Il Censis in particolare ( assieme ad altre fonti di studio )a metà dicembre 2007 ha reso noto il risultato di una sua ricerca sullo stato della società italiana nel 2007, che ne esce dipinta con caratteri assai negativi, con gli italiani sempre più poveri mentre registra tra la popolazione aggressività, litigiosità, disorientamento di massa, stress diffuso, ricorso abitudinario alle raccomandazioni e tanto altro ancora di negativo.
Non era forse nelle scelte del Censis quella di indagare contestualmente sulle cause vicine e lontane di quanto ha riscontrato, ne sulle principali responsabilità dell’attuale approdo della società italiana e sulle tante negatività messe in luce, così come su cosa può essere cambiato nei decenni trascorsi per giungere a tanto, dato che non era tale la società italiana in precedenza e non sembra che nulla di simile vi sia attualmente in altre società europee anche dopo Maastricht. Spetta ad altri di riempire quel vuoto ed in particolare alle forze della sinistra italiana. Per chi, come le nostra Associazione di cultura critica, si propone di esaminare con un metodo basato sul materialismo storico tale problematica, deve cercare di superare innanzitutto l’insufficiente disponibilità di dati accertati. Ciononostante, pur in forte carenza di dati certi sulle reali condizione del paese ( dati che probabilmente sono noti a molti, specialmente presso centri di ricerca specializzati e presso gli uffici studi dei cosiddetti poteri forti ma che restano troppo spesso riservati ) non resta che utilizzare i dati forniti in larga misura dall’ISTAT per orientare una ricerca almeno sulla parte preponderante della popolazione raggruppata nel mondo del lavoro, inteso in senso ampio. Aggirando nel modo possibile l’insufficienza dei dati disponibili per tentare di definire lo stesso un profilo realistico della situazione attuale del mondo del lavoro.
Allo scopo si può fare riferimento ai dati ISTAT già in parte presenti sul sito della nostra Associazione in relazione al referendum sindacale sul protocollo di intesa col governo sul welfare, che consentono di fornire, almeno, dei primi elementi solidi sulla situazione del mondo del lavoro, comprendente sia quanti sono in attività lavorative sia quanti ne sono usciti per limiti d’età o per sopraggiunta invalidità come anche per perdita del rapporto lavorativo precedente. Da quelli si ricava che su circa 59.500.000 persone residenti nel nostro Paese, compresi gli stranieri, secondo i dati ISTAT più aggiornati, nel 2006 vi erano 22.988.000 dipendenti dai settori privati e 3.370.000 dipendenti dalla pubblica amministrazione, con una cifra totale di 26,358.000 soggetti impegnati in attività lavorative private o pubbliche, corrispondente al 44,2 % dell’intera popolazione residente attualmente in Italia.
Ma il calcolo sul mondo del lavoro non può escludere quanti ne sono usciti sia per limiti di età o invalidità sia per perdita del rapporto che era in corso in precedenza, sia quanti sono di nuovo alla ricerca di un altro lavoro, nonchè quelli che aspirano ad avere il loro primo impegno lavorativo facendo ricorso alle attuali possibilità del mercato del lavoro, oltre a quanti lavorano nel sommerso o del tutto in nero . Per avviare il calcolo, come si è accennato, si può ricorrere solo ai dati già esistenti sul nostro sito integrati da quanto è apparso, proveniente da altre fonti interne e internazionali, di frequente sugli organi di stampa.
a ) I pensionati a carico dei diversi enti previdenziali ( di tutti gli enti, ovviamente, anche di quelli che gestiscono le pensioni dei professionisti, dei commercianti e degli artigiani,dei coltivatori diretti come pure di altre categorie più ristrette ma che spesso sono ben retribuite, come pure di quelle di non dipendenti o di ex dipendenti da strati alti sia dei settori privati che di quelli pubblici, con pensioni tra le più elevate ) tra quanti lo sono per vecchiaia o invalidità e i superstiti , erano in complesso nel 2006 circa 18.153.000 . I pensionati del sistema di Assistenza Sociale, di quanti cioè sono arrivati all’età di pensione o sono divenuti invalidi ed i superstiti senza aver mai avuto la possibilità di accumulare dei contributi assicurativi, oltre a quelli che non ne avevano almeno al minimo necessario,sostenuti in questi casi dallo Stato, erano 5.980.000. Percettori, come è noto, di cifre mensili assai modeste. Nel loro insieme i pensionati summenzionati erano in tal modo 24.133.000 di persone, pari al 40,5 % della popolazione residente,
b ) Se si prova a sommare le cifre di quanti sono in attività con quelle dei pensionati si raggiunge la cifra complessiva di 50.491.000 persone. Se ne ricava che l’84,5 % della popolazione residente è composta da appartenenti al mondo del lavoro. Non si possono aggiungere altre situazioni lavorative che risultano fuori dalle norme già richiamate perché si tratta di cifre conosciute solo in parte ma non sicure. In particolare poi ripugna ascrivere al mondo del lavoro i più piccoli in età che secondo stime recenti ammonterebbero a cifre oscillanti tra le 450.000 e le 500.000 unità, che si ricordano solo per dovere di informazione ma che dovrebbero essere semmai oggetto di diversa attenzione da parte delle pubbliche autorità e dell'intera società per essere restituiti al sistema scolastico ed alla loro età.
