Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali

 

Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali

 

***DISMENORREA E PIANTE MEDICINALI

Dott.ssa Stefania Pomella - Medico Chirurgo

 

Fino a centocinquant'anni fa l'uso delle piante in medicina era fondamentale, ed è quasi sicuro che le erbe siano state i rimedi terapeutici più antichi per l'uomo. Il regno delle piante, infatti, fra le molte prerogative che possiede, comprende anche quella di elargire da sempre sostanze curative spesso insostituibili. Non esiste preticamente pianta che non riservi nelle cellule o nei vasi di qualche suo organo sostanze utili a livello terapeutico per l'uomo. Ne sono esempio l'achillea, la camomilla, la melissa ed altre piante, presenti in formulazioni tradizionalmente usate dalle donne come rimedi naturali per le mestruazioni dolorose, e la cui efficacia oggi è confermata dalla dimostrazione dell'attività antispasmodica e sedativa sulla muscolatura liscia dell'utero ad opera dei principi attivi che esse contengono.

Questa patologia, nolto frequente e talvolta invalidante nella donna fertile, trova attualmente conforto nell'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei o di estro-progestinici, spesso non ben tollerati dalle pazienti perché non privi di effetti collaterali e controindicazioni. La conoscenza della composizione e dei meccanismi d'azione di queste piante, nonché dei loro effetti secondari o tossici, può fornire al medico uno strumento terapeutico in più ed alle pazienti, che non vogliono o non possono ricorrere ad analgesici di sintesi, una valida alternativa o un efficace complemento per la cura della dismenorrea.

 

Dismenorrea.

Il termine dismenorrea indica correntemente il verificarsi di un flusso mestruale accompagnato o immediatamente preceduto da sintomatologia dolorosa in sede pelvica o lombo-sacrale, talora associata a disturbi di carattere generale.

E' uno dei disturbi più frequentemente lamentati dalle adolescenti; viene riportata un'incidenza dal 30 al 50% ed è una delle maggiori cause di assenteismo scolastico.

Va anzitutto distinta la dismenorrea primaria, che è più frequente, dalla dismenorrea secondaria.

La dismenorrea viene definita primaria quando la mestruazione dolorosa è causata da fattori intrinseci alla fisiologia uterina, in assenza di patologia organica della pelvi quali endometriosi, aderenze post-chirurgiche, infiammazioni pelviche croniche, tumori, cisti ovariche, malformazioni, presenze di dispositivo intrauterino (IUD), con o senza flogosi. Tali lesioni sono invece alla base della dismenorrea secondaria, molto più rara nell'adolescente.

Cause di dismenorrea secondaria
- Endometriosi;

- dispositivo intrauterino (IUD);

- malattie croniche infiammatorie e infezioni pelviche;

- adenomiosi;

- miomi uterini, polipi uterini, sinechie endouterine;

- malformazioni congenite del sistema mulleriano (utero bicorne, utero setto, setto trasverso vaginale);

- stenosi cervicale;

- cisti ovariche;

- sindrome della congestione pelvica.

Il dolore nella dismenorrea primaria inizia entro poche ore (da 1 a 4) dalla comparsa della mestruazione, ma può precederla di 12-24 ore; dura generalmente circa 24 ore, talora persiste per 2-3 giorni e solo raramente oltre i primi tre giorni del flusso. Si tratta di un dolore di tipo spasmodico o colico, che parte dalla regione sovrapubica e s'irradia ai fianchi, al fondo della regione lombare e alle cosce; si accompagna a nausea, vomito, diarrea, cefalea, senso di irritabilità oppure di ottundimento (sindrome dismenorroica) e talora manifestazioni lipotimiche. I sintomi che accompagnano il dolore sono dovuti, oltre che a reazione vagale, soprattutto a eccessiva liberazione di prostaglandine, a partenza dalla cavità uterina.

La dismenorrea primaria è un disturbo proprio dei cicli ovulartori, per questo nei primi mesi dopo il menarca le mestruazioni non sono mai dolorose. Appena si instaurano i cicli ovulatori (in genere tra uno e due anni dopo il menarca) può comparire la dismenorrea, che presenta gradi diversi di gravità.

