Dati


Gli investimenti in pubblicità
in Italia e nel mondo

A cura di Giancarlo Livraghi
Analisi aggiornate al 14 ottobre 2008

Questo è un aggiornamento e ampliamento dei dati e delle osservazioni
che si trovano nel capitolo 15 del Nuovo libro della pubblicità.




Nella pubblicità, come in ogni forma di comunicazione, la qualità è più importante della quantità. Grandi investimenti possono essere sprecati, o molto meno efficienti di quanto la loro dimensione farebbe presumere, se non sono gestiti con il giusto equilibrio di esperienza, rigore strategico, calore umano e fantasia. Investimenti relativamente piccoli possono produrre risultati interessanti se impostati nel modo giusto e con coraggiosa innovazione.

Tutto il libro, come tutte le cose pubblicate in questo sito a proposito di marketing e comunicazione, è dedicato alla qualità. Ma anche da un’analisi quantitativa possiamo imparare alcune cose interessanti.

Nonostante l’affollamento di cui tutti si lamentano, l’Italia non è fra i paesi più sviluppati dal punto di vista della pubblicità e della comunicazione commerciale, come dimostrano le cifre che vedremo nella seconda parte di questa analisi.



mondo

Investimenti pubblicitari nel mondo


Questa parte dell’analisi è basata sulle statistiche
pubblicate da World Advertising Trends nel settembre 2007
con dati aggiornati fino al 2006.
L’analisi riguardante l’Italia è aggiornata al 2007 e in parte al 2008.


Per cominciare, vediamo la dimensione degli investimenti per “grandi aree geografiche”. Questo è il quadro riassunto in un grafico “a torta”.


Grandi aree geografiche

aree

In questo grafico la dimensione dell’Asia è ridotta per correggere dati “sovrastimati” (Cina)

Qui per “Nord America” si intende Stati Uniti e Canada.
Nel “lungo termine” la percentuale del Nord America
rispetto al resto del mondo tende a scendere;
ma in alcuni periodi, per il forte sviluppo dell’economia americana,
è rimasta costante e talvolta è anche aumentata.
Ancora oggi gli Stati Uniti, con un ventesimo della popolazione,
assorbono un terzo del totale mondiale di investimenti pubblicitari .


La percentuale del Nord America è gradualmente diminuita, ma rimane prevalente. Non si tratta solo di un fatto quantitativo (dimensione degli investimenti). Cinquant’anni fa le impostazioni strategiche e di metodo, e anche le forme espressive, della pubblicità erano prevalentemente ispirate al modello americano. In seguito ci sono stati interessanti sviluppi di qualità non solo in Europa, ma anche in altre parti del mondo – per esempio nell’America latina e in alcuni paesi dell’Asia (escluso il Giappone, che ha metodi e stili particolari difficilmente comprensibili in altre culture).

Ma ancora oggi l’impronta americana si fa sentire in tutto il mondo. Per l’effetto di modelli culturali imitativi e per la tendenza alla “centralizzazione” da parte delle imprese multinazionali, di cui molte sono americane – e anche quelle europee sono spesso influenzate da tendenze che hanno origine negli Stati Uniti.

La tabella che segue mostra un confronto rispetto a undici e sei anni prima.


Investimenti pubblicitari per area geografica
prezzi costanti 2000

  1995 2000 2006 variazione %
2006 su 1995
Nord America 109.365 152.536 149.437 + 38,6
Europa 90.932 84.468 114.228 + 15,7
Asia - Oceania 68.363 72.188 80.500 + 17,8
America Latina 20.533 28.811 40.782 + 98,6
Africa 1.671 1.684 3.888 + 132,7
Medio Oriente 2.039 2.382 3.647 + 78,9
Totale mondo 281.454 341.598 392.500 + 39,5

Anche qui per correggere valutazioni “sovrastimate” (Cina)
è un po’ ridotto, nel 2006, il dato dell’Asia (e di conseguenza il totale mondiale)


Per molto tempo (fin dal diciannovesimo secolo) gli Stati Uniti hanno avuto più di metà del totale mondiale. Poi la percentuale è diminuita, ma negli ultimi dieci anni variava fra il 36 e il 38 %. Ora sembra di nuovo in diminuizione (33 % nel 2006). Vediamo l’evoluzione dal 1985 al 2006 negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone.


