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Tramonto degli dei

Teatri prima del Massimo. Nazionalismo. Parigi, Vienna, Palermo. Garibaldi. Strategie urbanistiche. Il concorso. Giovani Battista Filippo Basile e Gottfied Semper. La scoperta del colore. Un progetto moderno. La faticosa vicenda della realizzazione. La morte di Giovan Battista. Subentra Ernesto.

A Palermo, a partire dalle prime proposte avanzate dal Viceré philosophe Domenico Caracciolo alla metà del secolo precedente, l'esigenza di un teatro paragonabile a quelli di cui si andavano munendo le altre città più importanti d'Europa, più volte espressa, tiepidamente contemplata dai Borboni, non era stata mai soddifatta. Una delle molte ipotesi avanzate attorno all'inizio del secolo ne prevedeva la creazione nel corpo stesso del Palazzo Reale, proprio come, settant'anni prima, il S. Carlo di Napoli, capitale del Regno.

I due più importanti teatri della città, il Santa Cecilia e il Santa Lucia, si contesero il primato finché il secondo, ristrutturato nel 1809 e ribattezzato "Real Teatro Carolino" in onore della regina, si affermò come punto di riferimento, per tutto l'Ottocento, della vita teatrale della città. Altri teatri erano il S.Ferdinando (1816), l' Oreto (1851) e il S. Anna (1852). Il S. Cecilia venne completamente ristrutturato nel 1855. Anche se rimaneggiato più volte, il Carolino, ribattezzato Bellini dopo il plebiscito, rimarrà di dimensioni insufficienti e privo di un prospetto adeguato, caratteristiche essenziali del ruolo urbano assegnato a questo tipo di edifici in età moderna.

Alla metà dell'Ottocento la borghesia è ovunque in crescita irresistibile. Le nazioni fanno volentieri ricorso alla pratica della costruzione di teatri per la fondazione del proprio mito moderno. Abbiamo visto evolversi in questa direzione il neoclassicismo dei primi esempi. Fra le tante realizzazioni di questi anni si trovano il Teatro Nazionale dell'Opera di Budapest (1884), il Narodny Divadlo di Praga (1881), i teatri Real (1850) e De La Zarzuela (1856) di Madrid, il Metropolitan di New York (1882) e il Colòn di Buenos Aires (1857). E quello che é diventato un po' il simbolo della fondazione di una nazione attraverso la costruzione di un teatro: il Festspielhaus di Bayreuth (1856).

Fra queste architetture, quelle legate direttamente alla figura di qualche regnante mostrano una caratteristica tendenza all'eccesso, nella quale l'aspirazione aristocratica a primeggiare si sposa con la trionfante mentalità degli affaristi. Qualche anno prima di Bayreuth, Wagner aveva partecipato al celebre progetto del fantasioso sovrano, Ludovico II di Baviera, che desiderava unire in quest' impresa il massimo musicista tedesco col massimo architetto: Gottfried Semper. La realizzazione poi non ebbe luogo per motivi economici. La quantità del costruito è il principale vanto, in tavole sinottiche di dati numerici e comparazione di piante, delle più significative realizzazioni di quest'epoca. Sono l'Opera di Vienna, realizzata sotto il regno di Francesco Giuseppe nel 1869 e l'Opéra di Parigi, del 1875 e la costruzione più grande ed eccessiva del Secondo Impero, voluta da Napoleone Terzo in uno stile che l'architetto, Charles Garnier, intitolava al suo nome, rispondendo, fra serio e faceto, all'imperatrice Eugenia, che associava sempre la parola "stile" a un Luigi e a un numero inferiore a 18 e lo rimproverava di non averne: "C'est du Napoléon III. E vi lamentate!". Un progetto ancora più eccessivo, ma che rimase sulla carta, fu il gigantesco teatro imperiale di S.Pietroburgo, commissionato dallo zar Alessandro III all'architetto Victor Schroeter.

I teatri di Parigi e Vienna sono gli esempi più vicini, per dimensioni e in parte per spirito all'impresa palermitana, nel mutato contesto di una Italia ancora da realizzarsi, nella quale l'opera lirica era nel pieno della sua funzione di simulacro unificatore, senza che ad essa arrivasse ad associarsi la figura del sovrano piemontese, troppo legato al municipalismo d'origine. I punti del riferimento del progetto sono chiaramente tre: Sicilia, Italia, Europa.

