Federico. L'anno seguente recatosi in Asti per rivedere un suo compagno d'armi di nome Giuseppe Alfiere e introdotto in alcune delle principali famiglie della città, conobbe una certa Deferraris Eleonora, una giovane di nobile famiglia, di rara bellezza e di provata virtù. Dopo 3 mesi col consenso dei genitori, fu celebrato il matrimonio in Asti nella chiesa di San Secondo, coll'intervento del Governatore di Milano ed il Ministro di Finanza, Signor Cuttiera di Torino. Trascorso un mese dal suo matrimonio, si recò col governatore di Milano a Spigno, dove fu investito ufficialmente del Marchesato tra grandi feste della popolazione. Il primo anno si dimostrò persona dabbene, ma ben presto tralignò e divenne perfido, avaro, rapace. Correva l'anno bisestile 1612. Il Marchese aveva tutto disposto per distruggere l'intero paese di Spigno. I nostri paesani, che allora erano valorosi ed esercitati nel maneggio delle armi, si opponevano al Marchese in quanto costui con angherie, estorsioni e leggi di ferro opprimeva questo popolo. Per questo decise di sterminare il paese con tutti gli abitanti, principalmente i suoi nemici che osavano resistere ai suoi insani comandi. Per poter meglio riuscire a man salva, raccolse dai paesi vicini una truppa di mascalzoni; gente micidiale. Pose al loro comando un certo Ortensio Viazzi, della borgata Corento di Rocchetta di Spigno e di notte tempo li introdusse nel suo palazzo, tenendoli nascosti in sotterranei, legnaie, cantine, aspettando tempo propizio per eseguire l'empio progetto. >>==>> ------------------------------------------- Federico era [alto di] in statura, ben fatto, tarchiato, occhi grossi
sporgenti fuor dell'orbita, naso aquilino, mento aguzzo con rari peli
rossicci, spenzolante il labbro inferiore, di colore olivastro che
metteva ribrezzo a guardarlo. Chi lo guardava da vicino era costretto
a volgersi altrove o abbassare gli occhi. Al contrario la consorte, donna Eleonora, era [anchessa] di
alta statura, ma snella, con vita stretta, due occhi neri vivaci, mani
gentili e piccole, di carnagione bianca come la neve, ma la faccia
rosseggiante come una rosa, di animo gentile, graziosa nel conversare. -------------------------------------------- 2 >=> Solevano i nostri terrazzoni di Spigno [ Gli abitanti
di Spigno usavano] fare una gran festa il 21 Gennaio annualmente, di
S.Fabiano e di S.Sebastiano ( che in seguito venne trasportato il 23
S.Emerziana ) e sollenizzavano tal giorno con una devota processione,
in riconoscenza onorevole del santo che nell'anno 1405 aveva preservato
il paese da una terribile peste contagiosa. (Tra le due versioni rintracciate, lasciamo quella più significativa e pittoresca, in un italiano, ci sembra, più antico.) La processione usciva dalla chiesa alle ore 8, e rientrava pressapoco
alle 10. Il povero Tonio all'udire quel discorso rabbrividì, e pensava tra sé: "Povero
me, son qui innocente, in questa oscura tana, sarò dimenticato, converrà che
beva la morte a sorsi, con gli atroci spasimi del digiuno". Quindi
per ispirazione della Vergine implorata ricorse ad uno stratagemma e
finse che fieri dolori di ventre l'avevano colto; perciò spasimando ad
alta voce implorava la confessione. Udito quei lamenti il custode che
dormiva nel corridoio vicino, aprì lo sportello e gli chiese cosa aveva,
cosa si sentiva. Non si può capire come Federico, di carattere pessimo, perverso e senza religione, sia accondisceso a compiacere un detenuto. "Chiamate subito un confessore" disse. Lestamente il custode prese una lanterna e si portò sotto le finestre del parroco ed a gran voce lo chiamò. Svegliatosi l'ottimo parroco, Perrone Don Gustavo di Cessole, affacciossi alla finestra, ed il custode le disse che un prigioniero domandava confessione. Il zelante sacerdote, udendo un opera da compiere appartenente al suo ministero, frettoloso si vestì ed accompagnato dal custode, portando seco la sacra Pisside ed il vaso dell'Olio Santo, s'avviarono al palazzo vicino. Introdotto nella prigione, il custode si ritirò; allora il povero Tonio alzossi, ed accostata la bocca all'orecchio del parroco, invece di