Crescita 1985-2006
(milioni di dollari – prezzi correnti)

  Stati Uniti Europa Giappone
1985 61.623 32.543 25.789
1986 66.194 36.588 27.433
1987 70.618 42.227 29.723
1988 76.135 47.839 33.518
1989 80.349 53.329 37.684
1990 82.762 57.308 41.101
1991 80.950 59.031 42.150
1992 83.005 60.579 40.276
1993 85.615 61.153 37.461
1994 85.228 67.231 37.941
1995 90.964 80.381 38.900
1996 99.095 81.396 35.868
1997 106.700 79.640 33.382
1998 115.878 85.267 29.587
1999 126.431 85.237 33.217
2000 144.986 84.468 37.537
2001 131.524 79.388 32.614
2002 133.797 82.686 29.335
2003 138.714 98.668 31.458
2004 150.410 117.270 35.988
2005 155.252 129.824 35.941
2006 175.033 133.764 34.240

Le differenze da 2003 al 2004 sono in parte dovute
a un diverso sistema di rilevazione dei dati.


Come si vede, la crescita non è omogenea, né continua. In tutte le aree ci sono state fasi statiche – o di diminuzione (più accentuate, in termini reali, di come appaiono in “valori correnti”). Dopo un cedimento nel 2001-2002, dovuto allo sgonfiamento della “bolla speculativa”, dal 2003 gli investimenti risultano in ripresa negli Stati Uniti e in Europa.

Vent’anni fa si pensava che il Giappone avesse il più forte sviluppo fra i paesi industriali – con una crescita, fra l’altro, della spesa pubblicitaria che si avvicinava al totale europeo. Poi l’andamento è cambiato. Dieci anni fa l’Europa si era avvicinata agli Stati Uniti. Poi la distanza era di nuovo aumentata, nel 2004-2006 sembra che stia diminuendo, ma per capire la tendenza occorre osservarla su periodi più lunghi. Da analisi un po’ più approfondite per aree e per singoli paesi si rileva un quadro complesso, con molte variazioni e discontinuità.

Vediamo in un grafico come si suddivide il totale nei primi 15 paesi del mondo per investimenti in pubblicità.


15 paesi
 
15 paesi


Come vedremo più avanti, è poco credibile che la Cina abbia già superato tutti gli altri paesi, collocandoli al secondo posto dopo gli Stati Uniti (perciò qui il dato è ridotto a una misura meno bizzarra, benché probabilmente anche così sia superiore alla realtà). Ma (anche se in dimensioni meno mirabolanti) c’è davvero una forte recente crescita, come in altri paesi dove in passato la pubblicità aveva uno scarso sviluppo.

Ci sono alcuni notevoli cambiamenti, come vediamo in questa tabella, che comprende i 20 paesi con un più alto investimento.


I “primi 20” paesi
milioni di dollari
(la variazione è calcolata a prezzi costanti 2000)

  2006 % su totale % 2006
su 1997
Stati Uniti 163.036 33,3 + 21,6
Giappone 34.240 7,0 + 0,8
Gran Bretagna 25.027 5,3 + 14,4
Germania 21.771 4,5 – 10,1
Francia * 20.000 4,1 + 11,6
Cina * 19.000 3,9 n.a.  
Brasile 18.302 3,7 + 117,3
Messico 16.493 3,4 + 229,4
Italia 11.140 2,3 + 36,1
Canada 10.308 2,1 + 33,7
Spagna 8.811 1,8 + 38,2
Australia 8.710 1,8 +25,6
Corea Sud 7.975 1,6 + 16,7
Russia 7.282 1,5 + 267,8
Olanda 4.723 1,0 + 2,2
Argentina 4.257 0,9 + 141,4
Polonia 3.868 0,8 + 175,9
India 3.583 0,7 + 80,4
Indonesia 3.278 0,7 n.d.  
Svizzera 2.996 0,6 + 2,2

* Il dato della Francia qui è un po’ aumentato
per tener conto di un diverso metodo di rilevazione.

