timone Il Mercante in Rete
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Marketing e comunicazione nell'internet


Numero 48 – 11 agosto 2000

 

 


loghino.gif (1071 byte) 1. Editoriale:
Le dimensioni sconfinate della rete


Ogni volta che qualcuno cerca di capire quanto è grande il sistema delle reti, si scoprono nuove dimensioni, sempre più estese. Secondo un’analisi di un’organizzazione del South Dakota, BrightPlanet, la massa dei contenuti disponibili è 500 volte più grande delle “mappe” esplorate dai più estesi repertori o “motori di ricerca”. Secondo questa fonte ci sono più di 550 miliardi di documenti online, mentre tutti i motori di ricerca messi insieme non ne identificano più di un miliardo. I sistemi di esplorazione più diffusi riescono a individuare solo la “superficie” dell’informazione disponibile; e molti hanno difficoltà a tenere il passo con l’enorme quantità di materiale che si aggiunge continuamente (un anno fa si parlava di un milione di pagine al giorno, oggi qualcuno dice che sono cinque milioni; se fosse vero il calcolo di BrighPlanet, sarebbero probabilmente 50 milioni). Sta diventando sempre più rilevante la necessità di trovare nuovi punti di partenza per la ricerca online per esplorare orizzonti più estesi e, al tempo stesso, evitare di “annegare” nel “sovraccarico di informazione”.

Naturalmente i motori di ricerca fanno quello che possono. In alcuni casi sono strumenti utili, se impariamo a usarli bene (il che è tutt’altro che semplice). Ma possono esplorare solo una piccola parte del complesso universo delle reti; e ciò nonostante spesso trovano “troppo” e solo con analisi complesse, e diversi tentativi, diventa possibile avvicinarsi a ciò che si sta cercando.

Ci sono vari trucchi. Per esempio se cerco notizie su un libro o un autore scopro spesso che ci arrivo più velocemente esplorando una libreria online che con qualsiasi “motore di ricerca”.

Soprattutto ci vorrà uno sviluppo, molto maggiore di quello che abbiamo, di repertori e sistemi di ricerca specialistici, che non solo esplorino aree relativamente ristrette ma abbiano anche dispositivi di ricerca specificamente costruiti per l’argomento (il grosso problema della “classificazione semantica” diventa meno difficile quando si applica a una disciplina specifica e a una cultura relativamente omogenea). Cosa facile in teoria, complessa e impegnativa in pratica. I motivi per cui queste risorse non sono ancora sufficientemente diffuse, e spesso non hanno una qualità elevata, sono due. Il primo è l’oggettiva difficoltà. Il secondo è l’imperversante tendenza a moltiplicare soluzioni generiche e “generaliste”, sempre meno utili e funzionali, ma attraenti per chi cerca (spesso si illude) di ottenere facili e veloci guadagni trattando la rete come se fosse un “mezzo di massa”.

Sarebbe importante far capire a tutti (compresi i molti studenti alla ricerca di soluzioni “facili” per la loro tesi di laurea) che la rete è uno strumento molto utile e uno straordinario repertorio di informazioni; ma per la ricerca e l’approfondimento non ci sono scorciatoie.

Sto scoprendo una cosa interessante. Credevo che fosse un mio difetto, o una mia caratteristica anomala, il fatto che l’esplorazione web è per me un’operazione noiosissima, che faccio solo quando non ho altra scelta e cercando in tutti i modi possibili di restringere i percorsi (spesso preparandomi prima, in base a informazioni raccolte un po’ dovunque, per trovare “punti di partenza” già orientati al tema che mi interessa; e spesso poi arrivando a ciò che cerco per percorsi indiretti, apparentemente privi di ogni logica). Sto constatando sempre più spesso che anche altri hanno un atteggiamento simile. Che va dalla delusione e confusione iniziale di chi ha poca esperienza della rete al fastidio che provano le persone esperte davanti al crescente affollamento di proposte inutili, di deviazioni a fondo cieco, di percorsi incoerenti.

Qual è il rimedio? Capire che qualche volta la rete può essere una “scorciatoia” (è comunque più comodo trovare un’informazione online che andare in biblioteca) ma è soprattutto uno strumento per approfondire. Che la ricerca è tanto più efficace quanto più usa tutti gli strumenti disponibili: l’informazione che ci serve può essere i un libro, un giornale, nel dialogo con una persona o in una delle tante “fonti” che possiamo usare. Se la rete è uno dei canali di ricerca (non il solo) il processo è più efficiente e la qualità dei risultati è notevolmente migliore.