 

Esame clinico.

In genere nella dismenorrea primaria l'anamnesi rivela che l'inizio del disturbo risale all'epoca del menarca (con l'eccezione già accennata dei primi tre mesi), mentre nella secondaria la comparsa dei sintomi è più tardiva. Nel raccogliere l'anamnesi va indagato se c'è famigliarità per questa patologia, soprattutto nella madre, anche se la positività di tale dato non permette di escludere la natura organica della dismenorrea. Vanno poi chiesti i caratteri delle prime mestruazioni e indagati il tipo e le modalità di insorgenza del dolore. Un dolore che insorga prima dell'inizio della mestruazione e si protragga per tutta la sua durata depone per una dismenorrea secondaria; anche un dolore cronico e unilaterale depone più per una forma organica.

Alla palpazione dell'addome la presenza di dolorabilità e di noduli in corrispondenza dei legamenti larghi deve far pensare ad una endometriosi.

Nell'impossibilità di ottenere una diagnosi di certezza con la sola raccolta anamnesica ed un attento esame obiettivo è opportuno, prima di instaurare una terapia sintomatica, escludere una forma secondaria facendo eseguire alla paziente dismenorroica un'ecografia pelvica ed inviandola comunque a visita ginecologica.

Eziologia.

Anche se la diversa risposta al dolore potrà dipendere dalla personalità e della situazione psicologica della donna (per cui sicuramente utili saranno il sostegni psicologico e la rassicurazione), l'ipotesi attuale identifica come maggiori responsabili della dismenorrea le prostaglandine, prodotte a partire da acidi grassi, liberate dalle membrane cellulari danneggiate dell'endometrio.

Le prostaglandine stimolano le contrazioni dell'utero che, a loro volta, riducono l'afflusso di sangue; l'ischemia e l'ipossia che seguono provocano il dolore. L'ipotesi si basa sul dato che le pazienti che soffrono di dismenorrea presentano nel liquido mestruale concentrazioni molto elevate di prostaglandine.

 

Terapia farmacologica.

Oltre il riposo a letto e le applicazioni di caldo locale la terapia della dismenorrea primaria, che è prevalentemente sintomatica, si avvale, nelle forme di una certa importanza, di due presidi terapeutici: soppressione dell'ovulazione attraverso la pillola contraccettiva oppure uso degli inibitori delle prostaglandine.

Con l'assunzione degli estro-progestinici in forma combinata (associazioni a dosaggio normale di etinilestradiolo e di un progestinico a basso potere androgenico) si ottiene l'inibizione dell'ovulazione che porta a ipoplasia endometriale e conseguente riduzione della concentrazione delle prostaglandine mestruali, con miglioramento della sintomatologia. La loro efficacia è valutata attorno al 90%; va preferita solo nelle pazienti sessualmente attive e desiderose anche di contraccezione e nei casi in cui, esclusa con certezza qualunque patologia organica, vi è una mancata risposta terapeutica o un'intolleranza agli inibitori delle prostaglandine.

L'altra modalità terapeutica utilizza i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che inibiscono la sintesi delle prostaglandine. Questi inibitori della ciclossigenasi sono molto efficaci nel ridurre la contrattilità dell'utero e la quantità di prestaglandine nel liquido mestruale, portando nello stesso tempo all'alleviamento del dolore. Tali farmaci sono particolarmente efficaci se somministrati all'inizio della mestruazione; è sconsigliato farli assumere già prima dell'insorgenza della sintomatologia dolorosa a scopo prefilattico, per gli eventuali effetti sull'embrione nel caso di una gravidanza appena all'inizio.

Nelle ragazze con dismenorrea lieve può essere efficace l'assunzione di aspirina alla dose di 500-600 mg oggni 4 ore.

