Il Socialismo su “la Repubblica”
 
UN INTERESSANTE DIBATTITO
(aprile 2007)
 
    Negli scorsi mesi il quotidiano “La Repubblica”, con lodevole iniziativa, ha promosso un interessante dibattito sul socialismo cui hanno preso parte molti esponenti della politica e della cultura.
    La frequenza con cui da parte di organi di stampa (non di diretta appartenenza o simpatia socialista) si torna ricorrentemente ad invitare pensatori-politologi e politici veri e propri a discutere sul socialismo è un segno e una conferma, se ve ne fosse ancora bisogno, che con quell’esperienza il pensiero contemporaneo non può evitare di fare i conti, anche nell’attuale mutato quadro politico e socio-economico rispetto a quello in cui essa è nata e si è sviluppata.
    Si tratta infatti di un patrimonio di idee e di realtà politiche che ha ispirato le speranze e la volontà di lotta di miliardi di persone contro uno sviluppo mosso solo da interessi privati e proprietari. E’ in grande misura da tale lotta che le società capitalistiche, governate da tali interessi, sono state costrette nel ‘900 ad introdurre nelle loro statuizioni i principi di libertà dal bisogno, giustizia, uguaglianza. E’in gran parte parte dall’incapacità di realizzare al loro interno tali principi che le società cosiddette del “socialismo reale” hanno registrato il più catastrofico fallimento, pur avendo rappresentato sul piano internazionale un baluardo antifascista e antimperialistico di portata storica.
    Quel dibattito dovrebbe aver ricordato a chi è più direttamente interessato agli sbocchi politici del tema, che tali occasioni dovrebbero servire non solo ad approfondimenti di ordine storico o economico-filosofico, ma, soprattutto, a misurarsi politicamente con una realtà, ormai di dimensione planetaria, in cui quegli interessi privati e proprietari, nobilitati da “teorie” neo-liberiste, reclamano e ottengono il diritto a guidare i governi nazionali e lo sviluppo dell’economia mondiale secondo prospettive in cui interessi collettivi, tutela dei diritti fondamentali, garanzia di sopravvivenza di intere popolazioni, ambiente globale non sono esattamente al primo posto dell’agenda da realizzare.
    Misurarsi politicamente con tali realtà, specie per chi ha responsabilità politiche e si considera ancora, nel mutato quadro generale, erede del lascito socialista, dovrebbe poi significare porsi l’obiettivo di far rivivere a livello collettivo e riorganizzare operativamente quella volontà di lotta che ha reso possibile le più importanti conquiste sociali e democratiche del ‘900. Le novità rispetto al passato sono: a) che a tale lotta, accanto alla dimensione nazionale, occorre dare uno sbocco globale, poiché globali sono ormai i problemi e i pericoli incombenti; b) che i suoi naturali protagonisti non sono più e solo le vittime dirette del processo produttivo capitalistico, ma l’umanità intera.
    Se tutto ciò è vero, sono da registrare positivamente molte delle considerazioni svolte nel dibattito citato. Tra le altre, quella di Giorgio Ruffolo, secondo la quale “sulla disuguaglianza che dilaga, sull’ingiustizia sociale che trionfa, sul precariato che angoscia, sull’impudicizia dei trattamenti finanziari riservati ai paperoni, sulla vergogna dell’evasione fiscale, sulla criminalità economica, il neoriformista è silenzioso. Quando raramente ne parla, è per addossarne la responsabilità alla sinistra”.
La conclusione è che all’attuale riformismo manca quella “capacità di esprimersi sull’insieme dei problemi, nazionali e mondiali, con visione ampia e generosa” e, aggiungiamo noi con il rigore scientifico che il marxismo ha saputo dare all’analisi del sistema capitalistico. Di conseguenza manca la capacità di definire tattiche e strategie in grado rintuzzare tempestivamente e far arretrare i processi capitalistici incompatibili con un giusto ed equilibrato sviluppo del consesso umano.
Questi ultimi dovrebbero essere gli obiettivi primari di un riformismo che rimanga ancorato alle migliori ragioni e tradizioni del socialismo occidentale, sia espressione diretta del mondo del lavoro, in tutte le sue forme aperte all’innovazione, sia il  difensore irremovibile dei diritti civili e baluardo di contrasto delle disuguaglianze, sia la casa naturale delle istanze democratiche che lottano per la difesa dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, contro la fame nel mondo
Tutto ciò (e chissà quant’altro) dovrebbe essere l’arco dei problemi sul quale il fronte delle sinistre dovrebbe incentrare la discussione per superare le sue frammentate espressioni, più che enfatizzare gli aspetti “organizzativi” (partito, federazione, cantiere [?], ecc.) pur meritevoli di attenzione. C’è chi ha detto che spesso le discussioni sul “come” nascondono la scarsa volontà o l’incapacità di discutere sul “cosa”.
(s.b.)
 
 
di Salvatore Bachiddu