Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali
"Shagara al Rauwaq", che vuol dire: "albero che purifica", così viene chiamata, nella Valle del Nilo, la Moringa oleifera, un piccolo albero, o arbusto, diffuso in tutte le regioni tropicali. Mentre fiori, giovani frutti e foglie, e un olio ottenuto dai semi della Moringa vengono consumati come alimento, le radici della pianta, adoperate anche per rendere potabile l'acqua stagnante, vengono utilizzate come medicamento per le malattie della prostata, per la febbre gialla e la malaria. La Moringa è una delle tante piante, adoperate dalla medicina tradizionale, che sicuramente interesserà quel gruppo di studio e di lavoro denominato RITAM: un'associazione scientifica di iniziative e ricerche sui metodi antimalarici tradizionali. Tale gruppo nasce dalla collaborazione tra l'Organizzazione Mondiale della sanità, l'Iniziativa Globale per i Sistemi Tradizionali della Salute, l'Università di Oxford e altri ricercatori sparsi in tutto il mondo con una importante finalità: lo studio, la ricerca, la verifica scientifica di piante medicinali, adoperate dalla medicina tradizionale, che possono essere utilizzate nella prevenzione o nella cura della malaria. Gruppo di lavoro, quindi, di grande importanza in quanto la malaria presenta una preoccupante tendenza all'aumento determinato, non solo dallo sviluppo di zanzare resistenti agli insetticidi, ma anche a fenomeni di farmaco-resistenza. Inoltre, l'Organizzazione Mondiale della Sanità lancia un altro preoccupante allarme: quello del rischio di un incontrollabile ritorno della malaria in alcune zone del sud-Europa. E come in passato, basti pensare al chinino proveniente dall'albero della china e all'artemisinina della Artemisia annua, si ricercano con rinnovato vigore piante medicinali che possono essere fonte di nuovi e più efficaci farmaci antimalarici. Una delle piante oggetto di studio è l'Ooloodwa, nome dato dagli abitanti dei villagi Ng'iresi, sul monte Meru nel Nord della Tanzania, ai semi della Embelia schimperi, che viene consumata in tè nero con l'aggiunta di latte e burro. Altre piante di grande interesse (ve ne sono decine) sono alcune acacie e, tra queste, la Gourmaensis, la Albida e la Nilotica che sperimentalmente ha dimostrato una buona attività antimalarica contro il Plasmodium falciparum, che rappresenta la specie più pericolosa e può portare a morte. Né va tantomeno dimenticato il Neem (Azadirachta indica), il baobab (Adsonia digitata) e la Cassia occidentalis, una delle piante medicinali più importanti delle regioni del Sahel africano, i cui semi, leggermente torrefatti, forniscono una bevanda (caffè nero) utile contro le malattie dello stomaco, l'asma e il paludismo, anche se sono soprattutto gli estratti e la decozione delle radici ad essere molto efficaci contro la febbre. Inoltre, un recente studio scientifico, condotto su 20 estratti di piante adoperate dalla medicina tradizionale come antimalariche, e sottoposte a prove sperimentali con il Plasmodium Falciparum, ha dimostrato una significativa capacità di soppressione di questo da parte dell'Euforbia hirta, della Morinda morindoides e della Cryptolepsis sanguinolenta. Un lavoro interdisciplinare dunque, che si avvale non solo dell'esperienza dei guaritori tradizionali, ma anche di biologi, chimici, medici, botanici, farmacologi, della medicina sociale e di altre intelligenze in un percorso che oggi chiamiamo Fitomedicina.
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