* Come spiegato qui di seguito, il dato della Cina
è “arbitrariamente ma non irragionevolmente” ridotto.


L’attendibilità di queste stime è sempre discutibile, per la complessità dei calcoli e per la diversità dei criteri con cui vengono valutati gli investimenti in ciascun paese. Ma, nonostante queste limitazioni, si possono ricavare dai confronti indicazioni significative. In tutti i paesi con una “serie storica” verificabile l’andamento è discontinuo: ci sono fasi di aumento e di diminuzione.

L’Italia è al nono posto nel mondo – con il 2,3 per cento degli investimenti pubblicitari “globali”. Secondo dati più attendibili (come vedremo più avanti) nel 2007 c’era un aumento (in termini reali) del 23 % rispetto al 1997, ma una diminuzione (– 9 %) rispetto al “massimo storico” del 2000.

È poco credibile che, negli ultimi tre anni, la pubblicità in Cina abbia avuto una tale crescita da collocarsi al secondo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti. Cosa forse possibile nel medio-lungo periodo – ma irreale nella situazione di oggi. Dati e statistiche riguardanti la Cina sono spesso poco attendibili – questi numeri (come altri) appaiono molto “gonfiati” rispetto a una crescita che può essere reale, ma in proporzioni meno strabilianti. Anche il dato ridotto inserito in questa tabella è probabilmente esagerato. Una stima più credibile potrebbe collocarsi circa al livello della Russia.

È probabile, al contrario, che sia sottovalutata la dimensione degli investimenti pubblicitari in Francia, a causa di un diverso criterio di rilevazione dei dati, e perciò il numero nella tabella è un po’ aumentato.

L’India è comparsa recentemente fra “i primi venti” paesi del mondo – con una crescita della pubblicità meno veloce, almeno per ora, di ciò che ci si poteva aspettare. Ma è evidente che l’economia indiana, in tutte le sue manifestazioni, ha un alto potenziale di sviluppo.

Non solo la Russia e la Polonia, ma anche la altri paesi dell’Europa orientale hanno forti percentuali di crescita.

C’è un notevole sviluppo nell’America Latina, ma pochi paesi hanno una crescita paragonabile a quella del Messico, del Brasile e dell’Argentina – e in parecchi casi i dati sono imprecisi o poco attendibili.

Nel prossimo grafico vediamo una sintesi della tendenza, dal 1995 al 2007, limitata ai cinque “grandi paesi” dell’Europa occidentale (che sono anche, ovviamente, i primi cinque in Europa in “in cifra assoluta” per dimensione economica e per investimenti in pubblicità).


Cinque paesi europei
1995-2007
Milioni di dollari – prezzi correnti
 
I dati del 2007 sono “proiezioni” basate su una fonte diversa

5 paesi

Alcuni dati del 1996 sono modificati per rendere la tendenza meno incoerente
(I dati della Francia sono aumentati per il motivo indicato in nota alla tabella precedente)


Sembra che in tutti questi paesi fosse stata un po’ sopravvalutata la crescita nel 2003-2004. Ma ci vorranno probabilmente altri due o tre anni per avere una percezione più chiara della tendenza.

C’è una notevole differenza fra la ripresa della Gran Bretagna dopo la fase della “bolla speculativa” (con contiuità negli anni seguenti) e l’andamento più debole della Germania (che già prima aveva dato, per motivi diversi, segni di cedimento).

