gassa

I nodi della rete
di Giancarlo Livraghi
dicembre 2009


Disponibile anche in pdf
(migliore come testo stampabile)


Il tempo e il modo
di leggere online

 
(perché tanti siti funzionano male)



Due piccoli episodi di oggi (simili ad altri ieri e probabilmente domani) mi offrono l’occasione per ritornare su un tema di cui sto parlando da parecchi anni – ma purtroppo è ancora ostinatamente di attualità.

Cerco il testo online di un articolo pubblicato da un quotidiano. L’apertura della pagina è “lenta” (in realtà sono alcuni secondi, ma la “nozione del tempo” online è diversa da quella in altre situazioni – e l’impazienza è la regola). Il motivo è che al testo sono aggiunte 24 ingombranti immagini (di cui una è inutile e le altre 23 nulla hanno a che fare con l’argomento). Così quando, finalmente, si comincia a leggere si è confusi e infastiditi da inutili ingombri. E l’irritazione cresce.

In un’altra situazione dello stesso genere si trova solo il testo, senza due immagini che sarebbe utile avere, perché “inerenti” al tema – mentre ce ne sono parecchie altre che non c’entrano. Cioè si è arrivati al massimo dell’incoerenza: tolti gli ingombri che sarebbero giustificati, aggiunti quelli che fanno solo confusione.

(E quando ero arrivato a quelle pagine ero già spazientito, perché ci era voluto più tempo e fatica per trovarle di quello che sarebbe ragionevole).

La lista degli esempi potrebbe essere infinita, ma spero che questi bastino per dare un’idea del problema.

In questi casi me ne vado in fretta – perché ho già letto i testi nei giornali stampati, mi servono solo gli indirizzi web per segnalarli a un amico. Ma, se dovessi leggerli lì, sarei già stufo e disorientato prima ancora di cominciare.

Leggere su un monitor non è, comunque, il modo più agevole e incoraggiante. Ogni complicazione serve solo a infastidire il lettore, a distrarlo dall’argomento che gli interessa e a renderlo impaziente. Molti (specialmente fra le persone più esperte) tendono ad abbandonare i siti che si comportano in quel modo e cercarne altri (se ci sono) con strutture più semplici ed efficienti.

Perché in così tanti siti si insiste con assurda ostinazione nella sciocca abitudine di accumulare ingombri che non sono soltanto inutili, ma spesso anche fastidiosi? Il motivo è che, nonostante tanti anni di esperienza, si continuano a concepire siti e pagine dal punto di vista di chi le fa e non da quello di chi le usa. E si persevera nel tentativo di asservire le persone alle tecnologie, mentre è ovvio che bisogna fare il contrario.

Non molto tempo prima avevo letto un interessante articolo pubblicato il 22 novembre 2009 da Gerry McGovern (un autore che ho citato volentieri in varie occasioni, anche recentemente). Il titolo è Manage your Customer’s Time (“Gestisci il tempo del tuo cliente”). Più che di “gestire” il comportamento delle persone che leggono online, si tratta di capirlo. E di organizzare il sito nel modo più utile e agevole dal punto di vista del lettore.

«La rete – osserva Gerry McGovern – non è “gratis”. Chiede ai lettori di investire il loro tempo. I buoni siti web danno il massimo di valore nel minimo di tempo».

C’è addirittura, spiega McGovern, chi teorizza il consumo di tempo dei lettori come un vantaggio. A questo proposito cita un libro (che non conosco) di Bernardo Huberman The Laws of the Web in cui si consiglia di organizzare un sito web in modo da «cambiare la struttura dei link per allungare il percorso attraversato da un utente, così facendogli visitare molte più pagine». Con questo aumentano nelle (cosiddette) statistiche gli indicatori di “pagine viste” e chi gestisce il sito se ne può vantare – mentre c’è un ovvio, e stupido, peggioramento del servizio al lettore.

Non sapevo che si fosse arrivati al punto di assurdamente “teorizzare” questo concetto, ma è evidente nei fatti che molti continuano a seguire quella vecchia e sconsiderata abitudine.

È ovvio (benché molti si ostinino a non volerlo capire) che, anche in questo senso, occorre fare il contrario. Cioè aiutare il lettore a trovare ciò che gli interessa nel modo più semplice e veloce possibile.

Gerry McGovern ha aggiunto alcune osservazioni su questo tema in un altro articolo, pubblicato il 30 novembre If Your Customer Falls in the Forest of Your Website (“Se il tuo cliente cade nella foresta del tuo sito”).

«Se i lettori inciampano e cadono nella foresta del tuo sito e non senti il loro grido di dolore, hanno davvero fatto qualche rumore?». Il suono più probabile, dice Gerry McGovern, è il piccolo quanto temibile click con cui se ne vanno: “da qui sono fuori e non ritornerò”. Il rischio è forte per tutti. Anche i migliori, talvolta, sbagliano. Perfino Gerry lo confessa.

«Sto facendo cose web dal 1994 e cado ancora in questo orribile, basilare errore. Dimentico che sono le persone – si, le persone vere – che cercano davvero di trovare qualcosa nel mio sito».

