Numero 57 21 maggio 2001 |
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1. Editoriale:
Il denaro non è valore |
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Questo numero del Mercante in rete è dedicato a
questioni di denaro. Cioè alla domanda che si pongono,
senza trovare una risposta coerente o ragionevole, molti
operatori del settore e molte imprese che si
affacciano, in un modo o nellaltro, alla rete.
«Dove sono i soldi?»
Visto che i soldi non sono dove se li aspettavano... ora
hanno le idee molto confuse. Non sapendo a che cosa
aggrapparsi (e non volendo ammettere che il motivo del
fallimento sta nei loro errori strategici) dicono che
linternet gratis deve morire e che tutti i
servizi devono essere, in un modo o nellaltro, a pagamento.
Come vedremo più avanti, il problema è (ancora
una volta) mal posto e di conseguenza è molto
improbabile che questo genere di ragionamenti porti a
soluzioni sensate e costruttive.
Prima di entrare in questo argomento specifico, mi sembra
opportuna una considerazione generale. Il denaro non è
valore. È solo uno strumento. Come molte considerazioni
filosofiche questa può sembrare astratta
ma ha precise e immediate applicazioni concrete.
Non mi azzardo ad abbozzare una teoria economica
generale. Perché leconomia non è
una materia che ho studiato con particolare approfondimento.
E perché losservazione di alcuni fatti piuttosto
evidenti può essere fatta anche senza scomodare le
teorie degli economisti. Mi limito a osservare che leconomia
è una scienza alquanto bizzarra e spesso deprimente
(Thomas Carlyle la definì the dismal science)
e che i migliori economisti ne ammettono e dichiarano il limite.
Il fatto è che i modelli classici delleconomia
non sono capaci di ammettere concetti come impresa o profitto,
né di spiegare comportamenti umani che non seguono
la logica lineare di un ipotetico homo economicus sulla
cui esistenza reale è lecito e utile avere molti dubbi.
Lascio agli accademici larduo compito di conciliare teoria
e realtà e mi limito ad osservare alcuni fatti.
Vorrei premettere anche che queste brevi osservazioni non hanno
la pretesa di definire in modo esauriente i concetti di denaro
e di valore (materia assai complessa e non sempre chiara)
né di inquadrare concetti sistematici o scientifici generali cosa
che richiederebbe ragionamenti molto più lunghi e approfondimenti più precisi.
Mi limito a qualche constatazione per indicare che il caso dellinternet,
di cui parlo più avanti, non è un'eccezione o unanomalia
ma una di tante situazioni in cui rilevanti scambi di valore avvengono in termini
non monetari. E che lequivalenza fra valore-utilità e prezzo in denaro
non è così rigida e univoca come molti sembrano pensare.
Il denaro è una convenzione se non una metafora.
Fino allinizio del secolo scorso la moneta non era altro che la garanzia,
da parte di uno stato o di unaltra organizzazione ritenuta
affidabile, che una moneta coniata rappresentasse
un preciso peso di argento, oro o rame o che un pezzo di
carta (biglietto di banca o titolo di credito) assicurasse
lequivalenza a un certo valore in oro. Anche in quei termini
lequivalenza fra loro e uno specifico bene era
tuttaltro che certa e lineare; i prezzi potevano variare
smisuratamente secondo la situazione, la disponibilità
del bene, i fattori di potere e i rapporti negoziali.
Dopo varie crisi, oscillazioni e turbolenze nel ventesimo
secolo, ogni riferimento alla parità aurea
è stato abbandonato nel 1971. Il valore del denaro
è diventato ancora più astratto. Ci sono
collezioni filateliche in cui compaiono francobolli tedeschi
con un valore di miliardi di marchi. Non è
uno scherzo: è accaduto davvero, durante la crisi
economica che ha preceduto (e in parte assecondato) la
nascita del nazismo. Anche in tempi più recenti
abbiamo visto situazioni in cui linflazione ha praticamente
azzerato il valore di alcune monete; e le oscillazioni delle
valute sono ancora oggi basate su uninfinità
di fattori non necessariamente connessi alleffettiva
capacità di acquistare qualcosa.