I derivati dell'acido propionico (ibuprofene, chetoprofene, naprossene) sono tra i più utilizzati e danno risultati positivi nel 75-80% dei casi. Il naprossene, ad esempio, o il suo sale sodico, più rapidamente assorbito, può essere impiegato ai primi sintomi con una dose d'attacco di 500 mg seguita da una somministrazione di 250 mg ogni 6-8 ore: in genere è sufficiente protrarre l'assunzione per 48-72 ore.

Qualora la risposta della paziente ai suddetti presidi terapeutici non faccia registrare alcun giovamento, sarà opportuno rivalutare attentamente la possibile natura secondaria della dismenorrea espletando ulteriori accertamenti sulla reale causa del dolore.

 

DISMENORREA E PIANTE MEDICINALI.

Molte tradizioni popolari sull'uso terapeutico delle piante sono sopravvissute inalterate fino ad oggi.

La dismenorrea è uno dei disagi più frequenti che da sempre le donne hanno dovuto affrontare ricorrendo ai rimedi naturali a loro disposizione che venivano tramandati di madre in figlia, fino ad arrivare agli attuali analgesici la cui efficacia e rapidità d'azione ha soppiantato l'uso delle erbe, facendone perdere così in parte la conoscenza.

L'Achillea millefolium e la camomilla sono alcune delle piante tradizionalmente più conosciute ed usate come rimedio naturale delle mestruazioni dolorose (oltre che come antinfiammatori). Le attuali conoscenze sulla loro composizione hanno permesso di identificare nell'azulene, presente nell'olio essenziale in esse contenuto, il maggior responsabile dell'azione spasmolitica sulla muscolatura liscia dell'utero favorendo, in sinergia con gli altri elementi del fitocomplesso, un miglioramento della sintomatologia.

Un altro rimedio popolare a cui si faceva spesso ricorso nella cura della dismenorrea è la Melissa officinalis, pianta dalle proprietà antispasmodiche e sedative anche oggi riconosciute.

Azione antidismenorroica si attribuisce anche alla Calendola officinalis di cui si devono tenere presenti, però, anche gli importanti effetti a livello epatico (coleretico) oltre che le proprietà antinfiammatorie, antisettiche, cicatrizzanti, ipotensivanti e vasodilatatrici.

In passato ha trovato indicazioni per la cura della dismenorrea la Salvia officinalis, emmenagogo ormonale, che contiene, oltre ad altri principi, spstanze ad azione estrogenica; per tale motivo oggi ne viene sconsigliato l'uso in donne che assumono anticoncezionali o che fanno terapie ormonali. Va inoltre ricordata la nota neurotossicità di cui sarebbero responsabili tujone e canfora presenti nell'olio essenziale di questa pianta.

Anche la Potentilla anserina, nonostante sia stato notato sperimentalmente un aumento del tono e della frequenza delle contrazioni uterine da essa indotto, trova indicazione nel trattamento delle dismenorree e delle metrorragie di grado lieve grazie all'azione antispasmodica e decongestionante della pianta (probabilmente attribuibile alla presenza di flavonoidi e leucoantocianidine). Per il contenuto in tannini possiede forte attività astringente (usata nelle diarree) ed effetti secondari quali irritazione gastrica.

Stessi effetti secondari si riscontrano con l'assunzione di Hamamelis virginiana che trova impiego, come decongestionante a livello pelvico, nelle turbe della menopausa e nella dismenorrea.

Per la presenza di flavonoidi si riconosce spiccata azione antispasmodica anche alla liquirizia (Glycyrrhiza glabra) di cui, però, bisogna ricordare gli effetti mineralcorticoidi dati dal principio attivo glicirrizina in esso contenuto, e le controindicazioni all'uso nelle persone ipertese, diabetiche, con epatopatie colestatiche, cirrotiche e con insufficienza renale.

Menzioniamo inoltre l'ortica bianca (Lamium album), che in medicina popolare rientra in alcune formulazioni per le lavande vaginali in caso di leucorrea e dismenorrea, e la Piscidia erythrina, tradizionalmente usata miscelata alla melissa come antispasmodico e sedativo (di solito sconsigliata in gravidanza, allattamento, e nelle persone con insufficienza cardiaca).

