Non è prudente fare profezie. Ero tentato di
azzardarne una, più di un anno fa. Per fortuna lho
evitato, perché avrei sbagliato di grosso. Ero
convinto che fosse arrivato il momento della svolta. Che gli
arrembaggi frettolosi fossero destinati al fallimento era
evidente. Che un mercato azionario volante nei cieli della
fantasia fosse condannato al destino di Icaro era altrettanto
chiaro (ne ho già parlato in questa rubrica il
mese scorso). Che le imprese fossero impreparate e incerte
nelluso dellinternet non era solo evidente nei fatti, ma
anche ammesso e proclamato pubblicamente. La logica portava a
immaginare un chiaro giro di boa, una revisione radicale
delle strategie, un impegno su progetti meno superficiali e
più solidi. Ma spesso non è il buon senso a
governare il mercato o i comportamenti umani. La svolta non
ci fu; e non è neppure chiaro se si stia avvicinando
oggi.
È assurdo che il sistema dei mass media
continui a considerare come notizia sensazionale ogni piccola
oscillazione della borsa. Quando è ovvio che le onde
speculative non riflettono alcuna realtà di mercato o
dimpresa; e che lenorme discesa dei titoli della cosiddetta
new economy non è una caduta ma un
assestamento inevitabile (che probabilmente non ha ancora toccato il fondo).
Se ci allontaniamo dal rumore assordante delle cronache
del nulla, e guardiamo con un po di calma la realtà
del mercato, vediamo che questa è unoccasione molto
favorevole per chi vuol fare sul serio; senza fretta, senza
ansia, senza bisogno urgente di finanziamenti, di venture
capital o di quotazioni in borsa.
Immaginiamo unimpresa che sia in condizione (per ora) di
sopravvivere bene anche senza linternet. Che sia in grado di
sviluppare la sua attività in rete un po per volta,
sperimentando, verificando, senza un esagerato investimento
iniziale e con una crescita graduale. In base alla leggenda
(ampiamente smentita dai fatti) di un immaginario tempo
internet una tartaruga intelligente rischia di essere
continuamente scavalcata da orde di conigli frettolosi. Che
non possono toglierle il mercato ma creano
così tanta confusione da complicare lambiente in modo
inestricabile. Può trovarsi anche davanti alla
concorrenza di attività mal concepite, abborracciate,
destinate al fallimento ma disposte a spendere cifre assurde
pur di essere presenti e quindi capaci, se non
di invadere il suo territorio, di sporcarlo e di
disorientare i potenziali clienti.
Il disordine è finito? Pare di no. Se negli anni
scorsi non è accaduto, non è facile che oggi
prevalga universalmente il buon senso. Ma lingombro delle
imprese illusorie e avventuriere è minore. Per quanto
mal capite possano essere le lezioni dellesperienza... cè
più spazio per proposte serie, solide e meditate.
Per una crescita non effimera delle-business
credo che si debba puntare su tre cose.
Sulle imprese che hanno già una solida presenza nel mercato
e che possono usare la rete come risorsa complementare alle loro attività
esistenti con tutta la prudenza, la pazienza e la continua verifica
che sono le migliori garanzie di successo.
Sulle nuove imprese che possono sviluppare
una buona idea senza costi iniziali esagerati, senza ansie del breve periodo,
con una crescita graduale e con un altrettanto graduale sviluppo
delle competenze e della formazione.
E infine (soprattutto) sullesportazione. Linternet
in Italia è cresciuta molto
e continuerà a crescere. Ma il 98 per cento della rete è
fuori dai nostri confini. I giganteschi operatori internazionali non
sono invincibili. Se vogliamo che lItalia non sia solo una
colonia o un mercato di conquista... la migliore difesa
è lattacco. Si è dimostrato infinite volte,
fin dai tempi del miracolo economico di
cinquantanni fa, che le imprese italiane
sanno come esportare non solo abbigliamento o specialità
gastronomiche, ma anche prodotti e servizi di ogni specie,
spesso con alti livelli di tecnologia. Per imprese come queste...
se non ci fosse linternet bisognerebbe inventarla.