Insomma il denaro e il valore sono due mondi separati,
tangenti in alcuni punti ma non sistematicamente
e organicamente connessi. Fin che ci limitiamo a esperienze
semplici (tanto guadagno dal mio lavoro, tanto spendo per
comprare oggetti e servizi) sembra che denaro e valore siano
la stessa cosa. Ma basta uscire un po dallabituale
seminato, od osservare i fenomeni in una prospettiva meno
ristretta, per capire che non è vero.
In varie situazioni, anche recenti, si è parlato
di ritorno alleconomia del baratto. Ma la sostanza del
problema è unaltra. Ci sono precise e rilevanti
attività economiche che non si basano su scambi di
denaro. Ci sono sempre state, continuano a esserci e possono
in alcuni tipi di relazione assumere unimportanza maggiore
che in passato.
Peter Drucker, più di dieci anni fa, ha analizzato
nel suo paese il valore del volontariato, e in
generale delle attività non legate a pagamento in
denaro. Ne ha dedotto che il complesso di queste
attività, se si proietta in equivalenza
monetaria, pesa quanto tutto il bilancio pubblico e tutta
leconomia privata negli Stati Uniti. E spesso ha livelli
superiori di efficienza.
Tutti gli analisti concordano sul fatto che il
prodotto interno lordo non misura con precisione
leconomia perché tiene conto solo delle transazioni
monetarie e non di infinite altre attività che
producono valore senza muovere denaro (lesteso
autoconsumo nelle economie agricole è uno
degli esempi più evidenti, ma non certo lunico).
Insomma il denaro è una convenzione, una metafora,
uninterpretazione simbolica del valore. In sé non ha
valore alcuno. Una persona può avere molto denaro e
morire di sete se si trova in un posto dove non cè
acqua o dove chi ha lacqua non è interessato a
scambiarla con il tipo di valuta di cui quella
persona dispone. Oppure può non avere denaro ma
ottenere ciò che cerca se è in grado di offrire
qualcosa che qualcun altro apprezzi.
Sarebbe lungo entrare nei dettagli o definire in modo
più rigoroso le conseguenze di questo concetto. Ma mi
sembra chiaro che il denaro non è tutto e
che ci possono essere infatti ci sono importanti scambi
di autentico valore (anche economico) che non coinvolgono
passaggio di denaro. Cosa continuamente confermata dai fatti
ma che tende a sfuggire a chi accetta in termini quasi religiosi
lassoluta, indiscutibile, dogmatica legge del Dio Denaro
o considera verità rivelata che la realtà
delleconomia (e più in generale dei rapporti umani)
sia tutta e sempre spiegabile e gestibile in termini monetari.
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2. Che cosa vuol dire free internet |
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Le imperversanti discussioni su internet gratis o a
pagamento difficilmente approderanno a qualcosa di
utile o sensato perché partono da una premessa
radicalmente sbagliata. Ignorano il fatto che linternet
è, per sua natura, free ma non per questo è
gratis.
(Le offerte di internet gratis giocate sul
sistema delle interconnessioni e sul commercio di dati sono
un episodio marginale nello sviluppo della rete e non hanno alcun rilievo
nellanalisi generale del fenomeno).
Sembra strano dover ripetere un fatto così
fondamentale. Ma sembra sfuggire a molti che dissertano
sullargomento. La struttura dellinternet si basa su scambi
non monetari. Ogni nodo di accesso alla rete ha un costo.
Composto, secondo il caso, in piccola parte di spesa
finanziaria e in gran parte di tempo e lavoro di chi gestisce
il servizio o viceversa. Ogni nodo che si collega alla rete
è obbligato a dare un servizio a tutti gli altri,
secondo regole precise. In cambio riceve lo stesso servizio
da tutti gli altri. Il concetto è interessante da
molti punti di vista. Il più semplice (ma non per
questo banale) è che si tratta di un contratto di
reciprocità per cui offrendo una connessione si ha
diritto ai servizi di cento milioni di altre. Non cè
passaggio di denaro ma cè una specifica transazione,
che ha un valore anche economico. Qualsiasi altro modello che
si possa immaginare, e che non corrisponda a queste regole
foindamentali, è una cosa completamente diversa
dallinternet come la conosciamo. E linternet comè
è una risorsa cui sarebbe demenziale rinunciare.