Di seguito verranno descritte più approfonditamente, fra quelle sopra menzionate, alcune delle piante più comunemente usate e che hanno stuzzicato la mia fantasia anche perché ricorrentemente nominate nei cosiddetti "rimedi della nonna".

 

ACHILLEA MILLEFOLIUM.

E' una pianta tradizionalmente usata per le sue proprietà spasmolitiche, eupeptiche e cicatrizzanti, conosciuta in molte regioni come "erba dei tagli". Il suo uso risale alla mitologia in quanto il nome deriva da Achille che la utilizzava per curare le ferite riportate in battaglia.

E' una pianta erbacea perenne, rizomatosa, appartenente alla famiglia delle Composite, alta da 20 a 50 cm con foglie minutamente frastagliate, i fiori di colore bianco-rosato riuniti in infiorescenze a corimbo portate alla sommità del fusto. Cosmopolita, in Italia cresce dalla pianura alla zona montana dove si trova comunemente nei prati umodi, in campagna e nei luoghi incolti.

In medicina vengono usate le sommità fiorite raccolte da giugno a settembre (tempo balsamico).

La pianta contiene olio essenziale (in cui sono presenti camazulene ed azulene, 1-8cineolo, achillicina e achillina, borneolo, canfora), flavonoidi, acidi fenolici (caffeico e salicilico), tannini, aminoacidi ed altre sostanze.

Le sue proprietà antiflogistiche e spasmolitiche vengono attribuite al ricco contenuto di azulene nell'olio essenziale. L'azulene dell'achillea, identificato con il camazulene della camomilla (Matricaria recutita), di cui condivide le proprietà, è un composto sesquiterpenico che possiede un effetto spasmolitico sulla muscolatura liscia del tratto gastrointestinale e dell'utero ed una potente azione antiflogistica e vulneraria, dimostrata sperimentalmente dalla capacità di ripristinare in tempi rapidi il normale grado di permeabilità dei tessuti riassorbendo o focolai d'infezione e favorendo in caso di trauma la continuità tissutale.

I flavomoidi, che presentano anch'essi proprietà antiflogistiche, antispasmodiche e vasculoprotettive, vannoa potenziare l'azione del fitocomplesso in sinergia con gli azuleni.

Si riconosce inoltre alla pianta un'azione sedativa, antipiretica e debolmente antisettica. Curiosamente nelle zone di montagna viene associata ai fiori di sambuco ed alla menta piperita nella cura dei raffreddori e dell'influenza.

Le suddette proprietà dell'achillea giustificano il suo impiego come antispasmodico per via orale (in infuso, decotto, T.A., T.M.) nelle mestruazioni dolorose e negli spasmi del tratto gastrointestinale; viene usato come amaro-tonico in caso di dispepsia, nausea e disappetenza. Per uso esterno (in pomata od oleolito) è abbastanza conosciuto l'impiego dell'achillea, come vulnerario, nel trattamento delle piaghe da decubito e  delle ferite in genere nonché per la cura delle emorroidi.

Per quanto riguarda le controindicazioni, l'achillea può provocare dermatiti allergiche in soggetti particolarmente sensibili alle piante della stessa famiglia. Può dare fotosensibilizzazione se usata ad alte dosi per lunghi periodi. Sconsigliato l'uso in gravidanza, allattamento e nei bambini al di sotto dei due anni.

 

MELISSA OFFICINALIS

Pianta appartenente alla famiglia delle Labiatae, comune in Italia nei luoghi ombrosi, a livello del mare e in collina; tradizionalmente conosciuta per le proprietà sedative, antispasmodiche e carminative.

E' un'erba perenne alta fino a un metro, con fusto eretto ramificato, foglie giallo-verdastre (odoranti di limone se leggermente strofinate); i fiori sono di colore giallo-biancastro o rosato.

Della pianta si utilizzano le foglie e le sommità fiorite. Costituenti principali sono l'olio essenziale (costituito da citrali, citronella, aldeidi), acidi fenolici (acido rosmarinico), flavonoidi e altri.

