Etica, bambini e comunicazione
Giancarlo Livraghi marzo 2007
Questa è la trascrizione
del testo di un intervento registrato in video
per un convegno
dellAssociazione Professionisti Pubblicitari
che si è
tenuto a Palermo il 16 marzo 2007.
Disponibile anche in
pdf
(migliore come testo stampabile)
Largomento su cui mi è stato chiesto di intervenire è abbastanza complicato. Per parlarne in modo esauriente ci vorrebbero ore, o giorni, o mesi quindi devo cercare di riassumere quelle che a me sembrano alcune cose fondamentali.
Qual è largomento? In realtà sono due: uno è letica e laltro è come comunicare con i bambini. Sono due cose palesemente connesse, ma non sono la stessa cosa.
* * *
Cominciamo dai bambini. È evidente, lo sappiamo tutti, che cè una responsabilità. Ma... cè un grosso ma. Largomento viene affrontato molto spesso con una straordinaria ipocrisia. Cè molta falsificazione e cè molta lontananza dalla realtà.
Vorrei premettere che ho parecchia esperienza. Nella mia vita ho lavorato molte volte su comunicazioni che riguardavano i bambini e vi posso dire con grande chiarezza che non ho mai fatto o partecipato a qualcosa che potesse far male ai bambini o, almeno, non è mai accaduto che a noi risultasse la possibilità di problemi di quel genere. È chiaro che chiunque può sbagliare, ma vi assicuro che le verifiche erano piuttosto attente. E ho avuto la fortuna di lavorare per aziende che non volevano e non chiedevano cose nocive o pericolose anzi erano molto attente a evitarle.
La sostanza dei fatti è che si può comunicare, si possono fare anche operazioni commerciali, senza minimamente mancare di rispetto ai bambini, alle famiglie, e alle loro esigenze.
Ciò detto... il discorso della difesa e protezione dei bambini è fatto quasi sempre in modo sbagliato. Non è detto che sia per malvagità. Può essere per intenzionale ipocrisia o può essere per benintenzionato errore. Ma, nella maggior parte dei casi, le cose che si dicono e che si fanno non ottengono alcun risultato positivo e spesso hanno leffetto contrario.
Per una serie di motivi.
Il primo problema è: che cosa vuol dire i bambini? È un concetto vago. Lumano medio (adulto, giovane, vecchio, bambino) non esiste. La cosa certamente inesistente è il medio. Prendiamo qualsiasi criterio, stabiliamo qual è la media... e quello è il posto dove non cè nessuno. Tutti sono un po di qui o un po di là. Perciò quando ragioniamo sulla media ragioniamo sul nulla.
I bambini sono molto diversi come gli adulti. Sono diverse le famiglie, sono diverse le situazioni culturali, sono diversi i tempi di crescita e di sviluppo eccetera. Quindi più generalizziamo e meno capiamo quello che stiamo facendo.
Cè un altro fatto: se si lavora con i bambini si scopre che cambiano moltissimo. Lo stesso bambino a tre anni ha certi atteggiamenti, certi interessi, eccetera. A cinque è un altro, a otto è diverso, e così via. Ci sono abitudini, comportamenti, esigenze diverse secondo le varie fasi di età. E levoluzione di quelle fasi è diversa per ciascun bambino.
Quindi è in questa diversità che bisogna lavorare ed è cercando di capire molto bene con chi si ha a che fare. Li stiamo ascoltando, questi bambini? Capiamo davvero chi sono? Di solito, capiamo poco. Dovremmo, tutti quanti, imparare a essere più bravi di quello che siamo. A cominciare dai genitori (sono stato genitore e sono nonno lo so anche per esperienza personale).
I bambini non sono stupidi. I bambini non hanno bisogno tanto di essere protetti, quanto di essere capiti e lì ci vuole pazienza, attenzione, disciplina, ma non solo.
Le cosiddette protezioni sono spesso false. Proteggono chi fa le cose, non il destinatario di un messaggio. In realtà non è possibile proteggere totalmente un bambino (o un adolescente ma di questo parlo dopo) da ciò che non gli fa bene perché non possiamo metterlo sotto una campana di vetro.
Supponiamo di isolare un bambino da tutti i sistemi di comunicazione: nessuno potrà impedire che assista in famiglia, o per strada, o a scuola, o dove gli capita di essere, a cose che non sono educative. Quindi: o si insegna a un bambino come difendersi, come distinguere o se no, non solo non gli facciamo del bene, ma gli facciamo un danno.
Se noi prendessimo un bambino appena nato e lo chiudessimo in un ambiente completamente isolato da qualsiasi contagio, e poi lo tirassimo fuori dopo un anno, quel bambino morirebbe, perché ha perso il patrimonio immunitario di sua madre e non ne ha fatto uno suo.
Il fatto è che il bambino deve contagiarsi, deve prendersi i microbi e sviluppare gli anticorpi. Da un punto di vista culturale è esattamente la stessa cosa. Il bambino non va rinchiuso in un posto buio, non va isolato nellignoranza. Va aiutato a capire come difendersi, a imparare, a essere attivo.