La stessa considerazione, in senso inverso, vale per chi opera in rete. Quanto meno cerchiamo di raggiungere “tutti”, tanto più daremo un servizio efficace a chi cerca qualcosa di specifico. Non è detto che la rete debba essere l’unico strumento. Quasi sempre funziona meglio se si integra nell’intero sistema di comunicazione di un’organizzazione o di un’impresa.

Nell’un senso e nell’altro, è necessario liberarsi dell’illusione che con l’internet tutto diventi automaticamente immediato, semplice e diretto. Le relazioni umane sono complesse, nessun sistema di comunicazione è del tutto “autosufficiente”. Non c’è alcun universo omogeneo chiamato “internet” e se ci fosse non funzionerebbe, perché è già oggi troppo grande ed esteso e ogni giorno cresce, cambia e si moltiplica con qualcosa di nuovo... talvolta effimero, talvolta duraturo. Non c’è altra soluzione possibile se non quella che da sempre è la vera natura del sistema: una molteplicità di reti, ciascuna con una individualità precisa e una dimensione “a misura umana”; che si connettono fra loro e si incrociano non a caso, ma in modo significativo e attinente alla specifica identità di ciascuna. Possiamo chiamarle reti di interazione personale, o possiamo chiamarle comunità: ma se ben concepite e coltivate sono infinitamente più efficienti (e più interessati e gradevoli) di un’immaginaria “rete universale” che diluisce qualsiasi contenuto in un impercorribile nulla.

 

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loghino.gif (1071 byte) 2. Risorse tecnologiche in Italia e in Europa



L’Università Bocconi ha realizzato uno studio sugli “indici di digitalizzazione” in otto paesi europei, negli Stati Uniti e in Giappone, a cura di Andrea Orlandini, Nicoletta Corrocher e Chiara Sopreafico. La metodologia dell’indagine non è documentala e le definizioni non sono facilmente interpretabili; tuttavia mi sembra interessante osservare questi dati (pur con quel “beneficio di inventario” che è quasi inevitabile in ogni specie di ricerca).

Il primo indice riguarda una non meglio definita “digitalizzazione dei mercati”.


“Digitalizzazione dei mercati“


Il secondo riguarda la “diffusione della digitalizzazione”, cioè probabilmente la diffusione dell’uso di tecnologie elettroniche dell’informazione


Diffusione dell’information technology


La terza analisi riguarda le “infrastrutture per la digitalizzazione”.


“Infrastrutture”

Segue un indice sulle “risorse umane”.


“Risorse umane”


Viene poi analizzato, solo per sette paesi europei, un indice di “competitività dell’offerta digitale”, in cui la posizione dell’Italia appare meno arretrata. Se questo indice intende misurare l’intensità concorrenziale all’interno di ciascun mercato (in particolare, per l’Italia, le contese in corso nel settore della telefonia) questo indice può essere significativo (anche se nel nostro paese all’asprezza della competizione non corrisponde un’adeguata qualità dei servizi). Sarebbe invece poco comprensibile se si riferisse alla competitività di ciascun paese nei confronti dell’Europa e del resto del mondo.


“Competitività”


Il quadro è diverso per “il grado di concorrenza nell’offerta digitale” (non è chiaro quale sia la differenza fra “concorrenza” e “competitività”).


“Concorrenza”


Da una sintesi delle diverse analisi la Bocconi ricava un “indicatore sintetico di digitalizzazione”, che conferma la debolezza dell’Italia.


“Indicatore di digitalizzazione”

Se (indipendentemente dall’approfondimento dei diversi parametri) accettiamo che l’integrazione dei fattori determinata da questo modello sia significativa, ne emerge una sintesi che conferma fenomeni sostanzialmente noti: il predominio degli Stati Uniti, il forte sviluppo dell’informatica nei paesi dell’Europa settentrionale, la posizione avanzata della Gran Bretagna rispetto agli altri “grandi paesi” dell’Unione Europea. E una debolezza strutturale dell’Italia. Ma è un po’ sorprendente che questa analisi non dia risultati migliori per la Francia.

Lo stesso indicatore, analizzato per grandi aree geografiche in Italia, dà il quadro che segue.


Per aree geografiche in Italia

La scala questo grafico non è paragonabile al precedente
perché nell’analisi europea l’indice di “digitalizzazione”
per l’Italia è 1,0 mentre in questa è 2,5


Le differenze fra le tre aree relativamente più forti possono non essere statisticamente significative; ma secondo questa analisi appare ancora molto arretrata la situazione dell’Italia meridionale e insulare (che invece sta accorciando le distanze secondo altri indicatori, come per esempio la diffusione dell’internet). Comunque il problema investe tutto il paese: anche se nel confronto internazionale ci si riferisse solo al centro-nord, la posizione dell’Italia rispetto agli altri paesi non cambierebbe in modo rilevante.