E' appunto l'olio essenziale il principale responsabile delle proprietà terapeutiche antispasmodiche e sedative della pianta. Come spasmolitico trova impiego (per via orale in infuso o T.M.) nel trattamento di varie forme algiche (odontalgie, otalgie, cefalee, dolori gastrointestinali, dismenorree). Per la sua azione tranquillizzante e sedativa agisce non solo nei disturbi del sonno e nei casi di agitazione e irritabilità ma anche, in soggetti ansiosi, sui disturbi neurovegetativi da somatizzazione a livello dell'apparato gastrointestinale (colite e colon irritabile o gastriti) e cardiaco. Va ricordata l'attività eupeptica e carminativa e, per uso esterno, l'interessante azione antivirale, antibatterica e antimicotica; sembra ridurre il numero di recidive nel trattamento cutaneo dell'Herpes simplex.

Se somministrata a dosi elevate, e per lunghi periodi, può interferire con la funzionalità tiroidea, inibendo la somministrazione TSH probabilmente a opera dell'acido rosmarinico. Sconsigliato l'uso dell'olio essenziale la cui assunzione può provocare ipotensione, bradicardia, torpore, sonno e rallentamento della respirazione.

 

CAMOMILLA.

Bisogna distinguere la camomilla comune (Matricaria recutita) dalla camomilla romana (Anthemis nobilis).

Queste due piante presentano azioni terapeutiche e indicazioni cliniche analoghe; la camomilla romana presenta nell'insieme un'attività più blanda ma, rispetto alla matricaria, presenta una spiccata azione emmenagoga e spasmolitica, per cui trova impiego soprattutto nella cura della dismenorrea.

La camomilla matricaria è una pianta tra le più note dai tempi degli Egizi a oggi; possiede qualità terapeutiche così universali da essere servita anche nei bar. Della camomilla romana è incerta l'origine, l'attributo romana lo deve al fatto che veniva frequentemente coltivata nei giardini romani.

Sono piante erbacee perenni appartenenti alla famiglia delle Compositae. La camomilla comune è presente in tutta l'Europa, si rinviene con frequenza negli orti, nei campi incolti e soprattutto nelle zone asciutte di pianura; l'Anthemis nobilis non esiste spontenea in Italia ma è invece coltivata. Della pianta, in medicina, si utilizzano i capolini fiorali.

In entrambe riconosciamo la presenza, come principio attivo, di olio essenziale contenente soprattutto camazulene (presente in tracce nella romana e responsabile insieme all'alfa-bisabololo e alla matricina della spiccata azione antiflogistica della camomilla comune), flavonoidi (apigenina e luteolina cui si attribuisce l'azione spasmolitica ma anche d'interferenza con i mediatori dell'infiammazione), cumarine e altre sostanze.

Come già detto è tradizionalmente molto diffuso l'impiego di questa pianta (camomilla comune) sia per uso interno (infuso o T.M.) per l'azione antispasmodica (per sedare manifestazioni dolorose della colica intestinale alla dismenorrea), sia per le proprietà antinfiammatorie (utilizzata anche nelle artralgie), cicatrizzanti, ulceroprotettive e lenitive.

Storicamente si utilizzava nelle cefalee e tradizionalmente, in alcuni paesi, come sedativo del SNC, ottimo rimedio contro l'insonnia e gli stati nervosi in genere (tale effetto è probabilmente da attribuire all'azione antispasmodica).

Per uso esterno esplica attività antalgica, antinfiammatoria e debolmente antimicrobica nelle patologie oculari e nelle affezioni cutanee come screpolature, eczemi, acne, ecc.

Le attività principali della camomilla romana, come già detto, sono analoghe a quelle della camomilla comune, ma con una più spiccata azione spasmolitica, per cui vede il suo impiego soprattutto nelle mestruazioni  dolorose e negli stati spastici del sistema gastrointestinale. Se ne riconosce anche un'attività amaro-tonica, antinfiammatoria e antibatterica che ne giustifica l'uso esterno, come per la camomilla comune, nel lavaggio di ferite e nelle affezioni oculari e odontoiatriche.