I dati riguardanti l’Italia nelle statistiche internazionali sono meno attendibili di quelli, che vedremo più avanti, derivanti dalle analisi su scala nazionale. Ma si conferma un livello più basso rispetto a paesi di analoghe dimensioni demografiche ed economiche, come la Gran Bretagna e la Francia. La Spagna ha avuto quasi sempre un andamento di crescita simile a quello dell’Italia , ma sembra più veloce negli ultimi due anni.

Ritorniamo ai confronti su scala mondiale. Una prospettiva diversa si rivela nell’analisi in rapporto alla popolazione in 30 paesi. L’Italia, che in “cifra assoluta” è al nono posto nel mondo, da questo punto di vista risulta al ventottesimo (considerando anche i paesi non compresi nel grafico).


Investimenti pubblicitari pro capite
In dollari – 2006

pro capite

In questa “classifica” l’Italia ha un po’ migliorato la sua posizione rispetto a cinque o dieci anni fa,
ma rimane arretrata rispetto a paesi di paragonabile sviluppo economico.


La posizione dell’Italia è ancora più arretrata se esaminiamo gli investimenti pubblicitari in relazione alla dimensione degli scambi economici (prodotto interno lordo). Infatti non compare in questo grafico.


Investimenti pubblicitari come % del PIL
2006

pro capite

L’attendibilità e la confrontabilità dei dati sono discutibili
– in particolare per alcuni paesi con indici molto elevati.
Ma è vero che si sono forti differenze nell’incidenza
della spesa pubblicitaria rispetto alla situazione economica generale
– e che in alcuni paesi è più alta di quella degli Stati Uniti.


L’Italia non è fra i “primi trenta”, e neppure fra i “primi sessanta” paesi del mondo in base a questo criterio (è al sessantunesimo posto). Non sono “brillanti”, secondo questa analisi, neppure le situazioni di Germania, Francia e Spagna, che si collocano vicino al 50° posto – ma tuttavia in posizioni meno arretrate di quella dell’Italia.

Altre verifiche, benché i dati siano diversi, confermano che l’Italia è lontana dall’essere fra i paesi in cui una parte rilevante delle risorse economiche viene investita in comunicazione d’impresa.

Sarebbe complesso cercare di approfondire i motivi di questa situazione, che dura da molti anni. Ma il fatto è che, nonostante l’appariscente onnipresenza della pubblicità in Italia, questo è un sintomo della scarsa competitività della nostra economia – e dell’inadeguata selettività dei mezzi.

Vediamo un ultimo confronto internazionale prima di arrivare ad alcuni approfondimenti specifici della situazione italiana. Questa è la suddivisione degli investimenti pubblicitari fra i principali mezzi in 22 paesi (dati del 2005).


Suddivisione degli investimenti per mezzi
2005

pro capite

Per alcuni paesi risultano, da altre fonti, informazioni un po’ diverse.
Ma è un fatto che l’Italia è fra i paesi con un più forte predominio televisivo.


Un caso particolare è quello degli Stati Uniti, dove la stampa ha sempre avuto un ruolo prevalente, ma nel 2004-2005 la differenza è diminuita rispetto alla televisione. Non è facile valutare il significato di questo cambiamento, ma occorre ricordare che si colloca in un quadro di offerta televisiva molto più vario e selettivo di quello finora disponibile nella maggior parte degli altri paesi – e in particolare in Italia.
 

Questa analisi smentisce la tendenza, diffusa in Italia, a pensare che la pubblicità sia solo, o soprattutto, televisione. Altrettanto infondata è l’ipotesi che la crescita degli investimenti pubblicitari coincida con il predominio della televisione “generalista”.

Molti paesi in cui prevale l’uso della stampa hanno investimenti pubblicitari superiori ai nostri come incidenza pro capite e rispetto al reddito. Solo il Portogallo, il Brasile e la Polonia, fra i paesi qui considerati, hanno una prevalenza della televisione paragonabile a quella dell’Italia. E solo in due di questi paesi si rileva una maggiore (relativa) debolezza della stampa (il caso del Giappone è particolare per vari motivi, fra cui un forte sviluppo della pubbilcità “esterna”).