dirle i suoi peccati, le svelò tutto l'empio progetto del Marchese, udito poco prima da due sgherri; oltre a ciò d'aver veduto coi propri occhi da un buco passeggiare per la galleria, ombre nere e spaventose, con armi in mano, d'aver pur udito, d'aspettare mentre la processione passa d'innanzi al palazzo, per tingere di rosso le cappe bianche. Scoperto così enorme trama uscì il parroco dalla prigione come se avesse amministrato il santo Viatico, ed il custode accompagnatolo nuovamente sino alla porta della Canonica, lo ringraziò e gli diede la buona notte. >>==>> ------------- Federico considerando il suo palazzo, questi non presentava all'uopo un asilo di sicurezza resistente ad un serra serra, per potersi da esso difendere, ed incapace di custodirvi una truppa di uomini, almeno di un cento. Perciò progettò con la consorte far fabbricare un gran castello, ad uso fortezza, sul colle della Novera, per potervisi rifugiare colla famiglia, nel caso di una sommossa, d'una ribellione. In fretta spedì un messaggio a cavallo a Torino, dall'ingegner capo del genio militare Maggiore Tomatis. Questi, dopo tre giorni a cavallo, seguito dal suo aiutante giungeva a Spigno. Sollecito con Federico portaronsi sul luogo, e dopo d'aver preso le dovute misure, ne faceva il tipo, che lo presentò al Marchese e consorte. Piacque ad entrambi, avendolo trovato abbastanza ampio con ampie
sale, solide prigioni e scuderie. Capo importante mancava l'acqua,
e per primo lavoro, fece scavare un profondissimo pozzo di 350
metri di profondità, sino al livello della Bormida, dove alfine si
trovò una freschissima ed abbondante acqua, che col mezzo di congegni
impiantati dallIngegnere. mandava l'acqua in tutte le camere,
nel giardino e nelle scuderie. Quindi ne affidò la costruzione
all'Ing. del Genio Civile Sig. Niccolini di Savona. In fretta pubblicò manifesti
in tutti i canti del paese e borgate, coi quali precettava una
metà delle persone al lavoro per ogni famiglia, sia uomini come donne. Nel prossimo marzo si cominciarono i lavori. Settanta erano i muratori, dieci scalpellini, quattro falegnami, quattro fabbri, centocinquanta i manovali, cinquanta e più tra donne e ragazzi, a lavare e spazzar pietre, lavare rena, venti ragazzi addetti agli ordini dei lavoranti, ed a fare le commissioni che venivano ordinate; tutti andavano a mangiare a casa loro. Insomma che fra tanti sommavano un numero di trecentootto. Sollecitando in tal guisa i lavori, l'anno venturo, sul finire di giugno i muri del castello erano al completo della loro altezza; in tutto luglio fu pur anco terminato l'ampio coperto . I mattoni e le tegole le fece sequestrare.al Signor Carlo Antonio Bruno alla Fornace di Castoria, dove fu costretto provvederle gratuitamente. Il 5 agosto festa della Madonna della Neve, nel campo che circonda il castello, fece disporre grandi bracche e tavole, coperte di frascami; quindi a sue spese diede un gran pranzo a tutti i lavoranti che sommavano a 400 e più. La festa durò due giorni, con musiche e balli e divertimenti dogni sorta. Tutto ciò per allucinare la cieca popolazione di Spigno. --------------------------------------- 3 >=> L'esperto Parroco, invece di andarsene a dormire, accompagnato dal Vice Parroco e dal Sacrestano, si misero tutti e tre in giro per il paese; era l'una dopo mezzanotte e bussando alle porte delle famiglie di cui la prima fu di un certo Paolo Caviglia, sulla piazza della Torre, dove sapeva che c'erano cinque robusti giovinastri, spiegando bene il tutto; li mise in giro per le campagne e borgate, affinchè avvertissero altre famiglie e avvertendo cosi i campagnoli che alle 8 dello indomani mattina, pur udendo suonare le campane a festa, nessuno avrebbe dovuto muoversi da casa; mentre il coraggioso Sacerdote bussava le rimanenti Porte, avvertendoli non muoversi, e per non sciupar tempo in tante spiegazioni diceva a tutti che un furioso temporale, stava per rovesciarsi sul paese e sugli abitanti. Vennero le 8 del mattino ed ecco che sode un gran dondolar di campane a festa, sia dalla Chiesa Parrocchiale come dall'Oratorio, dalla Cappella di S.Giuseppe e