GLI ANNI CINQUANTA

Il "Borgataro"

Pier Paolo Pasolini
Alain Delon
Ninetto Davoli

Ma non per tutti quel periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta è fatto di spensieratezza, coca cola e rock'n'roll: l'Italia, appena uscita dalla prima fase della ricostruzione post-bellica, presenta anche aree rurali depresse e povertà diffusa in vaste zone del territorio. Tra queste, balza particolarmente all'occhio la condizione critica delle nuove periferie delle grandi metropoli, cresciute disordinatamente dopo la fine della guerra in seguito alla rapida urbanizzazione, all'immigrazione dal Sud e al fenomeno degli "sfollati", rimasti senza casa dopo la fine della guerra. Il visitatore casuale non può evitare di essere preso da un groppo alla gola, a contemplare quei quartieri dove si vive privi dei più elementari servizi, in cui, a fianco di enormi prati incolti, campeggiano casupole screpolate e vere e proprie baracche. E' questa l'ambientazione in cui, messi al mondo subito dopo la fine della guerra, vive una pattuglia di adolescenti con un passato familiare spesso poco felice alle spalle e un futuro pieno di incognite. I loro genitori, solitamente analfabeti e costretti a fare lavori precari e umilianti,  rappresentano il loro primo modello di vita; il secondo modello è invece composto da tutto un sottobosco di piccola delinquenza, che molti teenager vedono come possibile via d'uscita dalla periferia.

Il primo a cogliere il lato poetico di queste realtà adolescenziali difficili è lo scrittore, e poi anche regista e saggista, Pier Paolo Pasolini, che nel 1955, nel suo primo romanzo "Ragazzi di vita", descrive le giornate sciatte e ingloriose di un gruppo di amici di una di quelle periferie romane comunemente denominate "borgate". L'eroe della storia è il tredicenne "Riccetto", conosciuto, non a caso, solo con il suo soprannome, che abita in un edificio dai muri screpolati, una ex-scuola elementare che prima della guerra era servita per alloggiare i tedeschi, e, successivamente, i canadesi, e in cui in seguito si erano sistemati "gli sfollati, e da ultimo gli sfrattati, come la famiglia del Riccetto". Pasolini si sofferma a descrivere con cura le occupazioni giornaliere dell'adolescente borgataro nel corso di una torrida estate romana: piccoli furti, approcci con le prostitute, e lunghi pomeriggi passati in fatiscenti luna-park periferici, dove Riccetto e i suoi amici giocano a calcio balilla finendo regolarmente per picchiarsi con dei "borgatari" loro antagonisti; il ragazzo volge lo sguardo, inoltre, con stupore e senso di inferiorità verso il mondo dei suoi coetanei borghesi e danarosi, con cui sente di non avere niente in comune. Il borgataro viene guardato malissimo da tutti: se il cosiddetto "figlio di papà" prova il maggior disgusto quando è costretto ad entrarci in contatto, in generale qualsiasi ragazzo che abiti all'interno delle mura cittadine non prova simpatie per lui; e, a dire il vero, è lo stesso adolescente di borgata a soffrire di una sudditanza psicologica notevole nei confronti degli abitanti del centro. Prova ne è che lo stesso Riccetto, nel romanzo di Pasolini, subisce le umiliazioni più cocenti proprio quando cerca di omologarsi agli ragazzi, lasciando il proprio quartiere per andare a farsi un giro al cento di Roma. Non per questo il borgataro detesta la città in cui vive solo ai margini: anzi, quando entra in contatto con forestieri e stranieri ci tiene a sottolineare e a far valere la sua appartenenza alla metropoli, come se questo gli possa in qualche modo conferire maggiore importanza a livello sociale.

E' un altro intellettuale, il regista Luchino Visconti, a gettare invece un occhio a quei ragazzi le cui famiglie sono emigrate dal Sud al Nord Italia alla ricerca di lavoro: nel film "Rocco e i suoi fratelli" del 1960 si raccontano le gesta di un gruppo di adolescenti, che devono convivere con il fastidioso appellativo di "terroni", e la loro difficile esistenza nel sobborgo di Lambrate, nei pressi di Milano. L'unica speranza di una vita migliore, per il protagonista Rocco (interpretato dall'attore francese Alain Delon) consiste nel praticare lo sport "povero" per eccellenza, il pugilato; e tutto questo mentre, tra i ragazzi emarginati di tutta Italia, si diffonde il mito di Nino Benvenuti, il nostro connazionale capace di conquistare la medaglia d'oro dei pesi welter alle olimpiadi di Roma.