Questo è uno dei sintomi di arretratezza e inadeguato sviluppo della pubblicità (e in generale della comunicazione d’impresa) nel nostro paese – come vediamo nelle analisi che seguono.



Italia

La situazione in Italia


Per cominciare, vediamo l’andamento generale degli investimenti pubblicitari in Italia dal 1975 al 2008 (dati da fonti “storiche” UPA).


Investimenti pubblicitari in Italia
1975-2008

milioni di euro
1975-2008

 
I dati fino al 1985 sono “ponderati”
per adattarli alla “serie storica”, più attendibile, degli anni seguenti.
Il dato 1962, da una fonte diversa, non è precisamente analogo,
ma offre un “ragionevole” elemento di confronto.

In questo grafiico, come in alcuni che seguono, i dati per il 2008
sono, ovviamente, “proiezioni”, ma ragionevolmete attendibili
in base al metodo di rilevazione, basato sulle valutazioni
degli “addetti ai lavori” nel settembre 2008, quando
molte decisioni erano già note anche per il quarto trimestre.
Ma, poiché quelle percezioni sono state raccolte prima
della “crisi finanziaria” internazionale, i risultati di fine anno
potrebbero avere un cedimento superiore al previsto.


Benché la coerenza dei dati nel tempo non sia precisa, la tendenza è chiara. C’è stata una continua crescita per parecchi anni (anche nei decenni che precedono il periodo qui esaminato). Nel 1975, rispetto al 1962, il totale appariva triplicato in “valori correnti” – ma era cresciuto di circa il 50 % in termini reali. La crescita à stata più veloce negli anni seguenti. Nel 1989, rispetto al 1975, il totale era triplicato in termini reali.

La situazione è cambiata dal 1989 in poi. La diminuzione fra il 1993 e il 1995 è dovuta a diversi fattori, fra cui una fase di difficoltà per i prodotti di marca “di largo consumo” derivante dall’aumentato potere della distribuzione.

C’è stato un nuovo periodo di sviluppo a partire dal 1996, culminato nel 2000-2001 con la fase più acuta della “bolla speculativa” – e seguito da un inevitabile assestamento. Si era rilevata una nuova crescita nel 2004-2005, ma si è ridotta, in termini reali, a quasi zero negli anni seguenti, con una diminuzione nel 2008. Sembra probabile che continui una situazione di scarso sviluppo, se non di ulteriore cedimento, nei prossimi anni.

All’interno di questi totali, vediamo come si è evoluto in Italia, nello stesso periodo, l’uso dei principali mezzi pubblicitari.


Investimenti pubblicitari in Italia
1975-2008

Percentuali per mezzi

mezzi
 
La percentuale della pubblicità esterna è “ponderata” nei periodi precedenti
per adeguarla ai criteri più completi con cui è valutata negli ultimi anni.


Fin dagli anni ’50 la stampa era sempre stata il mezzo dominante in Italia (come abbiamo visto, lo è ancora in molti altri paesi, specialmente in Europa). Per esempio nel 1962 si stmava che la stampa avesse il 52 % del totale, la televisione il 14 %. A quell’epoca avevano percentuali più alte di oggi la pubblicità esterna (che ha ancora una quota rilevante) e il cinema (che è sceso a una proporzione molto più bassa). Negli anni seguenti era aumentata la stampa, più della televisione, mentre diminuivano in percentuale gli altri mezzi – compresa, in quel periodo, la radio, che in anni più recenti ha avuto una nuova fase di sviluppo.

Il predomionio della stampa era in parte dovuto a una limitata disponibilità di pubblicità televisiva. La situazione è ovviamente cambiata negli anni ’80 con lo sviluppo delle emittenti private (e una maggiore spinta commerciale della Rai). Ma solo inizialmente questa “apertura” ha contribuito a una crescita degli investimenti pubblicitari. Dal 1988 il predominio della televisione coincide con uno sviluppo discontinuo e squilibrato.