Nel 1859, ancora sotto i Borboni, si comincerà a pensare concretamente alle modalità e ai premi di un concorso. L'anno seguente il vacillante re Ferdinando IV approva l'iniziativa. Elementi di arretratezza appaiono fin dalle prime formulazioni: la decisione si inquadra nell'antica rivalità che opponeva Palermo a Catania e a Messina e sulla quale si appoggiava la politica del dominio borbonico; la deliberazione del Decurionato di Palermo propone di finanziare la costruzione del nuovo teatro prolungando i dazi su consumi primari come sugna, zucchero e caffé, dei quali era prevista l'abolizione, in una situazione di grave degrado, segnata da ricorrenti epidemie. L'anno seguente, aiutate dall'esasperazione dei contadini e dall'opportunismo dei borghesi e dei possidenti, le camicie rosse di Garibaldi avevano espugnato facilmente ai Borboni una Sicilia feudale, reprimendo con dura prontezza ogni successiva rivendicazione di carattere sociale. Dopo la liberazione è la nuova amministrazione palermitana, costituita dagli elementi più radicalmente antiborbonici e liberali, a formulare senza indugio il bando di concorso del grande teatro, sul quale si era sedimentato, dai tempi di Caracciolo, un importante valore simbolico. Esso prevede che i suoi locali accolgano un "casino o Club con salone da ballo sufficiente per 600 persone", senza con questo indurre, in seguito, la partecipazione all'impresa della aristocrazia e della ricca borghesia cittadina, che sdegnerà la pratica, consueta altrove, dell'acquisto dei palchi per sostenere i costi di edificazione. Questi ultimi resteranno interamente a carico del comune.

Attorno alla metà del secolo comincia a svilupparsi, in tutte le maggiori città d'Europa, una crescita accompagnata da notevoli fenomeni di valorizzazione delle aree periferiche. Edifici pubblici vengono costruiti in luogo delle antiche cinte murarie per fare posto ad anelli di viali. Nei teatri è ormai compiuto il processo che, separandoli dagli equilibri sociali dell'ancien régime , strappandoli fisicamente dal fianco delle reggie e dai palazzi nobiliari, dotandoli di servizi autonomi, di facciate che li distinguono nel contesto urbano e professionalizzando l'attività che in essi ha luogo li rende strumenti possibili della strategia urbanistica. La Staatsoper di Vienna nasce in seno al Ring, l'anello d'oro dell'urbanistica viennese, nel progetto del quale i diversi edifici pubblici vengono spostati ora qui ora lì, come puntate sul tappeto di una "roulette" capaci di infulenzare la traiettoria della pallina.

Con l'abbattimento delle mura Palermo si prepara ad espandersi nelle campagne e nei giardini circostanti. Nel moderno sviluppo edilizio verso il quadrante nordoccidentale i teatri svolgono un ruolo determinante. Il sito destinato al nuovo teatro, nel rione di S. Giuliano, è esattamente all'incrocio dell' asse di allontanamento dal centro tracciato nel 1848, la nuova via della Libertà, proseguimento dell'antica via Maqueda, sulla quale sorge, qualche centinaio di metri più lontano, il politeama Garibaldi, inaugurato nel 1874 per il pubblico più popolare. Si pongono così le premesse di grandi trasformazioni, che si intensificheranno con l'esposizione nazionale del 1891-92, per diventare del tutto scomposte solo nel secondo dopoguerra.

Secondo una prassi ormai consolidata, l'area scelta per il tempio della vita civile, come allora si soleva intendere il teatro, è occupata da edifici religiosi, il Monastero delle Vergini Teatine dell'Immacolata Concezione di S. Giuliano, dal Monastero delle Stimmate e dalle chiese annesse, che verranno spianate. Dei progetti presentati al concorso viene allestita una mostra che riscuote un notevole successo mondano, nel 1866, nella chiesa di S. Domenico. Nel 1868 è nominato vincitore il progetto di Giovan Battista Filippo Basile, un tipico intellettuale borghese di quegli anni.