Perciò... ogni operazione che voglia fare
denaro deve innanzitutto rispettare e servire
linternet cosiddetta gratuita, che è la
base del sistema. Gli assetati di profitto che dopo le loro
tragicomiche sconfitte proclamano la morte
dellinternet gratis non capiscono che se avessero
ragione (ma per fortuna non ce lhanno) si tratterebbe della
morte dellinternet tout court. Un evento (credo e spero)
improbabile ma che se per qualche sciagurato motivo accadesse
non gioverebbe ad alcuno e tantomeno a chi dalla rete spera
di ricavare, presto o tardi, qualche profitto.
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3. Da dove possono venire i soldi? |
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Se tanti hanno fallito nel tentativo di guadagnare con
linternet non è perché sia impossibile,
né molto difficile. È semplicemente
perché hanno sbagliato i conti (aspettandosi troppo e
troppo presto) e perché sono andati a cercare soldi e
profitti dove non ci sono (se non per chi ha lastuzia e la
fortuna di applicare lantico trucco del prendi i
soldi e scappa, lasciando poi a qualcun altro le
conseguenze e il danno). Ci sono operazioni miliardarie che,
verificate fino in fondo, si rivelano poco diverse dalla
proverbiale vendita del ponte di Brooklyn o del Colosseo.
Leconomia reale è tuttaltra cosa. Ed è
evidente che non cè nulla di strano, né di
irrealizzabile, nellidea di fare soldi con la
rete.
Ma nei tanti, complicati, macchinosi discorsi
sullargomento sembra che si perdano di vista alcuni fatti
elementari. Se la rete in sé è inevitabilmente
gratuita, cioè non basata su pagamenti in
denaro, ciò non significa che lo debba essere ogni
singola attività. Chiunque può affacciarsi in
rete dicendo ti offro questo prodotto o questo servizio
e questo è il prezzo. Se qualcuno compra, bene;
se no ha sbagliato impostazione. Elementare? Si. Ma in
infiniti dibattiti e disquisizioni sul commercio
elettronico o sulle-business sembra che questo
concetto sia completamente trascurato. Come è
trascurato il fatto che se (come accade nella stragrande
maggioranza dei casi) ciò che si offre in rete
può essere acquistato anche in altro modo occorre
capire quale vantaggio reale e concreto può offrire
luso della rete. Fidarsi del fatto che linternet è
di moda e che comprare online sia per
ipotesi più comodo, pratico e rassicurante e
piacevole che andare in un negozio... vuol dire non chiedersi
quale servizio reale si stia offrendo e condannarsi,
probabilmente, allinsuccesso. Anche questa e una cosa ovvia
e banale, ma il fatto è che molte delle offerte online
non ne tengono conto.
Il discorso diventa un po più complesso (ma non
molto) quando si tratta di una situazione mista:
cioè di un servizio offerto online che in parte
è gratuito e in parte a pagamento.
Naturalmente di gratuito non cè mai nulla,
perché come minimo qualcuno deve spendere tempo,
impegno e denaro per accedere al servizio. Ma per chiarezza
distinguiamo ciò che si ottiene senza ulteriore
spesa solo accedendo a un sito o altro servizio online
e ciò che invece bisogna pagare.
A un estremo della gamma cè chi non offre nulla
gratis, se non laccesso alla sua offerta. Come un negozio
che non regala nulla se non la possibilità di guardare
la vetrina e gli scaffali. Legittimo, logico, prevedibile e
accettabile (ma se non ci fosse il vasto mondo dellinternet
gratuita non ci sarebbe alcun posto in cui aprire
un negozio).