dal Convento dei Prati di San Francesco. Federico passeggiava furibondo sulla galleria sovrastante la Bormida in compagnia della consorte e dall'alto della galleria dove con un colpo d'occhio si spazia tutta la pianura, sino a Mombaldone, Vengore, Roccaverano, Montechiaro, Denice, Rocchetta, Vico, pose l'occhio al suo lungo cannocchiale montato su tre piedi e scopre con meraviglia ogni strada deserta come fosse un giorno feriale, mentre in giorni come questo si vedevano frotte e stormi di uomini e donne, tenendo i loro ragazzi più piccoli per mano, tutti vestiti a festa che canterellando giulivi si recavano alla devota Processione. Sbuffando le narici come il suo cavallo, con gli occhi infuocati digrignando i denti, e bestemmiando Dio e i Santi, sedette sulla sua poltrona, col capo fra le mani, pensando che probabilmente era stato tradito e scoperto. Ordinò perciò in fretta ai quattro sgherri travestiti di percorrere il paese, da una parte all'altra onde indagare di quello che stava capitando. Un'ora dopo giungevano gli sgherri e riferirono al loro padrone, che tutto il paese era sotto sopra, le porte tutte chiuse e tutti gli uomini erano sulle tre piazze e nelle contrade armati di ferri e bastoni. Urlando come un toro, stringendo la mano alla consorte, bacia i suoi due figli, e chiamando trenta dei suoi sgherri ordina di aprire le prigioni e di rilasciare in libertà tutti i detenuti che erano in numero di 46, tra i quali l'ottimo Dottor Piolotti. Calandosi dalla galleria del castello abbandonarono tutti quanti il paese. >>==>> - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Giornalmente Federico, mattino e sera recavasi al castello, a visitare
i lavori e come progredivano (siamo nell'anno 1660, ricostruzione del
Castello) passando per la contrada sottostante la Chiesa, vede una donna
che allattava il suo bambino, in età di dieci mesi, il Bambino piangeva,
diede un'occhiata e passò oltre. --------------------------- (Nel dattiloscritto sono descritti avvenimenti che forse non riguardano "L'episodio dei farabutti", ma sembrano essere antecedenti: una delle tante occasioni di scontro fra gli spignese e Federico.) Correva l'anno venturo, il 1 gennaio, scadevano in Consiglio 5 Consiglieri essendo questi in numero di I5. Federico a capo della tavola nell'ampia sala del Consiglio, stava assiso su di un ricco seggiolone; sopra il capo stava una specie di trono dorato, con lo stemma del marchesato di Spigno, consistente in una grande aquila che afferrava tra gli artigli un semplice agnelletto con le parole: Arte et morte, e il tutto esprimeva l'alto dominio del marchesato. Quindi si passò alla votazione a schede segrete. Uscirono eletti tre consiglieri di Spigno, certi. Scaletta,. Chiaborelli, ed Ugo Gavotti di Malvicino; essendo costui ricco possessore di terreni nei dintorni di Spigno e di case nel concentrico. Finita la votazione ne fu redatto verbale dal segretario comunale Manfredi , che terminato ne diede ad alta voce lettura e venne regolarmente firmato da tutti i consiglieri e dal Presidente Marchese Federico. Terminata ogni cosa essendo per uscire il consigliere,
Gavotti esclamava: "Fratelli ancor due minuti"; quindi ritto
nel bel mezzo della sala pronuncia le seguenti parole: "Amati fratelli,
vi ringrazio della carica che mi avete affidato, ed io procurerò secondo
le mio forze di adoperarmi quanto potrò pel benessere del paese e della
popolazione. Già tutti ne siete consapevoli, quattro anni or sono fui
eletto portabandiere in Savoia con ordine ufficiale del nostro sovrano
