Offline Riflessioni a modem spento


E se l’etica
tornasse di moda?

Web Marketing Tools
febbraio 2004



  Giancarlo Livraghi

gian@gandalf.it
 
Per altre osservazioni vedi
il mercante in rete
e altre rubriche online
e due libri:
  La coltivazione dell’internet  
e L’umanità dell’internet
 
 

 



Sembra che, da un po’ di tempo, si ritorni a parlare di etica. La parola era scomparsa dal lessico dominante. Un anno fa (o cinque o dieci) chi aveva la malagrazia di accennare all’etica era zittito con un misto di fastidio e di disprezzo. Era bollato come “moralista” o compatito per la sua puerile ingenuità.

In generale... è ancora così. Ciò che conta, si dice, è la logica del profitto, del potere e della fama. Chi è (o sembra) ricco o potente o famoso merita ammirazione e rispetto. Forse anche amore. A chi riesce in tutte e tre le cose si deve sconfinata ammirazione. Ogni altro modo di pensare è noioso, bigotto, antiquato e irrilevante.

Se qualcuno accusa qualcun altro di essere bugiardo, imbroglione o disonesto, si dubita delle sue intenzioni. Probabilmente, si pensa, è mosso dall’invidia o ha qualche interesse in contrasto. Il che, spesso, è vero. Cosa che aiuta a confondere le carte e a impedire di vederci chiaro.

Questa mentalità, per ora, non sembra cambiata. Ma sta spuntando, qua e là, il dubbio che si possano vedere le cose in modo diverso – e trarne conseguenze pratiche.

Stelle splendenti e osannate dell’affarismo speculativo sono tramontate nel silenzio di un’informazione imbarazzata e distratta. Ma alcune magagne sono venute a galla. Il “caso Enron” è ancora all’onore delle cronache (con l’annesso “caso Andersen” e l’intrico di connivenze fra controllori e controllati). Ci sono vicende analoghe in Europa e altrove. Solo un osservatore molto superficiale può pensare che si tratti di “casi isolati”. Ce ne sono molti altri che forse non verranno mai alla luce. Ciò che stupisce è lo stupore quando se ne scoperchia qualcuno.

E in Italia? Nel paese dei condoni, dei compromessi e degli insabbiamenti sembrava che tutto potesse restare confuso in un polverone di chiacchiere e di ambiguità. Così qualcuno ha pensato che si potesse esagerare. Ma, se qualche deragliamento un po’ eccessivo ora tormenta tutto il sistema, non occorre essere molto “bene informati” per sapere che il contagio è diffuso.

Perciò può sembrare che, passata qualche buriana e riseppelliti gli scandali nel dimenticatoio, si possa tranquillamente tornare alle vecchie abitudini, perché “così va il mondo”. Ma forse non tutto è così profondamente impantanato. (Vedi Le speranze e le radici di un’Italia più civile).

In conseguenza di queste e altre vicende sta rispuntando la parola “etica”. Naturalmente la cosa è sospetta. Ci possono essere davvero moralismi, ipocrisie e bigottismi – e in quel caso la cura può essere peggiore del male. Come è probabile che ci siano manipolazioni di varia specie – comprese le lotte di potere fra quelli che vogliono impadronirsi delle leve di controllo.

Ma il fatto è che l’etica può e deve ritrovare il suo ruolo centrale, non solo nelle grandi prospettive della cultura e dell’economia, ma anche in ogni aspetto dell’attività concreta. È venuto il momento di rimetterla in evidenza fra i ferri del mestiere. E di imparare bene come funziona. Non dobbiamo più vergognarci di parlarne, chiaro e schietto. Né di metterla in pratica e trarne un vantaggio competitivo. (Vedi L’etica della comunicazione).

Qualcuno potrebbe chiedersi perché queste considerazioni si trovino su una rivista che parla di marketing, comunicazione e web. Mi sembra evidente che hanno una particolare applicazione proprio in queste prospettive. Ma vediamo un po’ più specificamente come.

Nel mondo della comunicazione (vistosamente in quella televisiva) si stanno incrociando accuse di disonestà, di falsificazione, di imbroglio. Quel fracasso è ambiguo, parrocchiale e strumentale. Ma almeno comincia a circolare l’idea che falsificare le storie, truccare le notizie, glorificare gli imbroglioni, mettere sugli altari astrologi, indovini, guaritori, stregoni, fattucchiere, truffatori e balordi di ogni specie non sia un comportamento giustificabile, neppure quando sembra che faccia salire qualche impreciso e grossolano indice di audience.

C’è molto da cambiare nel mondo dei mass media. E c’è molto bisogno di dimostrare come si possa avere successo (comprese buone quote di ascolto o di lettura) facendo onestamente il proprio mestiere – offrendo informazioni (e divertimento) senza trucchi, senza patacche e senza imbrogli. Questo è possibile e non è molto difficile. Ma occorre uscire dal solco di abitudini che, prima ancora di essere cattive, sono stupide e squallidamente ripetitive.