Per quanto riguarda gli effetti indesiderati va sconsigliata, oltre che in gravidanza, nelle persone con ipersensibilità alle piante appartenenti alla famiglia delle Compositae e può scatenare o esacerbare reazioni allergiche in soggetti atopici; dosi eccessive possono interferire con concomitanti terpie anticoagulanti.

 

CALENDULA OFFICINALIS.

Pianta molto conosciuta appartenente alla famiglia delle Compositae, volgarmente chiamata fioraccio, originaria della zona mediterranea ma diffusa in tutto il mondo. Il suo nome deriva dal latino calendae (primo giorno del mese) per l'abbondante fioritura che si rinnova all'inizio di ogni mese.

E' una pianta annuale con il fusto rigido ma ramificato, alto da un palmo fino a mezzo metro, i fiori sono di un appariscente color giallo-arancio. Spesso è confusa con il tarassaco e la cicoria con le quali condivide l'eliotropismo: i fiori indicano ai contadini il tempo che farà in giornata, se al mattino rimangono chiusi probabilmente pioverà.

La droga è costituita dalle sommità fiorite raccolte dalla primavera all'autunno. Contiene olio essenziale (monoterpeni e sesquiterpeni), xantofille e carotenoidi (calendulina, carotene), flavonoidi e cumarine, saponine, mucillagini, resine, steroli, sostanze amare ed altre.

Le proprietà medicinali della calendula sono molteplici; per uso interno (infuso, decotto o T.M.) le azioni elettive sono quelle emmenagoga, antispasmodica (diminuisce i fenomeni dolorosi mestruali e i disturbi di natura riflessa) e coleretica (facilita la secrezione biliare favorendo anche un'azione ipolipemizzante). Il suo impiego è soprattutto per uso esterno grazie alle proprietà antinfiammatorie, antisettiche e cicatrizzanti che la rendono preziosa nel trattamento di molte affezioni cutanee (foruncolosi, dermatosi, acne, eczema), per le scottature, geloni, gengivostomatiti e, comunque, per la sua azione lenitiva, rinfrescante, riepitelizzante nel trattamento di tutti i casi di pelli secche, screpolate e arrossate.

Della calendula non si conoscono effetti collaterali, se ne sconsiglia comunque l'uso in gravidanza e allattamento.

 

CONCLUSIONI.

Nel corso della storia le piante sono state così largamente usate per la medicina che le loro proprietà furono talora fraintese sino ad attribuire loro, nella credenza popolare, anche effetti miracolistici o indicazioni del tutto errate. Il rigore scientifico che accompagna, però, in questi ultimi anni, lo studio delle piante tende a sfatare le leggende e fa si che la fitoterapia possa operare sinergicamente alla medicina tradizionale: è spesso possibile e auspicabile associare vantaggiosamente i rimedi fitoterapici a quelli di sintesi.

Credo sia nostro dovere, allora, imparare a conoscere il ricco e misterioso mondo vegetale, non soltanto per apprezzare l'aiuto che esso può fornire per il nostro benessere psicofisico (come per la patologia finora trattata), ma anche per imparare a non sfruttarlo in modo indiscriminato e pertanto irrispettoso.

 

BIBLIOGRAFIA.

- F. Bombelli, M.F. Castiglioni - Ostetricia e ginecologia. - Società Editrice Esculapio, 1984.

- B. Boscherini, A. Scalamandrè - Endocrinologia per il pediatra. - Edizioni Nuova Italia Scientifica, 1991.

- Goodman & Gilman - Le basi farmacologiche della terapia. - Edizioni Zanichelli, Settima edizione, 1991.

- G. Fassina, E. Ragazzi - Lezioni di Farmacognosia. Droghe vegetali. - Edizioni Cedam, Padova 1995.

- C. A. Newall, L. A. Anderson, J. D. Phillipson - Herbal medicines. - The Pharmaceutical Press, 1996.

- G. Lodi - Piante officinali italiane. - Edizioni Agricole, 1986.

- L. P. da Legnano - Le piante medicinali nella cura delle malattie umane. - Edizioni Mediterranee, Roma 1973.

 

*** Relazione del 1998.

 

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