Non è facile capire quale sia il valore, e il significato reale, di questo studio. Altre analisi danno indicazioni un po’ meno drammatiche. Ma è significativo che anche da una delle nostre più importanti business school arrivino segnali così preoccupanti sull’arretratezza italiana nell’uso delle tecnologie dell’informazione – in particolare al sud.



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loghino.gif (1071 
byte) 3. Gli “utenti” internet in Italia


Nel prossimo numero di questa rubrica pubblicheremo alcuni dati basati su analisi svolte da altri istituti. Intanto vediamo come si sviluppa la diffusione dell’internet nel nostro paese secondo una ricerca dell’Osservatorio Internet Italia della Bocconi, curata da Emanuela Prandelli, Chiara Spreafico e Annalisa Pol.

Secondo questa analisi, ci sarebbero 8,5 milioni di “utenti” internet in Italia, con un aumento del 40 % rispetto a settembre-ottobre 1999. Sarebbero 5,8 milioni le persone che si collegano da casa (con un aumento del 56 %) 3,7 milioni (+ 26 %) quelle che usano la rete in ufficio (ovviamente i due dati, in parte, si sovrappongono). 800.000 le persone collegate da scuola o università, con una crescita del 40 %. Il cambiamento più rilevante sembra essere la crescita delle “utenze domestiche”, mentre in passato in Italia era prevalente l’uso dell’internet dal luogo di lavoro. Le donne sono il 31 % del totale, ma con un aumento del 49 % (rispetto a un 37 % dei maschi). La tendenza a un costante aumento della presenza femminile era già stata confermata da altre ricerche.

Anche questo studio conferma una situazione sempre più equilibrata nella distribuzione geografica.


“Utenti” internet per grandi aree geografiche

La penetrazione della rete nell’Italia meridionale e insulare non ha ancora raggiunto il livello della altre aree, ma sta continuamente migliorando.

Si notano ancora forti differenze, invece, per quanto riguarda le fasce di età.


“Utenti” internet per età

La parte rossa delle colonne indica l’incremento
rispetto a settembre-ottobre 1999


Come si era già notato in altre ricerche, c’è un crescente afflusso di giovani . Ma il 66 per cento degli “utenti” internet è fra i 25 e i 54 anni. Ancora molto debole la presenza degli anziani, ma c’è qualche segno di cambiamento; secondo questo studio la (ancora molto piccola) presenza delle persone oltre i 64 anni sarebbe cresciuta del 92 % in sei mesi.

Nel prossimo grafico vediamo la situazione per tipo di attività

“Utenti” internet per tipo di attività
(percentuali su totale “utenti”)

Anche in questo grafico la parte rossa delle colonne
indica l’incremento rispetto a settembre-ottobre 1999


Anche qui vediamo la conferma di una tendenza verso un maggiore equilibrio, con una più forte presenza di livelli professionali “medi” (e di studenti, dato che ovviamente coincide con la crescente presenza di giovani). Ma tre categorie (impiegati – insegnanti, studenti e dirigenti – imprenditori – liberi professionisti) sono ancora oggi il 70 per cento degli “utenti” internet. Le categorie (per ora) “meno evolute” nell’uso della rete sono quelle con un tasso di crescita più alto: operai + 80 %, pensionati + 70 %, “casalinghe” + 160 %. Tuttavia la penetrazione rispetto al totale della popolazione (che vediamo nel prossimo grafico) indica che ci sono ancora differenze molto forti.

“Utenti” internet per tipo di attività
(percentuali rispetto alla popolazione)

Come nei due grafici precedenti la parte rossa delle colonne
indica l’incremento rispetto a settembre-ottobre 1999


La categoria che aveva tradizionalmente la massima penetrazione nell’uso dell’internet (dirigenti, imprenditori, professionisti) ora è superata dagli studenti; fra gli insegnanti e gli impiegati la densità è molto più alta che in passato. Ancora molto bassa, invece, fra i pensionati e le “casalinghe”, che tuttavia hanno percentuali elevate di aumento.

Come si è constatato molte volte, tutte le ricerche tendono a “sovrastimare” il numero di persone collegate alla rete; quindi le percentuali di “penetrazione” si qui indicate sono poco attendibili. Ma è probabilmente significativa la “graduatoria” di confronto fra le varie categorie.