Nato nel 1825, Basile aveva potuto studiare, in Sicilia e a Roma, grazie all'interessamento di un amico di famiglia, il direttore dell'Orto Botanico Vincenzo Tineo e nel 1848 aveva servito con il grado di tenente del genio, fra i rivoluzionari, costruendo una polveriera. Progettista informato dei più recenti orientamenti del dibattito architettonico europeo, studioso di storia dell' architettura, incaricato e successivamente ordinario della cattedra di architettura dell'università dal 1854, intervenuto più volte sul problema dell'edificazione del nuovo teatro nella sua attività di pubblicista, architetto capo del neonato Ufficio Edilizio di Palermo dal 1863, Basile parte nella competizione per il nuovo teatro da una posizione avanzata. Che viene ribadita dalla nomina a presidente della commissione del vecchio e famoso architetto che aveva tracciato il solco nel quale il progetto del giovane siciliano sembrava muoversi: Gottfried Semper.

Tipici del clima culturale della prima metà del secolo sono i dubbi seminati dal dibattito sulla policromia dei monumenti antichi, cioé dalla scoperta dell'infondatezza scientifica della "forma pura" cercata e trovata da Winkelmann nella classicità . Ciò non basta a mettere in crisi l'impianto disciplinare dell'architettura, ma spezza al suo interno quella fantastica consequenzialità, di natura ideologica, che ne costituiva l'ossatura. Così il riferimento al mondo classico si riduce a "stile", presto affiancato nella seconda metà del secolo da una miriade di altri "stili", ai quali gli architetti si sentono ormai disposti ad aderire "liberamente". Il crollo delle bianche forme neoclassiche, già vacillanti, che gli ideali dell' '89 avevano preso in architettura nel sommovimento quasi tellurico del 1848 aveva indotto Semper, allora combattente e proscritto, alla affermazione, in sede artistica, di nuove certezze nella individuazione di "tipi primari", determinati dalle circostanze storiche e geografiche ma riconosciuti dalla libera soggettività dell'architetto. Semper, a sua volta, seguiva il solco di Goethe.

Nel progetto di Basile egli riconoscerà un "tipo primario" di edificio adatto a caratterizzare il centro di una città, cogliendone una delle direttrici esplicite. "Archetipo e disegni" è infatti il motto, con implicita dichiarazione metodologica, che contraddistingue il progetto basiliano. Tipicamente neoclassico rimane forse in esso solo il tema del teatro come luogo di crescita civile, inscritto in un tagliente frontone triangolare. Il resto è in tutto e per tutto "stile".

Basile individua nello stile corinzio un ceppo originario dell'architettura classica di origine non greca, ma prettamente italiana."Io volli imprimere un significato politico al mio progetto col servirmi per la decorazione esteriore dell'edificio degli elementi di quella scuola eminentemente italica, giusto nell'epoca del Rinnovamento italiano". L'intero edificio è scandito da grandi colonne di un ordine "monumentale e grandioso". "La forma cinquecentista... mi sembra con le sue minutezze non possa manifestare al di fuori le grandezze interne del convegno di tremila persone". Anche nel disegno degli ornamenti Basile attinge ai suoi studi archeologici, insistendo sull'interdipendenza fra la forma dei capitelli e le caratteristiche della pietra con la quale vengono eseguiti. Il teatro vuole essere al tempo stesso realizzazione, scuola e museo. Basile individua la pietra più adatta per la sua opera nei dintorni di Palermo. Istituisce all'interno del cantiere corsi per la qualificazione delle maestranze chiamate all'opera di decorazione: scalpellini, intagliatori, decoratori. Egli condivideva con Semper e con l'epoca una sollecita attenzione ai dettagli artigiani:"Oggi si ha per nulla che un architetto sopra i ponti facesse architettura, e si reputa ad onore che egli solamente col dito o col bastone indichi il lavoro da farsi agli operai, e pochi hanno avuto in mano lo scalpello. E poi vuolsi che l'arte risorga?"