A qual negozio conviene offrire qualcosa gratis per
aumentare il traffico. Forse... ma non troppo. Se
un supermercato aprisse nel suo retro un teatro, una sala da
concerti o una discoteca, con ingresso gratuito, avrebbe
traffico. Ma orde di passanti intralcerebbero le
persone entrate per comprare e la segnaletica
dellentertainment confonderebbe quella degli scaffali
di vendita. Chissà perché qualcuno pensa che un
modello del genere, impraticabile nel mondo che conosciamo,
possa funzionare in un immaginario mondo virtuale
della rete. Lesperienza dimostra che non funziona,
perché quel mondo virtuale non esiste.
Comera facilmente prevedibile e come sarebbe ovvio se si
sgombrasse il polverone di idee confuse che sta ancora
circondando linternet.
Naturalmente può essere vero il contrario. Un
teatro o un museo può aumentare le sue entrate
mettendo a disposizione del suo pubblico un bar, una bottega
che vende oggetti attinenti alla sua
attività, eccetera. La situazione è chiara e
trasparente. Il ruolo del teatro o del museo è chiaro
e preciso. La bottega è un in più e le cose in
vendita hanno un prezzo. Tutti capiscono e nessuno è
in imbarazzo. Che cosa succede nellinternet? Esattamente lo
stesso.
Un negoziante può, nello stesso modo, offrire
servizi gratuiti. Cera una libreria a Milano che destate
offriva il gelato ai suoi clienti. Ce nerano molte che
offrivano uno spazio di conversazione e di lettura,
tolleravano che qualcuno venisse a leggere i
libri come se fosse in una biblioteca, eccetera. se quei
servizi sono in estinzione non si deve allinternet ma ai
cambiamenti struttura nel mondo delleditoria.
Che cosa succede con le librerie online? Che possono,
più facilmente delle librerie fisiche,
offrire servizi ai loro clienti. Informazioni, recensioni,
scambi di opinioni eccetera.. Non tutti i visitatori comprano
ma tutti sono in qualche modo interessati ai libri. La
miscela di gratuito e a pagamento
(le informazioni sono gratis, ma se vuoi un libro devi pagarlo)
trova un equilibrio chiaro. Il problema è gestirlo
bene, ma cè una base precisa e chiaramente
comprensibile su che cosa cè da gestire.
In sintesi... ci possono essere infiniti esempi di
settori a pagamento ben definiti in servizi
intrinsecamente gratuiti e di servizi gratuiti
attinenti e coerenti in sistemi a pagamento. Se
tutto è chiaro per tutti il sistema può
funzionare.
È tutto qui? Quasi. Se i progetti
fossero chiari, semplici e pienamente trasparenti
(cioè del tutto comprensibili a chi viene a usare un
servizio) le cose funzionerebbero infinitamente meglio e ci
sarebbero, già oggi, moti più successi
tranquillamente consolidati online. Il problema è che
molte cose mal concepite e peggio spiegate creano un tale
ingombro e una tale confusione da rendere la vita difficile
anche a chi ha proposte chiare e coerenti.
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4. Il problema dei contenuti |
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La situazione è più complessa quando si
tratta di attività online che offrono
contenuti. Prima di entrare nel merito... mi
scuso per la ripetizione di cose che ho già scritto in
questa rubrica e altrove... ma è necessario ribadire
due concetti.
- Frizzi, lazzi, sghiribizzi e decorazioni non
sono contenuti. Benché linefficienza di
quei sistemi sia dimostrata, si continua a seguire la strada
degli orpelli e delle apparenze. Nel 99 per cento dei casi
è uno spreco di tempo e di denaro e produce ingombri
che nuocciono a uno sviluppo più solido della rete,
come fatto culturale e anche come risorsa economica.
- Il compito di unimpresa (come di qualsiasi altra
organizzazione) non è fornire contenuti se
non quelli attinenti alla sua attività. La stupida
leggenda che ogni sito online debba essere un
portale giova solo ai venditori di inutili
servizi generici di quella specie.
Se con queste premesse abbiamo tolto di mezzo tutti
fuorché chi per professione e missione
è un fornitore di contenuti cioè di notizie,
informazioni e approfondimenti) finalmente arriviamo con un
minimo di chiarezza a un problema reale e non risolto.