Negli ultimi dieci anni c’è un interessante sviluppo della radio – e anche una crescita (talvolta discontinua) degli investimenti nell’affissione. In alcuni periodi sembrava che la stampa stesse riprendendo quota, ma rimane ancora dominante la vecchia televisione “generalista”, nonostante la sua ripetitiva banalità, mancanza di innovazione e incapacità di evolversi e diventare più selettiva. (Vedi Cenni di storia dei sistemi di informazione e comunicazione).

Da parecchi anni molti osservatori (me compreso) pensano che il quadro possa cambiare, con una nuova crescita della stampa, che renda il mercato italiano più simile a quello degli altri paesi europei e degli Stati Uniti.

Dopo una fase in cui era cresciuta di più la stampa, la televisione ha aumentato il suo predominio nel 1990-1997. Sembrava che nel 1998-2001 ci fosse l’inizio di un’inversione di tendenza, ma dal 2002 la pubblicità televisiva è salita a un livello ancora più alto di quello che aveva in passato (una variazione in senso inverso nel 2006 è troppo piccola per essere significativa). Questo è uno dei tanti segnali di un mercato abitudinario, involuto e poco innovativo (non solo nella pubblicità ma anche nella struttura dei mezzi). Siamo ancora lontani da una vera e profonda evoluzione e maturazione della comunicazione d’impresa nel nostro paese.

Può essere interessante osservare, nello stesso periodo, l’andamento dei due principali mezzi (stampa e televisione) in “cifre assolute” (e in termini reali).


Investimenti pubblicitari in Italia 1975-2008
stampa e televisione

miliardi di euro – valori costanti 2005

stampa e televisione


È evidente che la pubblicità in Italia aveva una crescita continua quando era dominante la stampa (anche nei decenni precedenti il 1975) e ha avuto un reale sviluppo nel periodo in cui stampa e televisione crescevano insieme. Poi il predominio della televisione coincide con un lungo periodo (quindici anni) di instabilità e discontinuità – e di diminuzione rispetto al reddito nazionale.

L’Italia rimane comunque al di sotto dei livelli dei paesi più evoluti. Il successo economico nel nostro paese è ancora un po’ troppo spesso legato a fattori diversi dalla competizione di marca e di mercato. Il flusso dei capitali si orienta verso le “rendite di posizione” e le manovre finanziarie prendono spesso il sopravvento sul marketing. (Vedi Il (tentato) suicidio del marketing).

Nel prossimo grafico vediamo, in base alle analisi dell’UPA su dati NMR-ADEX, gli investimenti pubblicitari in Italia nel 2007 suddivisi per “settore merceologico”.


Investimenti pubblicitari in per settore
milioni di euro

2007
 
settori
* Alcuni settori comprendono categorie diverse ed eterogenee.
Per esempio in “industria - edilizia - attività” ci sono anche
agricoltura, allevamento, attrezzature per ufficio, elettronica, energia.
La definizione “moto-veicoli” comprende cicli, motocicli, nautica,
volo, veicoli commerciali e roulotte, officine, accessori e ricambi.
Nel caso di “media - editoria” la spesa reale è più bassa di quella indicata,
per le condizioni di favore abitualmente ottenute
e per l’uso frequente di mezzi di proprietà del gruppo editoriale
ma è corretta la valutazione di “volume”
per quantità di mezzi utilizzati.