Cè qualcosa di perverso, e di molto pericoloso, nel diffondere lidea che ci siano fasce protette o altre difese standardizzate capaci di prendersi cura dei bambini. E così dare a genitori, famiglie, educatori eccetera la falsa e pericolosa illusione di poter abbandonare i loro bambini alle ipotetiche cure di immaginarie tate automatiche.
È un problema di educazione, è un problema di formazione, è un problema di aiutare a capire. E dobbiamo stare attenti a quante cose sono diseducative. Forse oggi succede meno spesso, ma accade che a un bambino qualcuno dica «se fai il cattivo chiamo il babau». Non glielo dicono i grandi mezzi di informazione, lo dice magari la madre, o il padre, o la zia, o la tata, o qualcuno in svariate possibili circostanze.
Quando ero bambino cerano cartoni animati che mi davano un fastidio pazzesco. Erano pensati davvero per i bambini? Le favole che si raccontano ai bambini sono, in parecchi casi, estremamente crudeli. Insomma, ragazzi, attenzione: non si tratta di proteggere o isolare, si tratta di capire.
Se poi dal bambino piccolo che evidentemente deve avere il sostegno della famiglia, degli educatori, o di chi altro se ne occupa arriviamo alladolescente, che a un certo punto piglia su e va per i fatti suoi... stiamo attenti. Qui si apre un nuovo gioco: più è proibito, più si fa.
Quando avevo tredici anni andavo al cinema a vedere i film vietati ai minori di quattordici. Mica minteressava quel film, ma ero curioso di capire perché era proibito. Oggi è lo stesso o peggio.
Mi fermo qui, perché se no il discorso diventerebbe molto lungo. Ma la buona sostanza è che se non sappiamo ascoltare non siamo in grado di arrogarci il diritto di difendere chi non abbiamo capito.
Vorrei anche dire che è perfettamente possibile svolgere attività commerciali in modo rispettoso e senza danneggiare né adulti né bambini, né persone di ogni genere e di ogni età. E questo ci porta al discorso delletica.
In queste cose sono un po militante. Sono stato accusato tante volte di esagerare. «Tu sei un calvinista». Non ho capito che centri Calvino ma comunque sì, ho un impegno morale forte. E preferisco esagerare che cadere in ambigui compromessi. Posso dire, onestamente, che se ho mai fatto del male a qualcuno lho fatto perché ero stupido, o per sbaglio, ma mai intenzionalmente.
Anche qui il discorso sarebbe estremamente lungo, ma la sostanza è semplice: dobbiamo liberarci dal falso concetto che etica e profitto siano due fatti inconciliabili, per cui chi vuol essere etico non può fare niente per cui guadagna qualcosa. Che cosa fa, muore di fame? Letica è proprietà riservata di chi vive di rendita?
Non è vero che per fare profitto si debba per forza imbrogliare la gente o comportarsi in modo non etico. Questa è una scusa ipocrita inventata da chi ha la coscienza sporca. Ci sono infinite dimostrazioni del fatto che ci si può comportare in modo corretto e guadagnare un pozzo di soldi. Anche perché stiamo dimenticando lenorme valore umano e commerciale della fiducia. Un rapporto di fiducia non è solo qualcosa che ci mette di buon umore, che ci fa vivere meglio. È anche un capitale di immenso valore. Una risorsa che ci permette di guadagnare soldi o di dare i nostri soldi a chi, secondo noi, se li merita.
Potrei continuare per alcune ore, ma spero che il concetto di base sia chiaro. Sul comportamento etico ci sono ricerche antropologiche molto interessanti e molto recenti. Il valore della solidarietà è insito nella sopravvivenza della specie umana, non è una roba che qualcuno si è inventato dallalto di qualche cattedra. Per fortuna è nella nostra natura. Dobbiamo coltivarlo di più, in tutto quello che facciamo, perché così si vive meglio, perché così si dorme meglio, perché se no si degenera fino a diventare carogne totali. Ma anche perché così si guadagna con più continuità, con più tranquillità, con meno fretta e angoscia. Perciò proviamo a rispettare gli altri, in particolare i cosiddetti consumatori e qui apro una parentesi.
Sopporto male la parola consumatore. Il Signor Consumatore è un animale immaginario. È una specie di indice numerico che si trova nelle statistiche, è un personaggio che non è mai esistito. I consumatori siamo noi, i consumatori sono le persone, con tutta la loro umanità.
Pensiamo alle persone, non a un qualche tubo in cui si deve infilare qualcosa da consumare. Trattiamole con più rispetto, impariamo ad ascoltarle. Faremo un mestiere migliore, con migliori risultati e svilupperemo quei rapporti di fiducia che sono un punto fondamentale per la sopravvivenza di una persona, di una marca, di unimpresa o di un sistema di comunicazione.
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