Pasolini torna a descrivere la deprimente realtà del "borgataro" romano nel 1959 in un nuovo romanzo, "Una vita violenta": il protagonista stavolta si chiama Tommasino, abita sempre a Roma sulle baracche in riva al Tevere e ha circa 17 anni, l'età giusta per potersi innamorare di una ragazza, Irene, naturalmente "borgatara" come lui. A cui però, a causa della sua cronica mancanza di quattrini, non può offrire più di tanto: Tommasino non ha nè l'automobile nè la motoretta, nè può portare la sua fiamma a ballare o a cena fuori. E così, il massimo del divertimento, per i due, è andare in uno di quei cadenti cinema di quartiere detti, alla romana, "pidocchietti", e osservare come da dietro le sbarre di una gabbia un mondo che non riusciranno mai a toccare con mano: lo sfavillante universo dei grandi film hollywoodiani e delle pellicole "storiche" alla "Ben Hur" (1959).

Per il teenager dei margini, che non sa nemmeno come sbarcare il lunario, i Clark Gable e le Liz Taylor restano miti distanti, inafferrabili; ben più vicini sono, invece, i protagonisti di alcuni film neo-realisti italiani del cosiddetto filone del "romanzo popolare". Si tratta, in particolare, di pellicole dirette da Luigi Comencini e Dino Risi, dai titoli già espliciti come "Pane, amore e fantasia", "Pane e amore e gelosia", "Poveri ma belli" e "Belle ma povere", che propongono nuovi modelli di riferimento onesti e coraggiosi con cui potersi identificare, come Renato Salvatori, Marisa Allasio, Lorella de Luca, Alessandra Panaro e Maurizio Arena. Quest'ultimo è il classico "bulletto" romano: ex-calciatore, ex-pugile, ex-barista, ex-commesso, ex-camionista, in breve tempo diventa l'oggetto dei desideri di tutte le ragazze dei sobborghi, grazie alle sue spalle da lottatore e al suo sorriso conquistatore.

Ma un modello in cui il "borgataro" si possa riconoscere al cento per cento il mondo del cinema glielo propone solo nei primi anni sessanta: è l'attore Ninetto Davoli, portato alla ribalta, ancora, da Pier Paolo Pasolini, nel frattempo diventato regista. Davoli, per tutti i ragazzi italiani delle periferie deleritte, diventa l'esempio di "uno di noi che ce l'ha fatta". Nato nel 1948, di origine calabrese, si era trasferito in tenera età a Roma alla borgata Prenestina, a due passi dall'Acqua Bullicante. I suoi anni adolescenziali li passa scorrazzando per strada o dedicandosi a divertimenti da due soldi, come "nizza", "spacca-picchi", "tre-tre-giù-giù" e "zecchinetta". La scuola la abbandona presto, perchè è costretto a portare soldi a casa: fa il meccanico, il falegname e anche il cascherino. Poi, all'età di 16 anni, il colpo di fortuna: trovatosi per caso ad assistere alle riprese di un film di Pasolini, fa la conoscenza del regista, che prende subito in simpatia questo "ragazzo di vita" dagli occhi buoni e dagli atteggiamenti naif. Improvvisamente Ninetto, dalla sua borgata, si trova catapultato sui set di Cinecittà: dapprima ottiene una particina da pastorello nel film "Il vangelo secondo Matteo" del 1964; poi è addirittura il co-protagonista di uno dei più importanti film italiani del decennio, "Uccellacci e uccellini"; e il suo partner è nientemeno che il grande Totò. Il giovane Ninetto diventa così, dal giorno alla notte, oggetto di adorazione, e anche di invidia, da parte dei suoi coetanei delle periferie degradate di tutta Italia, che si riconoscono in questo adolescente che sembra possedere un costante senso di stupore bambinesco verso il mondo. A diciannove anni, con i primi guadagni della sua carriera di attore, Davoli lascia la borgata di origine per andare ad abitare, per la prima volta nella sua vita, in un "palazzo", con tanto di luce e acqua potabile, nel quartiere romano di Cinecittà. Ma in molte interviste successive, l'idolo di tanti ragazzi poveri dichiara di continuare a rimpiangere le case e i prati dell'Acqua Bullicante, una borgata in cui, a parer suo, si conduceva una vita priva di comodità, ma anche tanto semplice e senza tante ipocrisie.


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