c ) Per ovviare alla mancanza di dati relativi a quanto occorrerebbe alle esigenze personali o familiari delle fasce di retribuzioni pensionistiche tale da mettere i percettori di quel tipo di redditi così concepiti in grado di resistere al continuo aumento del costo della vita, e di ricavare, in relazione anche con quanti non hanno quei problemi perchè fruiscono di stipendi o di pensioni elevate (più facilmente ascrivibili semmai agli strati agiati della popolazione) si può fare ricorso a valutazioni indirette ed usare criteri empirici ma sempre obiettivi discendenti da dati noti. Uno strumento utile per una prima valutazione delle differenti situazioni economico-finanziarie delle due aree emergenti calcolate dentro l’84,5 % di redditi da lavoro o da pensione può essere l’utilizzazione della scomposizione della tabella per fasce di reddito mensile percepiti per vecchiaia, invalidità e superstiti pubblicata dal quotidiano “ La Repubblica “ il 26,2.2007 : da 0 a 500 euro 7.475.636 pari al 41,3 % - da 500 a 1000 5.869.735 pari al 32,5 % - da 1000 a 1500 2.697.811 pari al 15 % - da 1500 a 2000 1291.000 pari al 6,7% - oltre 2000 819.000 pari al 4,5%. E’ facile osservare che sommando le cifre di quanti percepiscono una pensione compresa tra 0 e 500 euro ( 7.475.000 pari al 41,3 % del totale ) con quelli del gruppo successivo che percepisce pensioni tra 500 e 1000 euro ( 5.869.000 pari al 32,5 % ) si raggiunge una quota complessiva del 73,8 % delle pensioni erogate dagli enti previdenziali. La stragrande maggioranza dei pensionati, quindi, che vive il larga parte la quotidianità con notevoli difficoltà.. Salvo infatti alcune situazioni meno difficili per chi possiede la casa nella quale abita o per chi appartiene ad un nucleo familiare nel quale vi sono altre entrate, anche se anch’esse pensionistiche, come spesso avviene tra coniugi anziani. Per differenza si deve notare infatti che solo il 26,2 % del mondo del lavoro appartiene ad una fascia sociale agiata o anche ricca.
d ) Per avvicinarsi alle cifre delle retribuzioni attuali, non dissimili da quelle precedenti, si può seguire la via poco frequente di calcolare in modo indiretto quale poteva essere la retribuzione degli attuali pensionati. Ciò perché è noto che la gran parte degli attuali anziani,o coloro lavorano e poi vanno in pensione avranno un minimo di corrispondenza col probabile ultima fase di reddito mensile, visto che le pensioni attuali, sono nella stragrande maggioranza, correlate tuttora (per coloro che usufruiscono ancora del calcolo della pensione col precedente sistema retributivo) alle retribuzioni più favorevoli degli ultimi anni di lavoro. Come è noto a chi va in pensione con quel sistema si attribuisce una cifra corrispondente a circa l’80% delle ultime mensilità, si può calcolare, per semplicità (non essendo necessario riferirsi a tutte le componenti delle due fasce di pensione prese in considerazione) almeno quanto avviene ai punti più alti delle due fasce : ne consegue che coloro che percepivano 500 euro mensili avrebbero dovuto percepire una retribuzione mensile per il rapporto di lavoro precedente, di almeno 625 euro. Come dovrebbe accadere oggi per chi andando in pensione percepirebbe 500 euro mensili. Analogamente, per coloro che percepivano una pensione di 1000 euro mensili si può ipotizzare che avrebbero dovuto percepire una cifra mensile per il rapporto di lavoro, di almeno 1250 euro. Intuitivo resta l’immaginare le entità delle retribuzioni mensili di quanti percepivano meno di 500 euro e di quelli che ne percepivano meno di 1000, per i quali valgono molte delle considerazioni sulle conseguenze del lievitare del costo della vita e gli eventuali affitti o mutui per l'abitazione.