Cè unenorme quantità di contenuti gratuiti in
rete. Molti sono scadenti, ma ce ne sono di ottima
qualità e continueranno a esserci. È recente la
notizia che il MIT ha deciso di mettere online tutti i
contenuti che ha, compresi i corsi universitari. Ben sapendo
che in quel modo non avrà un solo studente pagante in
meno nelle sue aule, mentre avrà rafforzato il suo
ruolo come istituzione culturale. Questo è tuttaltro
che un caso isolato. Sono infiniti gli esempi di
organizzazioni e strutture che offrono e offriranno contenuti
di valore in rete senza pretendere alcun pagamento. Quindi
allo stato dellarte (e per il prevedibile futuro) la partita
è persa per chi pensa di poter vendere
contenuti (se non nel caso di servizi fortemente
specialistici che già oggi sono chiusi e a
pagamento).
Come se ne esce? Se avessi una formula magica per
risolvere questo problema sarei un mago. Credo che le
soluzioni debbano essere sperimentate e verificate in ciascun
caso specifico. Ma, in generale, si possono fare alcune
ipotesi.
Una è che molti servizi di
informazione online, nati senzaltro obiettivo
che far soldi in fretta offrendo contenuti
purchessia, ci facciano la cortesia di chiudere e
lasciare spazio a chi lavora più seriamente. La rete
ha bisogno di grande varietà, diversità e
molteplicità. Non si tratta quindi di auspicare una
catastrofe ecologica che lasci in piedi solo pochi grandi
operatori. Al contrario, dobbiamo desiderare che continui a
moltiplicarsi la diversità. Molte strutture
piccole e dedicate continueranno a offrire
qualità migliore di qualsiasi grande e indistinto
calderone. Ma le erbacce sono troppe, non ci sono mondine e
sarebbe pericolosissimo usare diserbanti, quindi dobbiamo
augurarci che lasfissia (per mancanza di denaro
facile) porti allestinzione di almeno qualcuna delle
infinite specie di gramigna di cui è infestata
lecologia della rete.
Una delle varianti di questa prima ipotesi è che
tutte quelle imprese e organizzazioni che finora si sono
sentite in obbligo di fornire contenuti pleonastici e
non attinenti alla loro attività e
identità finalmente smettano di farlo, per
concentrarsi su ciò che davvero sanno fare e sui
servizi che davvero sono in grado di offrire.
La seconda possibilità è che gli operatori
più seri si diano obiettivi più ragionevoli.
Cioè, in parole povere, meno soldi e più tardi
di quanto hanno incautamente immaginato. E badino a costruire
prodotti editoriali con una precisa e forte identità
(e una ben concepita e seriamente verificata qualità
di servizio). Se lo sapranno fare, e se nel frattempo si
sgombrerà il terreno da molta concorrenza
impropria, il successo (presto o tardi) arriverà
e offrirà anche qualche soddisfazione economica.
La terza è che si faccia informazione online senza
alcun obiettivo immediato di guadagno. Dal fatto, puro e
semplice, che un gruppo editoriale attivo nei settori
tradizionali consideri necessario non solo essere in
rete ma anche imparare bene come si fa, anche a costo
di dover calcolare incassi zero per qualche anno. Un
comportamento coraggioso e lungimirante ma non ingenuamente
generoso. Chi non lo fa, o non lo fa bene,
potrebbe trovarsi a mal partito per mancanza di competenza e
capacità quando lo scenario del mondo informativo si
evolverà in modi che sono ancora in parte
imprevedibili.
La terza è che si trovino forme
indirette di finanziamento. È possibile.