C’è molto da cambiare nelle tecnologie – specialmente in quelle dell’informazione e della comunicazione. Si sono promesse troppe soluzioni miracolose, sviluppate troppe complicazioni inutili, vendute troppe patacche a persone (o imprese) impreparate a capire l’evoluzione turbolenta e confusa delle risorse disponibili. Le delusioni e i fallimenti sono ormai troppi perché si possa continuare indisturbati su una strada che può offrire ad alcuni immeritati guadagni, ma mette profondamente in crisi tutto il sistema.

C’è molto da cambiare nel mondo del marketing. Quel termine è diventato quasi una parola oscena. Eppure ci sono imprese che fanno buoni profitti con prodotti di qualità, con informazione chiara e corretta, offrendo davvero servizio utile ed efficace. Fanno marketing, lo fanno bene, e non hanno alcun motivo di vergognarsene.

Di quelle imprese non si parla molto, perché offrono poche occasioni alla cronaca scandalistica o mondana, perché preferiscono far bene che perder tempo a vantarsene – e perché non vanno alla rincorsa di una generica notorietà, di una visibilità purchessia, ma badano a farsi conoscere, riconoscere e capire da chi è in rapporto con loro. Non solo da chi acquista i loro prodotti o servizi, ma anche da tutto il loro sistema di relazioni – in cui coltivano, con quotidiano impegno, rapporti di solida e durevole fiducia.

Quanto all’internet... la rete è nata sana, aperta, trasparente e libera. Nella sua sostanza lo è rimasta. Anche il sistema web, vent’anni dopo, è nato pulito, limpido, opensource, strutturalmente semplice e olidamente efficiente. La melma di pasticci in cui stiamo annegando deriva dalle complicazioni inutili che si sono sovrapposte a quella base sana e la stanno rendendo quasi irreperibile.

Nelle incrostazioni si annidano vari malanni – come lo spam, le truffe, le trappole e la proliferazione delle invadenze. Sono malattie curabili, ma mancano diagnosi chiare e terapie efficaci. Molti si atteggiano a protettori o terapeuti della rete, ma sono più interessati a impadronirsene, a inquinarla o a controllarla che a restituirle la sua sana e libera identità.

La nostalgia sta diventando una tentazione forte. Due o tre anni fa pensavo che non dobbiamo avere nostalgie, che l’importante è capire la rete come è oggi e come potrà essere domani. Ma ora devo confessare che (come quasi tutte le persone che erano online dieci o quindici anni fa) rimpiango sempre più la rete “di allora”. Un amico mi ha ricordato in questi giorni una mia vecchia ironica poesiola di quando stavano arrivando i primi inquinamenti. Cominciava così: «Com’era bella, com’era bella, la telematica quando era snella».

A parte la cellulite, cioè i malanni derivanti dalla pasticciata proliferazione della telefonia mobile, ci sono segni vistosi di obesità e bulimia. Non parlo dell’enorme quantità di roba, in gran parte inutile, che ingombra la rete. Qualsiasi tentativo di ridurla o condizionarla sarebbe inaccettabile. La libertà di comunicare va difesa a tutti i costi, anche quando è piena di stupidaggini. La quantità dei contenuti dev’essere lasciata crescere quanto vuole – si tratta di continuare a migliorare gli strumenti per trovare e scegliere ciò che ci interessa (e la nostra capacità di usarli).

La cura disintossicante sta nell’eliminazione delle croste stratificate che si sono sovrapposte ai contenuti e ai servizi utili. Nella decongestione di aberrazioni tecniche e di metodi inefficienti, ingestibili e stupidi. Per rimettere in luce ciò che vale, serve e funziona.

Ormai nessuno più mi accusa di essere un tecnomane solo perché uso quotidianamente un computer e la rete. E capita meno spesso che mi si gabelli per tecnofobo quando mi stufo degli arnesi che usiamo per scrivere, comunicare, eccetera – perché, con le tecnologie oggi dominanti, sono fra i meno efficienti e funzionali che siano mai stati messi in commercio.

La nostalgia c’è ed è ben motivata. Ormai è chiaro che le cose funzionavamo molto meglio quando erano più semplici. E che il marasma delle complicazioni o è inutile o fa danno. Ma non si tratta di piangere sul latte versato – né di tornare indietro. Si tratta di andare avanti e di farlo in modo concreto, pratico e funzionale.

Per far questo è necessario ritrovare i valori. Le strutture parassitarie che si arrampicano senza radici succhiano la linfa vitale della pianta sana. Un’energica disinfestazione è la premessa per ritrovare la via del progresso. (Vedi Facciamo un passo indietro).

Mi sembra un’ottima idea far tornare di moda il buon senso, il rispetto reciproco, le promesse fatte sapendo di poterle mantenere, la correttezza, la sincerità, la responsabilità, la trasparenza. In una parola, l’etica. Con in più, magari, un po’ meno boria, più voglia di ascoltare – e una sana dose di umorismo e di autoironia.

È importante capire che in quel modo si può fare buon marketing, buona comunicazione, sano profitto. Andare al lavoro con più buonumore, migliorare la voglia, l’impegno e la produttività. E così non solo guadagnare bene, ma divertirci di più a lavorare, non vergognarci di ciò che facciamo – e dormire la notte con più serenità.



 

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