La modernità è evidente nel montaggio dei diversi "pezzi" della composizione. La definizione, presente nel bando, è fatta propria da Basile nella relazione che accompagna il suo progetto. Tali "pezzi" -la sala, il palcoscenico, le rotonde laterali, il grande ingresso- non sono raccolti in un volume unitario, ma esposti nella loro eterogeneità. Dato il carattere "didattico" della costruzione, la assoluta modularità delle arcate del piano terreno può ricordare la teorizzazione decisamente moderna di architetture in crescita indefinita, che altrove egli dichiara inapplicabile ad un teatro. Da questa modularità, osservabile anche in pianta, deriva una certa freddezza che nel premiare il progetto, pur così vicino alle proprie conclusioni estetiche, Semper rimprovera all'architetto siciliano. Poi si allontana da Palermo, sottraendosi alle pressioni degli altri concorrenti che tentano in vari modi di invalidare l'esito del concorso.

Nel 1874 ha inizio la vicenda della realizzazione, con una delibarazione alla quale partecipano (sinistro presagio) appena la metà dei consiglieri. La posa della prima pietra avverrà il 12 gennaio 1875, ventisettesimo anniversario dei moti del 1848. L' ostilità originatasi in seno alla neonata amministrazione comunale, dove l'opposizione era arroccata su posizioni conservatrici e "regionaliste" e in quella parte di cittadini e professionisti esclusa dal gigantesco cantiere ostacolerà pesantemente il corso dei lavori. L'occasione è offerta dal "ritorno dei gattopardi". I principali protagonisti dell'opposizione al progetto, il barone Nicolò Turrisi Colonna e il duca Fortunato Vergara di Craco, appartenevano a quella parte della classe dominante palermitana che, pur avendo combattuto i Borboni e fatto la rivoluzione, dopo l'unità era rimasta sostanzialmente all'opposizione. Nel 1881 Turrisi diventa sindaco e Vergara assessore ai Lavori Pubblici. L' anno seguente Basile si vedrà l'incarico ritirato dopo l'accusa -mai provata- di spesse eccessive e affidato all'ottantasettenne Alessandro Antonelli, noto per la Mole "Antonelliana" da poco realizzata a Torino. Antonelli poco elegantemente accetta, mettendo avanti il figlio Costanzo. Ma l'operazione si scontra con il muro delle proteste elevate dagli altri artisti siciliani, dalle numerose organizzazioni operaie e professionali, dalla prestigiosa Accademia di S.Luca di Roma, che vota un apposito ordine del giorno, e da semplici cittadini. 

La spesa prevista di 3 milioni, era salita nel '78 a 4 milioni e mezzo e alla fine risultò di circa 7 milioni. Verrà destinata al pagamento del mutuo di L. 2.500.000 la dote di L. 127.500 che annualmente, fra discussioni e opposisioni di varia natura, finiva coll'assegnarsi per gli spettacoli del Bellini. Per alcuni anni si ebbero, di conseguenza, limitazioni negli spettacoli lirici. "La costruzione del teatro Massimo andò perciò molto per le lunghe e, oltre ad essere fonte di violente polemiche e recriminazioni, costituì senza dubbio una grossa palla di piombo per le successive amministrazioni, costrette ad impegnarsi nella continuazione dei lavori a danno di altre infrastrutture assai più necessarie" (Cancila). Dopo lunghe e clamorose polemiche si arriva ad un accordo e l'incarico viene restituito a Basile nel 1889. Egli potrà così continuare, sotto l' attenta sorveglianza degli uffici, a "compiere gli studi particolareggiati, le stime preventive ed i capitolati di appalto" fino alla sua morte, avvenuta nel 1891. I suoi operai abbruneranno il frontone del teatro in segno di lutto.

Per coerenza formale e forte personalità, l'opera di Basile padre occupa uno dei "luoghi alti" della cultura che aveva affrontato il problema di una rifondazione storicistica della disciplina architettonica, conservandone l'ispirazione ideologica di stampo neoclassico. Nel prendere possesso dello spazio della piazza, dove troneggia senza rivali, e nelle sue caratteristiche didattiche e museali -dove storia ed architettura si uniscono- echeggia la convinzione, espressa anche negli scritti, che l'opera architettonica potesse offrire al dibattito sull'unità delle arti il suo centro ideale. Ma si trattta più di una convinzione personale dell'architetto, nella quale egli manifesta la propria cultura e il propio impegno civile, che di una "tendenza" dell'epoca eclettica che le fa da sfondo.

