(Roma)
“Noi vogliamo glorificare la
guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il
gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il
disprezzo della donna”.
Così al punto nove del Manifesto del futurismo, pubblicato su Le Figaro
il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti, capo storico del
movimento, esprime l’amore per la violenza, l’atteggiamento
spregiudicato e ultramodernista dell’avanguardia italiana. Sorprende
allora, ma solo apparentemente, l’importante contributo femminile dato
al movimento attraverso sperimentazioni a livello pittorico, plastico,
grafico e verbo-visivo, riportato in luce nel libro “Futuriste
italiane nelle arti visive” (De Luca editori d’arte) a cura di
Mirella Bentivoglio e Franca Zoccoli, la cui presentazione si è tenuta
il 29 gennaio alla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di
Roma. In realtà queste artiste compirono in primo luogo una
scelta esistenziale, perché riuscirono a superare gli aspetti più duri
del movimento, lasciandosi affascinare dall’amore del pericolo, dal
senso di avventura, dal culto per il coraggio e l’audacia, e soprattutto
dalla volontà di rinnovamento che comportava il rifiuto dell’immagine
stereotipata della donna fragile, relegata al ruolo di procreatrice, per
avvicinarsi, invece, all’idea marinettiana di una donna forte e disposta
a esperienze rischiose. La loro opera viene, quindi, ripercorsa nel
testo sullo sfondo della vita, come espressione dei valori fondanti del
futurismo: il tema del volo, ad esempio, era visto come simbolo di
iniziazione delle donne al movimento; “l’abitudine all’energia”, intesa
come desiderio di conoscere attraverso i viaggi, e la temerità, invocata
nel Manifesto, le portavano a comportamenti per l’epoca giudicati non
decorosi. Fu per questo atteggiamento distaccato nei confronti
della realtà comune e dei valori tradizionali che le futuriste italiane
si inserirono nel movimento, dimostrando che la dichiarata misoginia non
va intesa con riferimento all’intero genere femminile, ma al modello di
donna espresso da quella società, soprattutto alla luce dell’apertura,
nella concezione futurista, delle relazioni uomo-donna, favorita
dall’influenza di Benedetta Cappa nel movimento e nella vita di
Marinetti. Il quadro che offre il libro, risultato di lunghe e
approfondite ricerche e ricco notizie che sfuggono alla storiografia, è
quello di donne-artiste diverse tra loro, con storie personali spesso
avvincenti, che hanno reso l’economia domestica economia artistica e,
come ha sottolineato l’autrice Bentivoglio, sono state in grado di dare
un tratto personale al futurismo usando la tecnologia senza tuttavia
esaltarla, parlando della natura umanizzandola, integrando la parola e
l’immagine.
L’elemento
che rende le futuriste italiane vere artiste è stata la loro capacità di
rendere concreta l’identità arte-vita: la sfera estetica viene estesa ad
ogni campo di attività umana e il dinamismo non è confinato nelle opere.
Questo ha portato la storica Franca Zoccoli a volerne evidenziare anche
gli aspetti della vita quotidiana, caratterizzata dal coraggio fisico,
che non è espressione di un atteggiamento virile, ma di un ardire in
primo luogo morale. Nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita
del movimento futurista è auspicabile che nelle previste celebrazioni il
pensiero sia focalizzato sull’apporto materiale e morale di queste
artiste, positivo anche in un’ottica di comprensione e di
approfondimento dell’evoluzione dell’avanguardia, e che tutto avvenga
nel rispetto di un movimento che ha fatto dell’originalità a tutti i
costi e della rottura con il passato i suoi ideali. (Delt@
Anno VII, N. 20 del 3 Febbraio
2009)
Elisabetta D’Alessandro |