Da quindici anni c’è stata una graduale evoluzione nei settori d’impresa che usano la pubblicità in Italia. I prodotti “di largo consumo”, che negli anni ’80 rappresentavano quasi metà degli investimenti totali, nel decennio seguente erano scesi a meno di un terzo. In anni recenti sono un po’ risaliti (39 %) specialmente nel settore alimentare (sommato con quello delle bevande è il 19 %) e nei prodotti cosmetici e per la cura della persona (9 %). Rimane fra i più importanti il settore automobilistico (12 % del totale). Sono cresciuti, da alcuni anni, i servizi, le comunicazioni (in particolare la telefonia) e le attività finanziarie. In questo senso il quadro italiano si sta gradualmente avvicinando a quello dei paesi più evoluti – ma alla crescita quantitativa della pubblicità e delle promozioni nei “nuovi settori”, non corrisponde un’adeguata maturazione di marketing, comunicazione e servizio. Ci saranno ancora cambiamenti, oscillazioni e squilibri, che riflettono una fase evolutiva complessa – e spesso confusa – nell’economia e nelle strategie d’impresa.

Può essere interessante vedere, per alcune di queste categorie, la suddivisione fra i principali mezzi.


Investimenti pubblicitari per settore e per mezzi
percentuali
2007


per mezzi


Le scelte, ovviamente, variano secondo il tipo di prodotto o servizio – e anche, all’interno di ciascuna categoria, secondo gli obiettivi e i metodi delle di singole imprese. Come vediamo, la situazione non è “omogenea”. C’è tuttavia un quadro “abitudinario” in cui è diffusa la tendenza a ripetere le stesse scelte per molti anni, anche quando potrebbe essere utile sprimentare percorsi diversi.

Vediamo la situazione anche da un altro punto di vista. Il prossimo grafico (basato sulla stessa fonte) riguarda le 30 imprese con il più grande investimento in pubblicità in Italia nel 2007.


30 imprese
milioni di euro
2007
 

top 30
I dati non si basano sulla spesa reale,
che può essere diversa secondo i prezzi pagati da ciascuna impresa,
ma su una valutazione omogenea di “sconto medio”.
Questo criterio è valido perché valuta correttamente
la quantità di pubblicità diffusa
(nei limiti dei mezzi verificati, che non sono tutti,
ma comprendono i più importanti
e quindi una parte preponderante della spesa).


È facile constatare come molte imprese, che in passato erano fra i più forti investitori in pubblicità, non compaiano più in questo elenco. Non vuol dire che abbiano smesso di fare pubblicità. Alcune sono ancora presenti, ma non fra le “prime 30”. Altre rientrano, per fusione o acquisizione, in grandi “gruppi”.

Vediamo che sono fortemente presenti grandi imprese del settori “tradizionali”, come il “largo consumo” e le automobili. È interessante il caso della Fiat, che era scesa dal secondo posto nel 2003 al nono nel 2004, ma dal 2005 è di nuovo in aumento (nel 2006 era “in testa alla classifica”, nel 2007 è stata di nuovo superata dalla Telecom).

Ma, come è facile constatare, è fortemente aumentata la pubblicità in alcuni settori “nuovi” – in particolare quello della telefonia. Dove la Telecom non è più monopolista, ma sostiene e promuove con molta energia la sua “posizione dominante”, mentre altri fanno tutto il possibile per allargare la loro quota in un mercato che, nonostante qualche modesta riduzione di alcune tariffe, offre agli operatori profitti molto elevati.

Un caso un po’ particolare è quello delle acque minerali. Non ho dati a disposizione che ne diano una misura specifica, perché sono parte del più ampio settore “bevande” e perché molte marche appartengono a grossi gruppi con un’estesa varietà di prodotti. Ma è un fatto noto che hanno profitti elevati, che sono sostenute da forti spese pubblicitarie e che sono una “anomalia italiana” (in altri paesi, per chi non si fida dell’acqua del rubinetto, si vende “acqua potabile” in contenitori da cinque o dieci litri, a prezzi molto più bassi di quelle da noi chiamate “minerali”).