Per quanto riguarda gli acquisti online, i dati di questa ricerca appaino notevolmente esagerati rispetto a ciò che risulta da altre analisi. Tuttavia è interessante la differenza di comportamento secondo la “anzianità” di presenza in rete.


Persone che acquistano online

La differenza fra “prima del 1995” e “nel 1995” non è statisticamente significativa. Si conferma quanto già rilevato da altre ricerche: gli acquisti online vengono fatti prevalentemente da persone che hanno più lunga esperienza della rete. Il numero degli utenti “esperti” è relativamente piccolo (il 15 per cento delle persone collegate oggi era online prima del 1997) ma si tratta dei clienti più interessanti; non solo per il loro reddito e livello culturale ma anche perché sono acquirenti più esperti, attenti ed esigenti – e hanno spesso un ruolo di guida (opinion leader) rispetto alle persone meno esperte.

Quanto al tipo di prodotti e servizi acquistati online, il quadro che risulta da questa ricerca non segnala novità rispetto al passato. Le categorie più rilevanti sono sempre le stesse.


Prodotti e servizi acquistati online
(percentuali su totale persone che acquistano)


Libri, musica, software e hardware sono il 70 per cento degli acquisti dichiarati (anche se, naturalmente, il totale supera 100 perché “la domanda prevedeva risposte multiple”).

Ancora una volta manca qualsiasi indicazione su quanti acquisti siano fatti scegliendo fornitori in Italia e quanti all’estero. Anche in assenza di una verifica statistica, è abbastanza ovvio che (specialmente in categorie come libri, musica e software) una parte rilevante degli acquisti riguarda fornitori americani – o comunque non italiani. Nel caso di computer e accessori è probabile che buona parte degli acquisti avvenga in Italia, ma si tratta quasi sempre di prodotti di importazione. Come sempre, il settore “viaggi e turismo” merita particolare attenzione; ma sarebbe interessante sapere quanti stranieri usano la rete per organizzare viaggi in Italia, e se questa tendenza dà segni rilevanti di crescita.



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loghino.gif (1071 
byte) 4. Il generale Biperio e il flop del wap


Il 5 agosto 2000, in un articolo di fondo sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco si chiedeva se con le riforme delle scuole e delle università avremo un’ulteriore crescita di un fenomeno preoccupante: gli studenti universitari (e anche molti laureati) che non sanno l’italiano. «Quelli che credono che a fianco di Garibaldi combattesse il generale Biperio (il semianalfabeta scrive “x” ma legge “per”), quelli che pensano che l’Ariosto sia una cosa da mangiare...». Se i grandi giornali si fossero accorti del fallimento dell’ennesima “tecnologia miracolosa” (di cui riparlerò un po’ più avanti) avremmo potuto vedere in un’altra pagina del giornale un titolo come “Il flop del wap”; con scarso interesse della maggior parte dei lettori, che non hanno la minima idea di che cosa voglia dire ma (giustamente) se ne infischiano.

Non sono un cultore della “purezza della lingua”. Il linguaggio è una cosa viva e si arricchisce anche con neologismi, contaminazioni, importazione di vocaboli stranieri. Non è scandaloso né preoccupante che ormai ci siamo abituati a dire computer anziché “calcolatore” (mentre i francesi e gli spagnoli lo chiamano “ordinatore”) e non mi sembra terribile che si dica e-mail invece di “posta elettronica” o e-business per riassumere una definizione che sarebbe un po’ lunga in italiano. Ma mentre nel primo caso è (relativamente) chiaro di che cosa stiamo parlando, nel secondo il senso delle parole comincia a diventare confuso. Non per il tipo di linguaggio, ma per il fatto che il concetto non è ben definito.

Ci sono neologismi utili o divertenti, che usati con lo spirito giusto possono arricchire la nostra capacità di esprimerci. Ma ci sono manierismi e scopiazzature che si accumulano fino a rendere il linguaggio incomprensibile o distorcere il pensiero. Se qualcuno scrive “ti voglio + bene” o “partiamo x Genova” non dà buoni esempi di stile, ma almeno si capisce che cosa vuol dire. Ma l’imperversare di sigle e altre forme gergali (per non parlare di pessime e devianti traduzioni dall’inglese) è la fabbrica dell’incomprensibile e la maschera che dietro formule poco chiare nasconde un pensiero confuso. All’imperversare di B2B, B2C, C2C e C2B si stanno aggiungendo varie altre sigle dello stesso genere.