Sarebbe lungo entrare nelle specifiche possibilità,
che sono parecchie ma devono tutte essere verificate con
attenzione e pazienza. I molti tentativi fatti finora sono
quasi sempre strutturalmente sbagliati per due motivi. Uno
è la fretta (la ricerca di troppi soldi e troppo
presto). Laltra, e più grave, è
linquinamento. Si vendono i contenuti in modo così
sfacciato e deformante che la qualità
dellinformazione degrada vistosamente. Si scatenano
operazioni di traffico di dati che non solo sono
violazioni della privacy ma spesso sono un pessimo servizio
a chi li compra. O si deformano i servizi online, come nel caso
di quei motori di ricerca che a forza di vendere
le graduatorie e di affollare le loro pagine di
proposte commerciali sono diventati inservibili. Aprendo
così la strada a concorrenti più intelligenti...
ma di questo parleremo probabilmente in un prossimo numero.
La quarta è la più ovvia. La pubblicità.
In questo momento è una partita persa, come
vedremo poco più avanti. Ma solo perché
è stata impostata male e su premesse sbagliate. Ora
bisognerebbe bere fino in fondo lamaro calice
del fallimento, per trarne qualche lezione chiara. Ma se e
quando si ripartirà su basi più serie
sarà pienamente plausibile, e del tutto giustificato,
che la pubblicità sia una fonte di finanziamento per
le attività dedicate allofferta di contenuti online.
Purché si ritorni senza compromessi al principio
(purtroppo in parte violato anche nei mezzi tradizionali)
di rigorosa, chiara e trasparente separazione fra la pubblicità
e il contenuto editoriale.
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5. Crollo e speranze della pubblicità online |
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Nel numero precedente
di questa rubrica avevo sintetizzato i dati pubblicamente disponibili
sugli investimenti pubblicitari in Italia. Da allora la
situazione si è ulteriormente evoluta.
Benché non ci sia una diminuzione della
pubblicità nei mezzi classici, comera
previsto non si sta ripetendo la crescita dellanno 2000 e
molti dei grandi operatori si sono trovati, nei primi mesi di
questanno, al di sotto dei loro obiettivi. In Italia come
negli Stati Uniti il cedimento delle imprese
internet e la non ripetizione delle loro fallimentari
spese pubblicitarie si riflette un po su tutto il mercato.
Il risultato è che i listini sono in ribasso e la
negoziabilità dei prezzi è in aumento.
Per quanto riguarda la pubblicità online, la
situazione è nettamente peggiorata rispetto alle
valutazioni pubblicate allinizio di marzo. Gli investimenti
di questanno sono inferiori, anche in cifra
assoluta, a quelli (comunque deludenti) del 2000. La
situazione dei prezzi non si può più definire
negoziabile; si tratta di un crollo abissale e di
un aumento del fenomeno, già diffuso in passato, di
spazi regalati come piccola offerta-omaggio a chi
compra altri mezzi.
La situazione dei controlli e delle informazioni sul
traffico è tragicomica. Dati incerti e
contrastanti, contatori palesemente truccati... eccetera.
Come era ovvio, i pochi e confusi controlli riguardano solo
pochi grandi siti web, mentre luso più
interessante dellinternet riguarda scelte più
specialistiche e mirate. Insomma un quadro che,
ancora una volta.. è eufemistico chiamare confuso
La domanda rituale, in questi casi, è se sia il
principio della fine o la fine del principio. Sul medio-lungo
periodo è molto probabile che la risposta giusta sia
la seconda. Ma nellimmediato futuro non sembra che il
mercato abbia ancora toccato il fondo.
La risposta è ovvia quanto scomoda. La strada
seguita finora era sbagliata ed è impercorribile. Il
problema non si risolve con qualche mezzuccio (come
linvenzione di qualche nuovo formato di banner).
Occorre fare tabula rasa e ripartire da zero. Cosa ovviamente
possibile, non estremamente difficile, ma attuabile solo con
prospettive nuove, nitide e trasparenti, e quindi
controcorrente rispetto al mercato come è
stato finora. Ci vuole coraggio, pazienza e costanza. Vedremo
chi lo saprà fare.
Se intanto le imprese finalmente capiranno che fare
pubblicità online non è il punto di partenza,
ma una delle possibili conseguenze di un progetto organico e
strategico di attività in rete, cominceranno a crearsi
le premesse perché si sviluppi tutto in modo
più efficiente e costruttivo. Compresa la
pubblicità.
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