L'edifico pubblico era un tema tanto naturale per Giovan Battista Filippo quanto lontano per Ernesto al quale, allora trentaquattrenne, viene affidato senza polemiche il compimento dell'opera, che egli effettuerà con attenzione e rispetto, realizzanto le coperture, le macchine, l'arredo interno, le decorazioni e lasciando segni riconoscibili soltanto in alcune decorazioni pittoriche, nei leoni della scalinata e nei lampioni in ghisa e le pitture della sala.

"Nè v'ha oggi un qualche edifico pubblico di preminente importanza, il quale intenda perfezionarsi nelle sue disposizioni o nel suo organismo o che sia, come la cattedrale del medioevo o il tempio presso i pagani, l'edifizio tipo, il monumento per eccellenza, dove tutti gli sforzi dell'intelligenza e dell'arte siano volti per generale aspirazione di perfettibilità; dove tutto il carattere della civiltà trovi la sua più evidente manifestazione (...). Noi abbiamo i palazzi municipali, le Università, gli istituti e le scuole di ogni genere, le biblioteche, i teatri, i musei, i palazzi d'esposizione, gli asili, i palazzi di giustizia e via discorrendo. Di tutti questi edifizj nessuno ha carattere costruttivo proprio".
Dal concorso sono passati trent'anni. Le campagne e i giardini a nord-ovest del Massimo e del Politeama, lungo la via della Libertà, sono ora quartieri borghesi di palazzine a due piani con grandi giardini, dei quali ancora oggi si è salvato qualche esempio. La Palermo del Gattopardo si è trasformata nella città dei Florio, i grandi industriali che la porteranno al periodo del suo maggior splendore nell'Italia unita. Ernesto Basile è il loro architetto di fiducia e passerà alla storia come uno dei massimi esponenti del Liberty italiano. La loro fonderia Oretea realizzerà la struttura in ferro del palcoscenico e delle coperture. Il medievalismo e lo stile floreale di Ernesto sono il punto di arrivo del soggettivismo del padre: non soltanto perché egli si trova a portarlo a compimento. Ma perché si esprime nella sua opera una soggettività artistica che sente vacillare le fondamenta storicistiche della disciplina architettonica e mobilita tutte le riserve dell' interiorità, dell'originalità, della grazia per salvaguardare uno spazio alla libertà della progettazione, ormai evidentemente ristretta alle esigenze esornative della logica produttiva o all'ambito fantastico della dimora privata.

"Dai teatri infatti ogni idea di utile è esclusa ... sono eretti a puro scopo di ricreazione pubblica; e se dietro al diletto v'ha poi l'insegnamento e un fine istruttivo e morale, questo si palesa secondario o conseguente e non come prima e forte occasione della loro esistenza. ... opera esclusivamente di lusso, in cui l'arte deve senza dubbio sfoggiare e risplendere...". Così Ernesto presenta il lavoro finito, contraddicendo apertamente l'epigrafe di oscura origine che Giovanni Battista Filippo aveva voluto inscritta sul tagliente frontone triangolare:

L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita

Vano delle scene il diletto ove non miri a preparare l'avvenire.

Una frase di Semper, padre della fortuna di questo progetto, con la quale, riferendosi a Darwin, egli aveva definito i monumenti della storia dell'architettura "unicamente gli involucri fossili di organismi sociali estinti", sembra cogliere il carattere monumentale del Massimo, ultimo dei grandi teatri.

Dopo l'inaugurazione il teatro subirà più volte modifiche alla fossa d'orchestra. I Florio si sostituirono con generosità al Comune nelle responsabilità impresariali, inserendolo in un circuito di prestigio e animando una stagione culturale e mondana irripetibile, alla quale metterà fine lo scoppio della prima guerra mondiale. Nei difficili anni di quest'ultima, i Florio terranno il teatro comunque aperto. Un breve intervallo di gestioni private precede l'istituzione dell'Ente Autonomo, nel 1936. Nel 1974 il teatro venne chiuso per lavori di adeguamento alla normativa di sicurezza che ancora non sono conclusi e che ci hanno impedito di presentare immagini recenti dell'interno della sala.


da Francesco Sforza, Grandi Teatri Italiani, Editalia, Roma, 1993