Amedeo IV. Federico immobile, sdraiato sul suo seggiolone con gli occhi spalancati infuocati e fuor dell'orbita, sbuffando e digrignando i denti; savviluppa la destra col suo fazzoletto bianco, salza e s'avanza come un leone contro Gavotti, l'afferra per la gola e la stringe cosi forte, che stramazza a terra cadavere. Quindi ordina a due guardie di portarlo via e che non gli sia data sepoltura ecclesiastica e di tumularlo nel ghiaione del fiume Bormida. Le guardie trasportarono il cadavere sulla piazzetta, piantonandolo, ma gli ordini di Federico non furono eseguiti. Il giorno dopo di buon mattino, furono i funerali, ebbe sepoltura nel camposanto, al suono di tutte le campane, coll'accompagnamento di tutto Malvicino, Turpino, Spigno e d'intorni. A spese del municipio le fu eretto una lapide, ricordante l'immortale suo nome, prodezze e virtù. Gli Spignesi assaltando ferocemente gli assassini, li costrinsero a sparpagliarsi: e batter la campagna, essendo ovunque dai nostri inseguiti. Tante vittorie in questo zuffe costò a noi due vittime, Chiaborelli e Rubba di Mombaldone, piccola borgata sotto Mombaldone, che costui con ammirabile valore e generosità sostenne volenteroso la causa dei minacciati suoi vicini, cascina S.Ambrogio. Il giorno dopo a Spigno ebbero sepoltura i due giovani, caduti per la difesa della Patria, ed il consiglio comunale volle distinzione con unalta croce, e da una pietra incisi i loro nomi sopra la zolla che copriva le congiunte salme. Gi i sgherri tenendo ancor nella loro mani il capo Ofieri Baretta di Spigno, fu perquisito e le fu trovato nella scarsella del farsetto a maglia sulla pelle una lettera segreta del Marchese, colla quale come capo, ordinava di mettere a ferro e fuoco ogni cosa o di trucidare uomini e donne al disopra del settimo anno. La sbirraglia nel leggere la lettera, montò sulle furie e senza lasciarsi impietosire dai suoi pianti, nè smuovere dalle scuse bugiarde, fu trascinato a viva forza nella bottega del macellaio, Oreste di Sassello, fattogli abbassare il capo sul ceppo, con un colpo di mannaia gli recisero il capo a guisa di bue, scannando anche altri cinque della sua squadra, tutti della Rocchetta, ne portarono i cadaveri nel cortile di Federico, ed ammucchiatoli sopra una catasta di legna, fra il plauso e lo schiamazza della plebaglia, vi appiccarono il fuoco. Nulla valsero le parole e la opposizioni dellultimo parroco, ma per severo ordine di Federico, la polvere fu gettata nel fiume Bormida, non volendo con essa profanare il cimitero. Niuno saravvi che voglia troppo severamente questa vendetta. e tutti i terrazzoni del paesi e borgate all'intorno le accrebbe maggior odio verso il Marchese. ----------------------------------- 6 >=> Lacuta contesa tra quelli di Spigno e Federico già era decisa ed egli trovavasi da due giorni a Malvicino, inconscio degli avvenimenti, quindi propone, sul far del giorno, venire a Spigno ed essere, quale nuovo Nerone, spettatore dal suo Castello delle fiamme devastatrici del borgo. Mentre s'apparecchiava di partire a cavallo, scortato dalla solita guardia che consisteva in venti gagliardi uomini armati, ecco all'improvviso giungere due messaggi, con lannunzio della piena sconfitta toccata ai suoi masnadieri sul ponte S.Rocco, una gran parte gettata nel fiume e molti annegati. A tal novella inaspettata, lo colse un impeto così violento di sdegno, che poco mancò non le desse di volta il cervello; batteva il cavallo, fracassava quanto le veniva tra le mani, non finiva di bestemmiare, maledire Dio, il cielo, e la terra. Non si creda però il lettore, che cadesse così facilmente dall'avversa fortuna, e dopo perdesse ogni speranza di condurre in soggezione i ribelli come egli diceva. Raccolse perciò quanti facinorosi desolavano i dintorni, e si proponeva di piombare nuovamente su Spigno, tenendosi già sicuro di una completa vittoria. Ma i terzani coadiuvati dal Segretario Comunale, Manfredi, risoluti di trarsi una buona volta dimpiccio, spedirono due messaggi a cavallo, alla Regia Camera di Milano, ed al Governatore, con lettere spiegative, ed autentiche col Bollo del Comune, implorando la loro protezione ad aiuto. La Camera ed il Governatore di Milano, indispettiti dal perverso contegno di Federico, spedirono una gagliarda compagnia di soldati spagnoli: fanti ad artiglieri, con tre pezzi dartiglieria, in n. 220, con 230 cavalli, che uniti ai Borghesi di Spigno, sloggiarono coi suoi Federico da Malvicino, ove tenevasi forte in una torre ben costrutta e meglio difesa. Non si tosto fu da lui abbandonata, che lo scoppio di due gran mine la fecero saltare in aria dalla fondamenta, restando gli avanzi memoria al posteri dun gran