Il quadro che si delinea con questi calcoli può già avviare una spiegazione su una parte delle cause del malessere che c’è nella società italiana riscontrate dal Censis e da altri.
e ) Ulteriori elementi di valutazione di quel malessere tanto diffuso si possono aggiungere sempre utilizzando solo i dati disponibili. Uno di questi è rappresentato dal problema della precarietà quasi sempre senza regole, divenuto talmente diffuso da suscitare un forte allarme sia nei sindacati che tra le forze di sinistra per tutte le implicazioni che comportano questi tipi di rapporto di lavoro non solo nella vita di chi vi è sottoposto quanto anche nel peso negativo sia sulle prospettive della vita corrente sia sulla consapevolezza della proiezione sul proprio futuro pensionistico, visto che di fatto esercita un tale tipo di rapporto di lavoro anziché caratterizzare solo una fase iniziale del rapporto stesso, finisce col creare una miriade di situazioni anomale che tendono a divenire stabilii e rendere ancora più difficile anche l’intervento sindacale. Non si è accennato in precedenza al problema dei precari ( presenti nella pubblica amministrazione come nelle svariate attività gestite dai privati ) in quanto, pur con le caratteristiche negative tanto spesso assunte da quel tipo di rapporto, quei lavoratori erano compresi nelle cifre note dei dipendenti da attività private e da quelle pubbliche. Non si conoscono dati ufficiali su,lla consistenza a livello nazionale dei rapporti precari nel loro insieme ma soltanto stime di studiosi, come quelle del Prof. Luciano Gallino che ritiene che ammonterebbero a non meno di 7.500.000 distribuiti in tutti i settori lavorativi, presenti soprattutto però nell’industria dove se ne conterebbero tra i 4.500.000 ed i 5.000.000 . La stessa gamma di diversità di rapporto che contraddistingue i precari rende impossibile alcun riferimento al reddito percepito dai singoli, ma non impedisce di ricordare che in numerosi casi il rapporto stesso è discontinuo mensilmente.
f ) Un ulteriore problema da affrontare , ancora una volta con l’assenza di cifre rese pubbliche, è rappresentato dalla disoccupazione. I dati da noi già pubblicati, provenienti dall’ISTAT, dicevano che nel 2006 la percentuale dei disoccupati veniva considerata del 6,8 % della forza lavoro. (Per il 2007 non sono stati ancora pubblicati dall’ISTAT i dati relativi al 2007, mentre sulla stampa si è sostenuto che quel rapporto si sarebbe assestato su di una cifra inferiore). Secondo l’ISTAT nel 2006 essa era del 6,8% e corrispondeva a 1.673.000 soggetti. Ma in quelle percentuali ovviamente non erano compresi coloro che non percepivano già più l’indennità di disoccupazione e che erano pertanto di nuovo alla ricerca di un’altra occupazione, ne quelle risultante da quanti erano invece alla ricerca di un primo rapporto di lavoro ( in larga misura donne e giovani ). Cifre alle quali andrebbero aggiunti quanti si sono stancati di ricercare un lavoro ormai da troppo tempo senza riuscire ad ottenerlo e che hanno del tutto rinunciato a cercare ancora che, come appare da quanto si può leggere sul nostro sito, ) in Italia sarebbero arrivati secondo la SVIMEZ a 2.600.000. Senza avere la possibilità di quantificare la realtà della disoccupazione effettiva si può notare almeno che è di gran lunga tra le più alte che il Paese abbia conosciuto finora. Pur evitando ogni tentazione di sommare le cifre documentate con quelle solo stimate e già citate, appare anche evidente come la mancanza di dati ufficiali in merito alle cifre richiamate ( comprese quelle inerenti al lavoro sommerso o in nero) sia in buona misura il sintomo dell’imbarazzo di coloro che non hanno ottenuto dalle modifiche al precedente sistema di collocamento i risultati che avevano ipotizzato e, forse, anche, della consapevolezza che attualmente il sistema lavorativo non offre più le indispensabili protezioni a quanti hanno necessità di lavorare per vivere. Anche questa è una negativa novità del nostro Paese.
Del resto agli aspetti negativi del mondo del lavoro attuale, si debbono aggiungere i drammi umani che vivono quanti sono all’interno del cosiddetto “lavoro sommerso “ in sacche di attività irregolare che sfuggono a tutti i controlli e che le stime fanno ascendere a circa 3.000.000 di lavoratori, dei quali, secondo l’ISTAT, il 10% si concentrerebbero nei servizi. Quando non si tratti addirittura di lavori cosiddetti “in nero “, con grande frequenza gestiti dai poteri criminali, le cui vittime più frequentemente sembra che siano soprattutto gli immigrati irregolari. Occorre ripetere che pur non potendo sommare situazioni tanto diverse tra loro appare evidente che la disoccupazione in Italia ha ormai raggiunto livelli allarmanti
g ) Non c’è da stupirsi se le fasce di povertà in tale contesto sociale tendano a crescere per l’apporto di nuovi strati di popolazione che vedono scendere i loro redditi verso le cifre considerate da miseria, che provengono anche da più di una delle categorie meno protette dell’intero mondo del lavoro, che nel suo insieme è composto, a sua volta, da tanta parte che stenta spesso a vivere almeno al minimo delle proprie esigenze .