«Gestire un sito web è una sofferenza perché è vivere in un ambiente senza empatia, senza una risposta significativa. Credete davvero che quelle grossolane, insignificanti statistiche su pagine viste, visitatori e “hit” possano essere qualcosa di diverso da grossolano e insignificante?».

«Dietro quei freddi numeri senza vita ci sono le esperienze di persone vive e vere. Che vengono da noi per fare cose vere. E nella maggior parte dei casi noi che lavoriamo nel web non abbiamo la minima idea di quanto siano soddisfatti o delusi. Questo è surreale».

I banali tentativi di creare “interattività” o dialogo (che nella maggior parte dei casi i lettori non stanno cercando) sono quasi sempre inutili e spesso controproducenti. Se qualcuno vuole fare una domanda, sta a quella persona decidere quale, quando e come. E si rischiano grosse delusioni se la risposta non è veloce – e se non ha quell’attinenza che spesso manca nei sistemi automatici o nei servizi standardizzati di cosiddetto customer care.

Ma ci sono anche altri problemi. Gerry McGovern racconta che uno dei presenti in un suo workshop stava cercando di spiegargli ciò che aveva imparato da suo figlio di sette anni. Il ragazzino lo guardava con espressione annoiata – e, cercando di capire il motivo, gli venne un’idea.

Come ti senti quando vai su un sito, vuoi provare un gioco che c’è lì e ti chiede di iscriverti?
Non mi piace
, il figlio rispose.
Perché?
Perché mi fa perdere tempo.

Ha sette anni. Ha già capito che non è il caso di sprecare tempo in complicazioni inutili e fastidiose.

Con gli adulti è lo stesso – o peggio. Le cose che uno come me cerca in rete sono, almeno in parte, diverse da quelle che interessano a un ragazzino. Ma il nostro comportamento è molto simile.

Anche a me, per esempio, non piacciono i siti che pretendono un’iscrizione. Non solo perché mi fanno perdere tempo, ma anche perché c’è un’alta probabilità che tentino di coinvolgermi in cose che non mi interessano o che mi affliggano con posta indesiderata – che non sempre è spam, ma è comunque un ingombro fastidioso.

«Da due mesi sto dedicando parecchio tempo – continua Gerry McGovern – a guardare e ascoltare le persone che usano i siti web. Ieri sera un professionista turco continuava a ripetermi quanto fosse prezioso il suo tempo e quanto un sito che stavamo guardando gliene facesse perdere».

«Le persone parlano continuamente del tempo che perdono. Non faccio domande su quell’argomento. Chiedo che provino a cercare qualcosa in rete – e il risultato è che presto si mettono a parlare di tempo. Si arrabbiano molto quando hanno la sensazione che il loro tempo sia sprecato».

«Èancora peggio quando un link li porta a una pagina diversa da quella che prometteva. O quando un “cerca” dà risultati inutili o mdevianti».

«Osservare le persone quando cercano di fare qualcosa in rete è una lezione dura. È stupefacente il numero di casi in cui non ci riescono o rinuciano – oppure ottengono la risposta sbagliata credendo che sia quella giusta».

«Nessuno parte con l’idea di fare un sito crudele e punitivo. Non li riempiamo intenzionalmente di trappole per fare inciampare e strillare i nostri lettori. Non cominciamo a impostare un testo con l’intenzione di scrivere uno sproloquio insensato».

Non è facile capire quanto sia “involontaria” la sofferenza infllitta ai lettori – o quanto si tratti di intenzionali (quanto inefficaci) tentativi di manipolazione. Ma è vero che spesso i pasticci e i fastidi derivano dall’incapacità di ascoltare e capire. Così lo spiega Gerry McGovern.

«Facciamo queste cose, e ancora peggio, perché non vediamo i lettori usare i nostri siti. Manchiamo di empatia e sensibilità perché non osserviamo il loro comportamento per cercare di offrire ciò che è utile a loro».

«Capire i lettori e le loro esigenze è essenziale per il successo di un sito. È sostanzialmente semplice ed è fondamentale. Che cosa ci può essere di più importante?».

Questi concetti erano chiari fin dalle origini delle attività in rete. E lo sono sempre stati, in larga misura, in ogni altra forma di comunicazione. È sconcertante che, dopo tanti anni, si debbano ancora ribadire – e che ci sia una così diffusa ostinazione nel continuare a ripetere gli stessi errori.

La sostanza è semplice. Le tecnologie di comunicazione sono utili, ma funzionano bene solo quando sono al servizio delle persone. Farlo in pratica non è facile, perché richiede impegno, attenzione, capacità di ascoltare e continua verifica. E una non sempre facile convergenza di competenze diverse. Ma l’unico modo per costruire comunicazione efficace e rapporti durevoli è badare soprattutto ai valori umani. E non si finisce mai di imparare.


Un “supplemento” a queste osservazioni si trova
in
Che cos’è un “ipertesto” e a che cosa serve

Su argomenti analoghi ci sono cinquanta altri testi
in La stupidità delle tecnologie



indice
indice delle rubriche


Homepge Gandalf
home