mucchio di ruderi. I sei cannoni di legno, ferrati ancor carichi a mitraglia, vennero ricuperati dai soldati spagnoli, ed inchiodati; quattro trovavansi spianati alla inferriate e porte della cantina del palazzo, uno nel giardino del Sig. Cova, lultimo spianato da un piccol buco di casa Gallareto, che vennero conservati molti anni come ricordo nell'archivio comunale. Da Malvicino Federico, non osando passare per Spigno, attraversò coi suoi i monti, e calò a Cessole, dove colà fissò temporaneamente dimora. Unitosi a quei villani di Cessole, Bubbio, .Monastero, Vesime, Cassinasco, Olmo, S.Giorgio, Pereleto, Vengore, Roccaverano, ed altri satelliti, tutti compri con gran denaro, continuava ad infestare le pianure di Spigno, Rocchetta, Montaldo, Squagiato, Bergagiuolo, Barbania, Vico, or predando i passeggeri, or rubando bestiame, vino, cereali, e qualunque altro potevano carpire, dimodoché, lintiera popolazione di Spigno e dintorni, collegati ai soldati Spagnoli, furono costretti darle la caccia anche in Cessole, dove si trovavano. Disperato di migliori successi e prevedendo quei luoghi non esser aria libera per lui, preso da un implacabile corruccio, dopo aver sacrificato alcuni dei suoi, i quali osavano contrariare i suoi progetti, deliberò finalmente di ritirarsi a Savona nel Borgo Zinola dove colà avea un anno prima acquistato il palazzo del Sig.Aonso all'asta per lire ventimilacinquecento, con annesso giardino, in riva al mare, posizione deliziosa addi 27 giugno 1769. (o 1669 ? ndr) La Regia Camera di Milano formò un processo contro di lui, in forza del quale dalla Corte dAppello di Casale, anche da Zinola fu esiliato, e vennero consegnati al fisco i suoi Feudi. Il Comune di Spigno approfittando della circostanza, intentò causa civile con lui, e contro i beni feudali del Marchesato per la somma di lire 111.664, di cui era creditore verso la regia Camera di Milano per somministranze fatte in tempo di passaggio delle soldatesche del Re di Spagna. ------------------------------------------------------------- Marco Antonio padre di Federico, estinto, dodici anni prima, il quale aveva ricevuto in pagamento di tal somma i feudi di Tortona, Castelnuovo Scrivia, gli immensi terreni del Principe Centurione ed il feudo di Ponte Curone, che in frode del Comune di Spigno, il padre di Federico se ne era impadronito. La causa a Milano fu sostenuta per conto di Federico da sette avvocati del Foro milanese, ma la sentenza, dopo quaranta giorni, fu pubblicata in Spigno all'Albo Pretorio in favore del Comune di Spigno, che ricevette in pagamento della somma di lire 111.664 le terre di Menasco, Canavella superiore, Vico, Vivello, Moglia, Casazee e Casorano, oltre gli interessi ed alle spese. ( Il dattoloscritto non riferisce della fine di Federico ) --------------------------------------------------------------------- Il signor Leglio Farea impalmò Donna Eleonora, e pagato al regio fisco di Spagna 5400 ducatoni, equivalenti a lire 43.200, ottenne addì 20 giugno 1677 l'investitura del feudo di Spigno, dalla regia Camera di Milano. Gli Spignesi sotto al governo di quell'amato Signore, e della incomparabile di lui consorte, vissero lieti e tranquilli godendo i frutti del ben usato valore; gareggiavano il signor Leglio e Donna Eleonora, nel colmare di benefici i soggetti, come per compensarli delle sventure sofferte, ed i soggetti egregiavano, nel dar loro prove ogni giorno di somma devozione e affetto. Le memorie delle passate prodezze, chi le narrava nei freschi cuori dei nipoti, e le ricordanze di martiri caduti, per la difesa del loro amato paese, ingenerò una profonda antipatia, fra i terrazzoni di Spigno. (e) Gli abitanti di Ponzone, or saranno cinquant'anni circa che se alcuni di questi recavasi a Spigno per la fiera annuale di S.Elisabetta 19 novembre, se veniva riconosciuto, le si stipavano intorno i borghesi, a portare una mitra di cuoio sul capo, in segno di scorno; le traevano d'attorno fra urla, risa e fischi, un migliaio di fanciulli. Ma non così succedeva coi terrazzoni di Mombaldone, Merana, Serole, cui Aleramo Marchese di Mombaldone, nemico