Non è possibile in alcun modo, senza disporre di dati verificabili oltre che articolati al loro interno, tentare di quantificare l’attuale dimensione del lavoro italiano visto che solo una parte, anche se preponderante, risulta documentata, mentre come si è accennato, la dimensione effettiva della disoccupazione, del lavoro sommerso o in nero, pur essendo quote minoritarie sfuggono alla precisazione della loro rispettiva consistenza, pur rappresentando una preoccupante entità della popolazione, anche perché non si intravedono possibili provvedimenti a breve termine, dato che le soluzioni, anche se lentamente ed in maniera progressiva, dipendono dall’insieme del mondo economico-produttivo che non sembra interessato a produrre buona e sana occupazione, nonostante i richiami delle forze politiche e del mondo sindacale.
Quello che invece, pur non essendo nemmeno essa che parzialmente quantificabile , è l’insufficienza di gran parte delle retribuzioni e delle pensioni, oltre al forte disagio di quanti pur avendo spesso una famiglia, hanno perduto il lavoro ed accedono alla fascia ampia di quanti sono disoccupati da poco o da molto tempo. Per aver un’idea anche sommaria del disagio tanto diffuso nel Paese può essere utile, ancora una volta, semplicemente ricordare le cifre note di quanti ricevono pensioni di vecchiaia o di invalidità o superstiti che erano raggruppate nelle fascia minima (fino a 500 euro al mese) che nel 2006 ammontavano a 7.475.000, come anche quelle dei pensionati di Assistenza sociale, che erano nello stesso periodo, 5.980.000 dalle quali probabilmente viene sempre più spesso la caduta nella fasce di povertà. La stessa fascia degli “Incapienti” sembra composta da 12.6 milioni di persone le quali, nel corso del 2008, dovranno percepire 150 euro per effetto della legge finanziaria per il 2008 . E solo allorché sarà completato il versamento previsto si potrà conoscere con maggiore precisione l’entità di quella fascia di miseria.
Dai dati che abbiamo riportato in precedenza si delinea un profilo abbastanza realistico di quanto sia vasta la quota di lavoratori che affronta con notevole difficoltà le esigenze più semplici ed inderogabili della vita dei singoli o delle famiglie, assieme a quanti non hanno nessuna prospettiva concreta di miglioramento come quelli che lavorano nel sommerso o in nero, o come i disoccupati o come i poveri. Non meraviglieranno più di tanto gli allarmi che giungono pressochè quotidianamente dall’interno delle organizzazioni sindacali, dai partiti di sinistra oltre che dal governo e perfino dallo stesso mondo padronale per le ripercussioni che un simile stato di cose proietta sui consumi in discesa costante e quindi sugli stessi settori produttivi. Si tratta di una questione nazionale di evidente grandezza che deve essere affrontata innanzitutto alla luce del sole, iniziando col fornire al Paese le cifre reali dei diversi problemi che abbiamo tentato di ricostruire noi. Impossibile non chiedersi quali siano state le cause che hanno condotto l’Italia a perdere progressivamente una parte della sua industria, che hanno contribuito a liquidare il pieno impiego precedente (che secondo quanto ricorda il Prof. Valerio Castronovo nella sua pubblicazione “ Le rivoluzioni del capitalismo “ edizione aggiornata 2007 Laterza esisteva tra la fine della seconda guerra mondiale e gli ultimi anni ‘60 vicino alla piena occupazione) oltre ad avere condotto al livello odierno la disoccupazione, alla riduzione ormai da allarme sociale per l’insufficienza delle retribuzioni, associate all’attacco ininterrotto ai diritti dei lavoratori dipendenti, alla mancanza di prospettive per milioni di persone. Ed occorre ricordare ancora che il nostro sembra l’unico caso nell’Europa di Maastricht. Lo sforzo della nostra associazione su tali questioni è quello di aprire un varco nelle cortine fumogene che ad arte coprono i drammatici problemi dei lavoratori e delle masse popolari, al fine di consentire il formarsi di una opinione pubblica informata su tali problemi e in grado di reagire con la necessaria fermezza per superare la attuale difficile situazione. Ne si possono tacere i rischi per la democrazia che in tale insieme può comportare. Un richiamo in tal senso è contenuto nella pubblicazione dello stesso prof.Gallino (“ Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità “ Ed Laterza ) nella quale si esplicita: “ Anche le società dell’occidente possono regredire perfino sul terreno delle libertà politiche “.
Gennaio 2008