Mi scuso per una breve divagazione su un terreno personale, ma credo che porti a qualche osservazione non irrilevante sulla situazione. Non molti anni fa, in un elenco come questo, avrei trovato più di venti imprese per cui ho lavorato. Ora sono dodici. Per vari motivi. Qualcuna non compare più fra le “prime 30”, in seguito all’entrata di nuove presenze che spendono di più. Il fatto prevalente è che molte marche importanti sono state assorbite da grossi gruppi (quindi sono comprese negli investimenti elencati, ma non più indicate separatamente con il loro nome). Sono pochi, ma purtroppo ci sono, i casi di marche con un grande patrimonio storico che non sono più adeguatamente sostenute.

Da qualunque punto di vista si osservi la situazione, il quadro è cambiato e sta cambiando, con una forte presenza di settori “nuovi” e anche una crescita di attività, da qualche anno, nel “largo consumo”. Ma è preoccupante che con tutte queste “novità” ci sia uno scarso sviluppo generale degli investimenti – e una insignificante evoluzione verso l’uso di mezzi più selettivi.

Secondo un’analisi dell’UPA, ci sono 17.000 imprese in Italia che investono in pubblicità, ma c’è una forte concentrazione. Le prime 65 (cioè lo 0,4 % delle imprese) coprono il 40 % della spesa totale (sedici di queste hanno un investimento annuo superiore ai 100 milioni di euro). Le prime 584 (cioè il 3 % delle imprese) spendono l’80 % del totale. Il restante 20 % è suddiviso fra più di sedicimila imprese, con un investimento medio di circa centomila euro all’anno.

Tuttavia, come vediamo dal grafico, mentre dal punto di vista dei mezzi (specialmente in televisione) gran parte del mercato è dominata da pochi operatori, nessuna singola impresa che investe in pubblicità ha più del 2 % della spesa totale. Se in ogni negoziato, di solito, la leva più forte sta dalla parte di chi compra, nel mercato di alcuni mezzi pubblicitari la concentrazione è tale da dare molto potere a chi vende.

Per concludere, vediamo un allargamento del quadro. Secondo le analisi svolte da Astra-Airesis per conto di UPA, questa è la situazione degli investimenti in Italia in pubblicità e in altre forme di comunicazione d’impresa nel 2008.


Investimenti in comunicazione d’impresa in Italia
milioni di euro
2008

area estesa
* La dimensione del settore “promozioni”
qui è ridotta perché una parte rilevante delle spese così definite
riguarda, in realtà, sconti alla distribuzione.
Non è modificato il dato “sponsorizzazioni”
benché si tratti di una categoria confusa in cui rientrano
anche attività poco connesse a una reale comunicazione d’impresa.
Per quanto riguarda l’internet, il primo dato di riferisce alla pubblicità,
il secondo ad attività di promozione online.
Ovviamente sono solo alcuni degli usi della rete da parte delle imprese.


In alcuni periodi (ma non nel 2004-2008) gli altri settori sono aumentati più (o diminuiti meno) della pubblicità, che comunque rimane dominante fra gli strumenti di comunicazione d’impresa.

I costi di produzione (8 % degli investimenti pubblicitari) sono, ovviamente, da attribuire per la maggior parte alla televisione. Potrebbero essere ridotti (o meglio utilizzati) se si evitassero spese inutili (se non nocive) come, per esempio il costoso utilizzo di personaggi più o meno “famosi”.

La televisione (comunque più prevalente in Italia che in situazioni meglio evolute) appare, in questa prospettiva, meno preponderante che nell’ambito specifico della pubblicità. Assorbe circa un terzo della spesa totale in comunicazione d’impresa.

Per una più solida ripresa degli investimenti pubblicitari (e, in generale, della comunicazione d’impresa) si impone la necessità di una seria verifica sull’efficienza delle strategie, dei metodi e dei contenuti – oltre a una ridefinizione del concetto di “creatività”.

Vedi La riscoperta della comunicazione.

Potrebbe essere utile, per questo scopo, un’applicazione più attenta e puntuale dei princìpi e dei criteri definiti nel Nuovo libro della pubblicità.


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