Di questo passo si arriva facilmente al “pensiero nullo”, a una ripetizione infinita di concetti di cui non è chiaro il significato. Può essere solo comico che in qualche tesi di storia oltre a Nino Biperio si citino Carlo Marper e Maper Weber o che ci sia uno scrittore di 9lle, un cuoco che fa il ris8, una località di montagna chiamata Orti6 – e (visto che si copiano analogie fonetiche dell’inglese) qualcuno sia un po’ s2pido o burl1 o qualche 2rista vada in 2nisia. Non è una 3menda minaccia per la qualità della lingua e la chiarezza di pensiero, perché di solito i giochini come questi tendono a esaurirsi. Ma l’imprecisa schematicità delle formule gergali è un pericolo serio; perché da che mondo è mondo si usano i gerghi oscuri per épater les bourgeois e per nascondere la propria ignoranza o confusione mentale. Se non ci fermiamo a cercar di capire di che cosa stiamo parlando saremo sempre più travolti da uno pseudo-linguaggio dove ciascuno interpreta le parole a modo suo e ogni dialogo è privo di senso.



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loghino.gif (1071 byte) 5. Morto un wap, se ne fa un altro


Non mi sembra una notizia importante il fiasco del wap (wireless application protocol – un sistema per accedere all’internet con un particolare tipo di apparecchio cellulare). Sembra che questa ennesima “tecnologia miracolosa” funzioni male; e soprattutto che poche persone si siano lasciate convincere a provarla. La verità è che non ce n’era alcun bisogno. Fin dalle origini della telefonia cellulare era possibile collegarsi alla rete, con qualche problema dovuto all’ingombro delle apparecchiature e alla necessità di “modulare e demodulare” per trasformare il segnale digitale in suono e viceversa. Da quando si sono diffusi i telefoni digitali è diventato più semplice ed efficiente, grazie anche alla riduzione degli ingombri (bastano piccole schede “pcmcia” inserite un un computer portatile). Ma è evidente che si tratta di soluzioni “di emergenza” che è conveniente usare solo quando non si può disporre di una linea fissa in connessione locale (e tariffa “urbana”).

Perfino una persona tecnicamente inesperta come me ha una certa esperienza pratica di queste cose, perché già sei anni fa mi collegavo alla rete da una barca a vela (mentre la Telecom oggi vuol farci credere che sia possibile solo con il wap).

Un giorno ci sarà un’estesa sovrapposizione fra la telefonia mobile e l’internet? Sembra probabile, ma è solo un dettaglio di un’evoluzione che dovrebbe portare alla scomparsa del confine fra “mobile” e “fisso”. Il che significa ovviamente arrivare a quell’evoluzione, di cui già si parla, per cui il numero telefonico che identifica una persona rimane lo stesso indipendentemente dal tipo di connessione; e soprattutto a una rivoluzione tariffaria che in sostanza dovrà essere una drastica riduzione dei prezzi. Per non parlare di una vera compatibilità dei sistemi, da cui siamo ancora lontanissimi, e allo sviluppo di soluzioni tecniche davvero pratiche, come quelle che ipotizzavo tre anni fa, che erano allora e sono oggi tecnicamente possibili, ma cui purtroppo non ci stiamo avvicinando.

Ma è evidente che morto un wap se ne farà un altro. Non perché queste soluzioni falsamente “avanzate” siano utili. Ma perché piacciono ai perenni promotori della “innovazione” fine a se stessa; e soprattutto perché convengono alle compagnie telefoniche e ai grandi fornitori di connessione, che nel confusopolio imperante continuano a proporre soluzioni che siano le meno economiche possibili per chi usa i vari servizi e le più lucrose per chi li vende.

A proposito... che fine hanno fatto i vari movimenti (sempre falliti) che chiedevano a gran voce l’abolizione della “tariffa urbana a tempo” per favorire la diffusione dell’internet e ora tacciono davanti alla spinta continua all’uso di connessioni “mobili” (quindi a tariffe molto più alte) anche quando non servono?

 

 

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Lista dei link

Com’è abituale in questa rubrica, ecco una lista dei link
per comodità di chi stampa il testo prima di leggerlo.


The “deep” web: 500 times larger http://www.brightplanet.com/newsroom/deepweb.asp

La crisi dei motori di ricerca http://gandalf.it/merca35.htm#heading02

Laboratorio Università Bocconi http://www.i-lab.uni-bocconi.it/

B2B B2C C2C C2B http://gandalf.it/offline/off26.htm

Problems with wap http://www.nua.ie/newthinking/archives/newthinking382/index.html

Wap backlash http://www.useit.com/alertbox/20000709.html

Finalmente! tutto funziona http://gandalf.it/garbugli/garb18.htm

Confusopolio (Scott Adams) http://gandalf.it/merca43.htm#heading02