acerrimo di Federico venivano rispettati. Ma il volgere del tempo ha ormai cancellato ogni odio e rancore negli animi, né oggidì gli abitanti di Ponzone hanno a temere queste puerili ed ingenerose vendette. La discordia che divideva i grandi Municipi italiani, non meno che i più oscuri villaggi, fomentata dai ricordi di antiche rivalità e di battaglie, oggidì é quasi cessata intieramente, per cedere il campo ad una fraterna alleanza, che è fonte di belle speranze Nazionali. ------------------------------------- Niuno saravvi che possa comprendere, e farsi un'idea delle mostruosità e nefandezze commesse da Federico; violazione di onorate fanciulle, con laute promesse di danaro, spose di bassa condizione deflorate, prima di congiungersi allo sposo; essendo coteste dipendenti, dal suo ministero, pel consenso della loro unione, secondo lo Statuto e legge sul matrimonio civile. ------------------------------------- 4 >=> Gli sgherri serrati e scorazzati dai Borghesi, dinnanzi, di dietro e di fianco, tra il convento S.Francesco e S.Giuseppe, si sbandarono chi qua e chi là, alcuni si gettarono nel torrente Valla, alcuni si rifugiarono nelle case per nascondersi. Nella casa Chiaborelli, si conservò per molti anni, un gran cassone da grano, dove là dentro si erano nascosti due assassini, che ritrovati, vennero là entro ammazzati a colpi di bastone, che per alcuni anni si videro ancora strisce e spruzzi di sangue uscito dai loro corpi, così pure nella cantina del Signor Nano, un capo masnadiero di Ponzone, Fracchia, si nascose fra le botti; scoperto da due servi del Nano, venne a colpi di randello ucciso e sotterrato in un angolo remoto della cantina; chi veniva trovato nascosto sotto un mucchio di fascine, chi in un'arca da pane, chi nel forno, chi su dal fornello, stando appollaiato sul travicello. Quindi i Spignesi, unitisi in massa, capitanati dal valoroso Grappiolo Melchiorre, della frazione Brallo Serole detto il Gigante proposero di atterrare, dare il sacco al Castello non ancora a compimento; perciò li medesimi operai concorsi alla costruzione, si misero all'opera della demolizione, uomini e donne, con lunghe scale e ponti posticci, salirono sul coperto, gettando a terra tegole, travi, travicelli, scoperto che fu, si misero attorno alle mura , ma poco o nulla servivano picconi baramine mazze punte cunei a demolire essendo le mura di costruzione solidissime con grosse pietre lavorate a scalpello, sotto la direzione dell'Ing. Niccolini. Vedendo il lavoro andar lentamente ricorsero alle mine, e per due settimane il Castello prese forma di un campo di battaglia, i colpi delle mine rimbombavano l'aria, echeggiando tra i monti vicini, rimanendo solo muri rotti e sfasciati in memoria dei posteri. >>==>> Le storie però, non descrivono come lo smantellato Castello, sia
caduto di proprietà dalla famiglia Airaldi, come pure la principal
Piazza sia caduta al Comune di Pareto. 5 >=> Gli sgherri sotto il comando dell'Ortensio Viazzi
di Rocchetta presero la strada verso Turpino, la prima saccheggiata fu
il villaggio di Barbania, la Borgata Cavalli, Barosi, Scajole, Borchi,
Costabella, Ghioni e Duranti, dove colà eravi proprietario Giacomo Durante,
persona intelligente, ma avversa a Federico che nellultima seduta
del Consiglio, contrariò molto le opinioni del Marchese; perciò esso
conservò sempre l'odio ed il veleno contro il Durante. Federico impassibile alle loro istanze eguale al soffio di un leggero venticello di aprile, sopra una montagna di marmo con la spada sguainata, rigettò tutti da sé; ordinando severamente che fosso impiccato. Condotto il povero Durante sotto la forca, con una piccola fune al collo fattolo salire su di una sedia, fu barbaramente strangolato, quindi fu piantonato da due assassini sino a notte. Sul dimani di buon mattino ebbe sepoltura nel cimitero di Turpino. >>==>> ..........................................................................Introduzione Notizie varie del paese tratte da un manoscritto della signora Ghiglione Sintesi cronologica comparata della storia di Spigno |
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