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I nodi della rete
8 – aprile 2001


di Giancarlo Livraghi – gian@gandalf.it



Crolla la falsa economia:
che bella occasione


 

Non è prudente fare profezie. Ero tentato di azzardarne una, più di un anno fa. Per fortuna l’ho evitato, perché avrei sbagliato di grosso. Ero convinto che fosse arrivato il momento della svolta. Che gli arrembaggi frettolosi fossero destinati al fallimento era evidente. Che un mercato azionario volante nei cieli della fantasia fosse condannato al destino di Icaro era altrettanto chiaro (ne ho già parlato in questa rubrica il mese scorso). Che le imprese fossero impreparate e incerte nell’uso dell’internet non era solo evidente nei fatti, ma anche ammesso e proclamato pubblicamente. La logica portava a immaginare un chiaro giro di boa, una revisione radicale delle strategie, un impegno su progetti meno superficiali e più solidi. Ma spesso non è il buon senso a governare il mercato – o i comportamenti umani. La svolta non ci fu; e non è neppure chiaro se si stia avvicinando oggi.

È assurdo che il sistema dei mass media continui a considerare come notizia sensazionale ogni piccola oscillazione della borsa. Quando è ovvio che le onde speculative non riflettono alcuna realtà di mercato o d’impresa; e che l’enorme discesa dei titoli della cosiddetta new economy non è una “caduta” ma un assestamento inevitabile (che probabilmente non ha ancora toccato il fondo).

Se ci allontaniamo dal rumore assordante delle cronache del nulla, e guardiamo con un po’ di calma la realtà del mercato, vediamo che questa è un’occasione molto favorevole per chi vuol fare sul serio; senza fretta, senza ansia, senza bisogno urgente di finanziamenti, di venture capital o di quotazioni in borsa.

Immaginiamo un’impresa che sia in condizione (per ora) di sopravvivere bene anche senza l’internet. Che sia in grado di sviluppare la sua attività in rete un po’ per volta, sperimentando, verificando, senza un esagerato investimento iniziale e con una crescita graduale. In base alla leggenda (ampiamente smentita dai fatti) di un immaginario “tempo internet” una tartaruga intelligente rischia di essere continuamente scavalcata da orde di conigli frettolosi. Che non possono “toglierle il mercato” ma creano così tanta confusione da complicare l’ambiente in modo inestricabile. Può trovarsi anche davanti alla concorrenza di attività mal concepite, abborracciate, destinate al fallimento ma disposte a spendere cifre assurde pur di “essere presenti” – e quindi capaci, se non di invadere il suo territorio, di “sporcarlo” e di disorientare i potenziali clienti.

Il disordine è finito? Pare di no. Se negli anni scorsi non è accaduto, non è facile che oggi prevalga universalmente il buon senso. Ma l’ingombro delle imprese illusorie e avventuriere è minore. Per quanto mal capite possano essere le lezioni dell’esperienza... c’è più spazio per proposte serie, solide e meditate.

Per una crescita non effimera dell’e-business credo che si debba puntare su tre cose.

Sulle imprese che hanno già una solida presenza nel mercato e che possono usare la rete come risorsa complementare alle loro attività esistenti – con tutta la prudenza, la pazienza e la continua verifica che sono le migliori garanzie di successo.

Sulle “nuove imprese” che possono sviluppare una buona idea senza costi iniziali esagerati, senza ansie del breve periodo, con una crescita graduale e con un altrettanto graduale sviluppo delle competenze e della formazione.

E infine (soprattutto) sull’esportazione. L’internet in Italia è cresciuta molto e continuerà a crescere. Ma il 98 per cento della rete è fuori dai nostri confini. I giganteschi operatori internazionali non sono invincibili. Se vogliamo che l’Italia non sia solo una colonia o un mercato di conquista... la migliore difesa è l’attacco. Si è dimostrato infinite volte, fin dai tempi del “miracolo economico” di cinquant’anni fa, che le imprese italiane sanno come esportare – non solo abbigliamento o specialità gastronomiche, ma anche prodotti e servizi di ogni specie, spesso con alti livelli di tecnologia. Per imprese come queste... se non ci fosse l’internet bisognerebbe inventarla.


 

 
 


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